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Autore Discussione: ALFIO CARUSO. Il secondo sbarco dei Mille  (Letto 2613 volte)
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« inserito:: Luglio 11, 2008, 04:17:59 pm »

11/7/2008
 
Il secondo sbarco dei Mille
 
 
 
 
 
ALFIO CARUSO
 
Quando l’attuale vice (Lombardo) del viceré (Cuffaro) cercava un anno addietro di accreditarsi quale nuovo profeta dell’autonomia siciliana il suo cavallo di battaglia fu il danno arrecato da Garibaldi e dai Mille. Barcamenandosi fra le quattro nozioni rifilategli dai suggeritori, il povero Lombardo s’arrabattava a spiegare che senza l’invasione delle camicie rosse il destino della Sicilia sarebbe stato ben più fausto. Basta con i continentali sfruttatori, era stato il suo grido di guerra, dimentico dell’esser proprio lui il principale sostenitore del napoletano Scapagnini, peggior sindaco di Catania dal tempo di Ulisse e di Polifemo.

E nei primi passi da vice del viceré, cioè da presidente della Regione, Lombardo ha rimarcato l’obiettivo del suo programma: la Sicilia ai siciliani. Quindi ha stupito il tacito assenso da lui fornito al secondo sbarco dei polentoni nell’Isola, benché stavolta al posto di Garibaldi ci sia Sgarbi, eletto sindaco di Salemi; al posto di Missori il fotografo Toscano; al posto di Sirtori l’eclettico Daverio; al posto dell’ungherese italianizzato Turr il romano dal cognome anglosassone Glidewell e al posto di Nullo l’immaginifico Ceccherini, non perché sia l’assessore al Nulla - mirabile invenzione che fa il paio con la mafia dadaista del professor Tino Vittorio - quanto per la propensione al ribellismo che unisce l’innocuo artista romano, colorista della fontana di Trevi, all’indomito miliardario bergamasco, morto per la libertà della Polonia. Nella composita compagnia, incaricata di rilanciare l’immagine di Salemi nel mondo, figura ovviamente l’immancabile principe siciliano e anche una gentile avvocatessa, Caterina Bivona, assai meno brusca di Rosalia Montmasson, l’unica donna aggregata ai Mille in quanto compagna di Francesco Crispi. Non si trova al momento l’emulo di Bixio, ma Sgarbi, con un pizzico d’impegno in più, potrebbe benissimo sdoppiarsi.

D’altronde dovrà pur meritarsi il subisso di voti ricevuto in una delle località più colte e misteriose della Sicilia. Un detto del XVI secolo avverte: «Unni viditi muntagni di issu / chissa è Salemi, passatici arrasu: / sunnu nimici di lu crucifissu / e amici di Satanassu (Dove vedete montagne di gesso, questa è Salemi, costeggiatela da fuori: sono nemici di Cristo e amici di Satana). Salemi è stata una culla della massoneria e la patria di Simone Corleo, massimo studioso mondiale dell’enfiteusi (il modo migliore d’appropriarsi della terra altrui), dal quale sarebbe disceso il dottor Luigi Corleo, magnate delle esattorie e suocero di Nino Salvo con cui si entra nelle terrificanti e sanguinarie vicende di mafia, che nella cittadina confidano di far dimenticare grazie all’ingaggio della celebre star.

Da quattromila anni i siciliani sono abituati a battere le mani a ogni invasore: a Ragalna, in provincia di Catania, ricordano ancora l’estate in cui la signora Santanchè fu nominata assessora in un tripudio di promesse fantasmagoriche, resort di lusso sulla cima dell’Etna, risoltesi con la festa nella villa d’Ignazio La Russa, nobilitata dalla presenza a bordo piscina di Alba Parietti, dell’ex portiere della Juve, Tacconi, e dello stilista Cavalli. Di conseguenza nessuno ha chiesto a Sgarbi se è approdato a Salemi perché l’hanno scartato a Milano e respinto a Roma. Anzi hanno tutti finto d’entusiasmarsi al suo programma di mostre e convegni, tranne ricoprirlo di fischi qualche giorno dopo al Teatro Greco di Siracusa allorché ha tentato di ricordare al pubblico inveente contro Berlusconi che appena un mese prima, nelle elezioni regionali, aveva regalato il 70 per cento dei consensi al partito di Silvio.

Ma Lombardo non si contraddice soltanto con Sgarbi. Lo fa anche con il progetto del suo assessore alla Cultura, Antonello Antinoro, fedelissimo di Cuffaro, di affidare ai privati la Valle dei Templi, il Teatro Greco di Taormina, l’appena restaurata Cappella Palatina di Palermo e l’intera Selinunte. E dato che questi privati pieni di quattrini da investire nell’arte non s’incontrano di sicuro a Palermo o a Catania, meno che mai ad Agrigento e a Trapani, significa che la Sicilia rinuncerebbe a gestire tesori facenti parte del patrimonio dell’Umanità. Un bel successo per chi si era presentato come il più strenuo difensore della sicilianità.
 
da lastampa.it
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