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Autore Discussione: CARLO AZEGLIO CIAMPI - La voce d'Europa  (Letto 2450 volte)
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« inserito:: Giugno 03, 2008, 12:03:50 pm »

3/6/2008
 
La voce d'Europa
 
 
CARLO AZEGLIO CIAMPI
 
Occorre che l’Europa si dia un governo dell’economia capace di promuovere la crescita del reddito, una sua più equa ripartizione, migliori opportunità di occupazione.

L’auspicabile prossima entrata in vigore del trattato di Lisbona renderà più agevole il compito delle istituzioni comunitarie a ciò proposte e tutelerà meglio l’insieme degli interessi europei. Il consolidamento delle istituzioni favorirà anche il dialogo con la Banca centrale europea; potranno così dispiegarsi appieno gli effetti positivi della dialettica tra politica monetaria e politica economica. Le fonti primarie della crescita sono l’accumulazione del capitale, l’efficienza e il progresso tecnico. Ma vi sono determinanti altrettanto fondamentali, prima fra tutte un sistema d’imprese innovative e di mercati concorrenziali. Le determinanti su cui la politica economica più direttamente incide vanno ravvisate, oltre che in una finanza pubblica equilibrata e in servizi pubblici funzionali, in infrastrutture materiali e istituzionali calibrate su una dimensione europea. Su questi punti cruciali è chiamata ad agire una politica economica europea che non si limiti al necessario rigore nei saldi di bilancio, ma pratichi anche un crescente coordinamento delle politiche economiche nazionali.

Senza stabilità non può esservi crescita; è altrettanto vero che alla lunga la stabilità diviene precaria se la crescita manca o è inadeguata rispetto alle potenzialità dell’area. L’aumento della produzione e della produttività, la pronta riallocazione delle risorse, la forza creatrice dell’innovazione frenano i costi e i prezzi, ancorano le aspettative, avvalorano i corsi dei titoli, rendono onorabili i debiti. Senza crescita non può esservi durevole stabilità, né monetaria, né reale. In un’economia stagnante la distribuzione del reddito, della ricchezza resta o diviene iniqua. La sperequazione distributiva inasprisce le tensioni sociali che minano tanto la stabilità quanto l’avanzamento dell’economia.

La presente crisi finanziaria, scoppiata nelle economie anglosassoni, ha turbato i mercati internazionali, lambendo i sistemi bancari dell’Europa continentale. Le banche centrali stanno gestendo con saggezza la liquidità e le autorità di vigilanza stanno prevenendo il contagio dei casi di insolvenza. Ciò dà fiducia nel superamento della crisi stessa. E, tuttavia, questa difficile esperienza richiama l’Europa all’urgenza di rafforzare ulteriormente le difese già allestite. In particolare, la cooperazione fra autorità di vigilanza e di queste con le autorità monetarie deve essere resa ancora più stretta, quotidianamente operativa. La creazione, anche in questo campo, di organismi comunitari va presa in seria, pragmatica considerazione.

La fisionomia dell’Unione europea è stata profondamente modificata dall’euro. La sua creazione ha una valenza politica quale ebbe, a suo tempo, la costituzione della Ceca. Se quest’ultima, affermando per la prima volta il principio della messa in comune dell’esercizio della sovranità nazionale, inaugurò un’epoca nuova, di sicurezza e di pace per i Paesi europei, la moneta unica, approfondendo quel solco, dischiude un orizzonte più chiaro di integrazione. Sullo sfondo, di fronte a noi, c’è il completamento dell’edificio politico dell’Europa. La convinta, crescente adesione di tanta parte dell’opinione pubblica europea che ha accompagnato il processo di creazione e l’affermazione della moneta unica avvalora l’autorevole opinione di Schumpeter, secondo cui «nell’ordinamento monetario di una società si rispecchia tutto ciò che questa vuole, fa, subisce, è».

La scelta dell’euro fu sentita, vissuta, come punto politico fondamentale; punto di non ritorno nel decollo verso l’attuazione piena dell’Unione europea. Non dimenticherò mai l’incontro che da Primo ministro ebbi a Bonn con il Cancelliere Kohl nel giugno del 1993. L’aver vissuto, entrambi, gli orrori della guerra ci rendeva consapevoli che si trattava di giocare una partita con la storia che andava vinta a ogni costo. Nel corso di quel colloquio a due ci dicemmo che, in quel momento, il rinvio dell’attuazione del trattato di Maastricht avrebbe segnato ben più di una battuta d’arresto nel processo di integrazione europea, di fatto, l’avvio lungo la china del suo fallimento. Ne sarebbe conseguito, prima o poi, il risveglio di tentazioni nazionaliste e, con esse, il riaffacciarsi degli spettri degli Anni Trenta.

Oggi la nostra Unione europea ha solide fondamenta; la caratterizza il felice coesistere e cooperare di istituzioni federali e istituzioni federative. Sovranità condivisa e riconciliazione sono facce di una stessa medaglia. L’intuizione che solo condividendo aspetti sostanziali di sovranità gli Stati europei possono meglio difendere interessi essenziali, dell’intera Unione e dei singoli partecipanti, è la conquista appassionata e al tempo stesso la sofferta eredità della nostra storia comune. Solo parlando con una sola voce l’Europa può essere realmente soggetto della storia. Questo era vero ieri; tanto più lo è oggi in un mondo globalizzato.

* dall’intervento che il Presidente emerito della Repubblica ha tenuto ieri a Francoforte per il decennale della Banca centrale europea
 
da lastampa.it
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