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Autore Discussione: Walter Veltroni - Israele e la libertà dal pregiudizio  (Letto 3418 volte)
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« inserito:: Maggio 08, 2008, 06:49:41 pm »

LA FIERA DEL LIBRO

Israele e la libertà dal pregiudizio


Caro Direttore,

 «cultura e boicottaggio sono due parole incompatibili fra di loro. L'essenza della cultura è il dialogo ». Così David Grossman, lo scorso febbraio, commentava le polemiche nate dopo l'invito a Israele di partecipare come ospite d'onore al Salone del Libro di Torino, aggiungendo: «La mia impressione è che si veda come illegittima non soltanto la presenza alla Fiera del Libro, ma la stessa esistenza di Israele». Non si può dire che gli avvenimenti degli ultimi giorni, con le critiche rivolte da un noto intellettuale del mondo arabo alla giustissima decisione del presidente Giorgio Napolitano di essere oggi al Lingotto e con le contestazioni culminate il 1˚maggio nelle bandiere israeliane bruciate in piazza, abbiano nel frattempo dato torto alle affermazioni di Grossman. Al contrario. Della prima è evidente l'intima verità: come possa un qualsiasi uomo di cultura che voglia davvero essere tale chiedere di far tacere altri uomini di cultura, negare ascolto alle loro parole è difficile capire.

Tanto più quando si tratta di autori che sostengono l'unica possibilità che israeliani e palestinesi hanno di convivere pacificamente: il dialogo, il riconoscimento delle reciproche sofferenze e speranze, il diritto degli uni a vivere in casa propria senza paura e sicuri del proprio futuro, degli altri a vivere in un loro Stato indipendente. Ma qui entra in gioco la seconda affermazione di Grossman, la sua «impressione» che il vero bersaglio sia esattamente lo Stato di Israele, nel sessantesimo anniversario della sua fondazione. E' proprio di questo che pare trattarsi. A preoccupare è un clima, sono posizioni, che nascono da un pregiudizio e che possono condurre a conseguenze pericolose. Il pregiudizio procede lungo un confine sottile, che separa le critiche ragionate e per questo legittime alle politiche dei governi israeliani, da quelle ideologiche, manichee: Israele ha sempre torto, la «colpa» è sempre sua, anche quando il coraggio di chiudere un accordo manca alla controparte o quando magari formazioni arabe fanno fuoco le une contro le altre.

Le conseguenze pericolose si annidano nel lato più oscuro di questo fenomeno, nel fatto che oltre alla critica a Israele spesso viene chiamato in causa l'intero popolo ebraico. Forse non apertamente, forse con un «non detto», che però nulla toglie ai rischi di un risorgente antisemitismo, di fenomeni di intolleranza e di discriminazione oggi più evidenti di ieri, purtroppo. A volte questi rischi si nascondono dietro le parole e i termini usati. Un anno fa il presidente Napolitano esortò a combattere «ogni rigurgito di antisemitismo anche quando esso si travesta da antisionismo », perché «antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano alla guida di Israele».

Parole coraggiose e nette, che io sono convinto possano essere, per i democratici, la perfetta bussola da seguire. Lo dico con la convinzione di chi, da sindaco di Roma, non incontrò l'allora vice primo ministro iracheno Tariq Aziz, che s'era rifiutato di rispondere a un giornalista solo perché israeliano. E lo dico con la determinazione di chi non ritiene ci sia più posto, tra i riformisti, nell'identità del Pd, per alcuna forma di ostilità e di pregiudizio verso Israele, verso un Paese democratico, civile, ricco di cultura, con una società aperta, plurale e dinamica. Verso un popolo, per dirla sempre con Grossman, che ha diritto ad avere, oltre a una concreta sicurezza, quella «normalità politica universale » che significa riconoscergli laicamente ragioni e torti e che invece gli è sempre stata negata, sostituita dal «trattamento speciale» di cui ha parlato ieri su queste colonne Pierluigi Battista.

Il cammino della pace è già abbastanza ricco di ostacoli senza che si aggiunga l'incoraggiamento che viene dato ai nemici della pace da chi dichiara giusto «boicottare» Israele. «So che debellare completamente l'antisemitismo — ha detto Yehoshua — è un obiettivo proibitivo. Ma non lo è combatterlo. L'Europa lo deve combattere con tutta la sua forza. Non per il bene degli ebrei ma per il proprio bene». Attenzione e determinazione non dovranno mai mancare. Anche quando protagoniste di gesti gravissimi come quelli degli ultimi giorni sono poche persone. La migliore risposta, ne sono certo, verrà già dalle prossime giornate torinesi, dalle migliaia di cittadini che affolleranno il Salone del Libro, per leggere e ascoltare le parole degli scrittori della terra d'Israele.

Walter Veltroni
08 maggio 2008

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