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Autore Discussione: Bossi incalza: "Riforme o stavolta perdo la pazienza"  (Letto 3601 volte)
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« inserito:: Aprile 15, 2008, 10:51:03 pm »

15/4/2008 (6:53) - INTERVISTA A UMBERTO BOSSI

Bossi incalza: "Riforme o stavolta perdo la pazienza"
 
«Subito il federalismo fiscale: basta chiedere l'elemosina a Roma»

FABIO POLETTI


Quando al telegiornale appare il volto di Walter Veltroni, Umberto Bossi scoppia in una risata fragorosa. «Com’è andato il Pd, com’è andato? Non lo so neanche... Per vincere a quello lì non gli è bastato pitturare il pullman di verde».

Sono le otto di sera. Il leader del Carroccio si è permesso anche un pisolino, tanto erano rassicuranti quei dati che dal primo pomeriggio piovevano in via Bellerio. La Lega che fa il botto. La Lega che raddoppia i voti dal 2006. In certe zone li triplica. «A Torino siamo oltre il sei per cento, a Novara abbiamo preso tre volte tanto...», gli dice il piemontese Roberto Cota, uno dei colonnelli della Lega nell’ufficio di Bossi al secondo piano, cocacole a acqua minerale e il mezzo sigaro toscano che lui aspira con voluttà, godendo degli exit poll, dei sondaggi, dei voti veri, così veri che sembrano incredibili.

Umberto Bossi, la protesta di sempre del Nord, questa volta sembra avere pagato...
«Non è stato un voto di protesta. E’ stato un voto di proposta. Il Nord ha mandato un segnale preciso, vuole assolutamente che cambi il Paese. La gente ci ha votato perchè ci vuole bene. Da oggi il Paese è più democratico, più libero, non siamo più un Paese centralista. Adesso bisogna fare le riforme, se no perdiamo la pazienza».

Si è già sentito con Silvio Berlusconi? Avete già parlato del nuovo governo, di quanti ministri avrà la Lega?
«Ci siamo parlati per telefono, era molto contento. Non era il momento per altre cose».

C’è chi dice già che Silvio Berlusconi è vostro ostaggio, che dovrà fare pesantemente i conti con i vostri voti...
«Non è un ostaggio, è un amico. Non mi piace quella brutta parola lì».

Qual è la prima cosa che chiederà a questo punto la Lega?
«La prima iniziativa che prenderemo è il federalismo fiscale. E’ impensabile che tutti i soldi finiscano sempre a Roma. Bisogna smetterla con i sindaci del Nord che vanno a Roma con il cappello in mano come se chiedessero ogni volta l’elemosina».

Per fare le riforme sarà necessario trovare un accordo con il centrosinistra, con il Pd di Veltroni. Fino ad oggi non è stato possibile. E adesso?
«Tutte le volte che andavamo in commissione non ci trovavamo davanti solo gli altri partiti. La sinistra metteva di mezzo i costituzionalisti per non far passare quello che chiedeva il Nord. Un battaglione di costituzionalisti... Adesso cambia tutto. Adesso abbiamo la forza per far passare il pensiero del Nord anche senza il Pd. Siamo più forti che mai».

Avete vinto nei piccoli centri e su per le valli. E poi nelle grandi città del Nord. Ma perchè, avete vinto?
«Dobbiamo ringraziare i lombardi, i piemontesi, i veneti che hanno saputo mandare un messaggio vero perchè si facciano le riforme. Un messaggio democratico. Questa volta ce la faremo. Dal popolo è venuto un destro, come nella boxe un destropopolare...».

In campagna elettorale lo hanno promesso tutti. Abbasserete le tasse?
«La pressione fiscale deve essere abbassata. Noi guardiamo ai bisogni veri della gente. Siamo noi la vera forza popolare. La sinistra ha pagato quello che ha fatto col Tfr quando era al governo. I lavoratori, dopo essere stati bastonati di qui e bastonati di là alla fine hanno scelto noi. Era evidente che Veltroni perdeva, non gli bastava pitturare il pullman di verde».

Silvio Berlusconi insiste che bisogna fare il ponte sullo Stretto. E’ d’accordo?
«Vedremo quello che vuole la gente davvero...».

Buona parte della vostra campagna elettorale è stata fatta per salvare Malpensa. Alla vigilia del nuovo incontro tra Alitalia e i sindacati cambia qualcosa con questi risultati?
«Malpensa dopo il voto di oggi torna in gioco. Il Nord ha dato un sacco di soldi, non può essere chiusa. Col tempo si troverà sicuramente un altro vettore al posto di Alitalia».

E sulla sicurezza? Avete nuove proposte?
«Ci vuole una nuova legge sull’immigrazione. La gente vuole che questo rimanga il suo Paese. Non vogliamo qui i clandestini senza lavoro e che non fanno niente».

Accanto a lei in questo momento ci sono Rosy Mauro e Roberto Maroni. Saranno due dei vostri ministri?
«Vedremo... (ride, ndr). Vedremo...».

Anche in Lombardia siete cresciuti molto. Se il governatore Formigoni dovesse andare a Roma a fare il ministro, andrete voi al Pirellone?
«Bisognerà votare anche in Lombardia... Ma vinceremo anche quelle elezioni».

