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Autore Discussione: «Due figli gay, con loro emigro all’estero»  (Letto 2539 volte)
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« inserito:: Luglio 29, 2008, 06:37:36 pm »

«Due figli gay, con loro emigro all’estero»

Delia Vaccarello


«Sono grato alla Francia che ha dato un lavoro a mia figlia e che grazie al Pacs le ha permesso di “sposarsi” con la sua compagna. Sono arrabbiatissimo con lo Stato italiano. È qui che pago le tasse, ma in Italia i miei figli non hanno futuro». Ettore Ciano ha una figlia da poco pacsata con la sua amata. La sua storia fa pensare al «padre della sposa» che vide un Lino Banfi mattatore su RaiUno scandalizzarsi prima, ma poi difendere a viso aperto nella Puglia natìa la figlia e la di lei sposa che si erano unite in Spagna. Proprio come Banfi, alla notizia dell’omosessualità non solo della figlia, ma anche del fratello, Ciano ha reagito duramente.

Poi il tempo e la capacità di comprendere e lottare lo hanno trasformato in un altro uomo. «Vengo da una cultura contadina. I ragazzi erano quattordicenni quando dissero a mia moglie e a me: “siamo omosessuali”. Sono stato duro con il maschio perché non sarei stato più nonno. Di mia figlia pensavo che le sarebbe passata. Ma da quel momento prima sottovoce, poi con mia moglie e in Agedo (associazione genitori degli omosessuali) ho cominciato a rivedere il mio concetto di paternità». Per Ciano fare figli e attendere i nipoti era obbligo sociale, «normalità» certa. «Mia madre prese da Mussolini il premio per aver fatto dieci figli. Dopo il premio non si fermò, io sono l’ultimo, il quindicesimo. In famiglia si diceva sempre: da gente senza figli non vai né per fuoco né per consigli».

Lui, insegnante di osservazioni scientifiche, la moglie maestra di scuola, alla rivelazione dei ragazzi non sanno cosa fare e li «mandano» da due psicoterapeuti. «Abbiamo speso un sacco di soldi, ma per fortuna non siamo capitati male. I due esperti aiutarono i nostri figli a stare bene con loro stessi, a essere in pace». Ma non è facile lo stesso. «Capitava che mia figlia o mio figlio tornassero da scuola tristi, e magari con gli occhi rossi. Io chiedevo cosa fosse successo, ma non dicevano nulla. Qualche volta si confidavano con mia moglie». Fino al Duemila in casa Ciano si parla poco di omosessualità. C’è bisogno di tempo per i genitori, soprattutto per il padre. «Nel Duemila decido di entrare in Agedo e cambia davvero qualcosa dentro di me. Prima mi sentivo isolato. Dei miei figli non potevo parlare con nessuno, né a scuola, figuriamoci, né con i fratelli, né con i nostri conoscenti. In Agedo cominciai ad accettare gli altri genitori e quindi me stesso. Mi chiesi: “Come mai i miei figli sono disperati in una società in cui fino a ieri io stavo bene?”. Insieme agli altri genitori abbiamo fatto un grande percorso, comprendendo che è lo Stato italiano a sbagliare: non applica l’articolo tre della Costituzione e toglie ai nostri figli la progettualità. Noi genitori lottiamo in tanti modi. Anche cercando di difendere i ragazzi quando le famiglie li rifiutano. Ne capitano di tutti i colori, ad esempio che i fratelli di un ragazzo gay vadano in giro a cercarlo con la doppietta». I figli intanto crescono. Presa la laurea, la ragazza va in Francia come lettrice, poi fa un concorso per insegnante, e vince. «Arriva quarta su cinquantaquattro». La compagna la raggiunge, trovando lavoro anche lei. Sono insieme da dieci anni e, quindi, cosa aspettare? «Il Pacs le ha unite e ha dato loro la felicità. E anche a noi. Cosa può desiderare un padre se non la felicità dei propri figli?». E i nipoti? Che fine ha fatto quella concezione rigida del padre degno di sé solo se futuro nonno? «I figli sono una scelta d’amore. Farli per obbligo vuol dire vivere da ciechi», risponde Ciano.

Ma una figlia in Francia, felice certo, però lontana, non fa dolore? «Quando è partita abbiamo deciso di trasferirci a Roma, prendere un aereo per lei o per noi sarebbe stato più semplice. Nostro figlio lo vediamo più spesso. Mia moglie a volte ha una grande nostalgia». Non è detta l’ultima parola. «Mia figlia sta cercando di farsi trasferire. In un futuro non lontano potrebbero andare a vivere a Nizza». Ettore Ciano comprende tutta la dolcezza di questo esilio fatto per il pacs, ma con gli occhi rivolti all’Italia: Nizza è a due passi dalla frontiera. «In tanti hanno fatto la stessa scelta di mia figlia: Pierluigi a Londra, Luca in Germania. Noi siamo indignati e adirati contro lo Stato italiano, che ci toglie i nostri figli. Perchè soltanto fuori dai nostri confini i giovani gay e le giovani lesbiche possono avere una legge e, quel che più conta, un riconoscimento sociale? Io sono orgoglioso di loro, perché lottano per la propria dignità. Ma divento una belva contro lo Stato che li allontana da me e contro tutti quelli che giudicano a colpi di stereotipi». Ettore Ciano è salito sul palco del Roma Pride mettendo un braccio sulla spalla di suo figlio. Ha raccontato la storia che prima li ha visti divisi e poi unitissimi e che ora lo impegna nella lotta a fianco degli altri genitori riuniti in Agedo e dei tanti ragazzi senza diritti. Dal palco, in quel momento, ha fatto il padre anche dei presenti che non hanno ancora un padre «pronto» come lui. «La commozione della folla era indescrivibile». Adesso non si ferma. Dopo i festeggiamenti per il Pacs con amici e conoscenti, un’idea agita «il padre della sposa». «E se andassimo tutti in Francia? La nostra casa non è lì dove i figli sono felici?». In fondo Nizza non è poi così lontana.

delia.vaccarello@tiscali.it

Pubblicato il: 29.07.08
Modificato il: 29.07.08 alle ore 8.17   
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