Se lei fosse stato un politico del Sud, nato sotto Roma, cosa avrebbe pensato in un giorno come questo?
«Con il padre che ho avuto io, con la mia educazione politica sarei stato comunque un federalista».


 da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 15, 2008, 10:53:12 pm »

15/4/2008
 
W, l'onore delle armi
 

LUIGI LA SPINA

 
Il mercato della politica, finalmente, ha avuto il coraggio di proporre ai cittadini una offerta diversa. Gli italiani sono andati alle urne e l’hanno comprata. Al di là di chi ha vinto e di chi ha perso, è questo il risultato più importante, per il volto della nostra democrazia, che il voto del 13 e 14 aprile ha espresso. Il sistema bipolare e maggioritario che si era costituito dopo il crollo della cosiddetta prima Repubblica ha compiuto un ulteriore passo e si è trasformato in un sostanziale bipartitismo.

Sul piano simbolico, si potrebbe aggiungere che è finito anche il Novecento politico italiano, con la scomparsa, dopo la liquefazione della Dc, anche degli ultimi nomi che lo avevano storicamente rappresentato, ma anche sanguinosamente diviso: comunisti e fascisti, socialisti e liberali.

La semplificazione politica, bisogna dargliene atto, è stata avviata, pagando consapevolmente un certo prezzo, da Walter Veltroni. Ma è stata subito rilanciata, nell’altra campo, da Berlusconi e ha ottenuto l’effetto voluto: al Senato, i gruppi parlamentari si dovrebbe ridurre, se le previsioni saranno confermate dai risultati finali, addirittura a tre grandi formazioni: Pdl e Lega da una parte e Pd, che dovrebbe comprendere anche la Iv di Di Pietro, dall’altra. I restanti partiti potrebbero riuscire a mandare a Palazzo Madama solo uno sparuto numero di senatori.

Alla Camera, dove la soglia di rappresentanza è dimezzata, passando dall’8 al 4 per cento, la situazione non dovrebbe cambiare di molto: quattro partiti nazionali (Pdl, Pd, Iv e Udc), più alcune forze presenti solo in alcune regioni, a partire dalla più importante, la Lega Nord.

La volontà dell’elettorato italiano è, dunque, chiara: si vuole spezzare il potere di condizionamento, sproporzionato rispetto al consenso ottenuto, e, in alcuni casi, esplicitamente ricattatorio, che hanno detenuto finora i piccoli partiti. Con l’effetto di ridurre grandemente l’efficacia dell’opera di governo, per la mancata coesione interna delle coalizioni che si presentavano alle urne. L’appello al «voto utile» ha avuto successo, ma non nel senso di ritenerlo sprecato, dandolo ai partiti minori, ai fini del raggiungimento della vittoria elettorale. Quanto, all’opposto, considerandolo negativo per la governabilità. Anche al costo di perdere il confronto generale tra destra e sinistra.

L’Italia, si può effettivamente sostenerlo, è diventata da ieri una democrazia più vicina a quella fisionomia occidentale europea che, nel nostro continente, costituisce il modello più antico, più comune e anche più funzionale. Un modello, chiariamolo subito, che non esclude la rappresentanza di forze minori, in sede nazionale, o l’apporto di partiti insediati solo in alcune regioni o addirittura in una sola, come avviene, ad esempio, in Spagna, con i baschi o i catalani. Ma che non preclude al partito largamente maggioritario, con un anomalo e antidemocratico potere di veto, la possibilità di poter governare. Resta al nuovo Parlamento, adesso, il compito di trasformare in legge quella realtà politica che si è imposta in concreto. Ancora una volta, si dimostra la vecchia regola che il diritto non può precedere il fatto, ma lo segue. Senza troppe illusioni che sia facile trovare un’intesa sufficientemente ampia. E senza spingere le forze minori alle pericolose tentazioni di scorciatoie ribellistiche e antidemocratiche.
 
da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 17, 2008, 08:48:04 pm »

Sfida Capitale

Marco Causi*


Molte famiglie italiane non pagheranno già da giugno l’Ici, grazie al Governo Prodi e non per una scelta di Berlusconi. È già ricominciata la solita sarabanda berlusconiana di tasse eliminate e di manna per tutti. Chi ha ancora un potere per esprimere un voto, come le cittadine e i cittadini romani chiamati al ballottaggio il 27 aprile, ci rifletta bene. Infatti, non sarà facile capire quali siano, al di là dei fuochi d’artificio, le reali proposte del centro-destra per la città. Ma, per favore, chiediamo almeno agli esponenti del centro-destra di non considerare gli elettori romani così sprovveduti.

L’Ici, ad esempio. Il suo abbattimento, a partire dalla rata da pagare a giugno, è stato disposto dal Governo precedente e comporterà, a livello nazionale, che circa il 40% delle famiglie italiane non pagheranno più l’Ici sulla prima casa. Si tratta di tutte le famiglie che abitano in immobili per i quali l’Ici da pagare è inferiore a circa 300 euro all’anno. A Roma, poi, è in vigore dal 2002, ed è stato ampliato nel 2007, un esteso schema di agevolazioni comunali, concertato con associazioni imprenditoriali e organizzazioni sindacali, che rende totalmente esenti dall’Ici (se proprietari della casa di abitazione) o dalla Tari (se non proprietari) 130 mila famiglie, mentre per altre 100 mila il Comune consente una detrazione di 90 euro, che si aggiunge a quella statale e che le famiglie non proprietarie della casa di abitazione possono “trasportare” sulla Tari. Per accedere a queste agevolazioni basta andare sul sito di Romaentrate o rivolgersi ad un CAAF convenzionato con il Comune, perché - per evidenti ragioni di equità - l’esenzione o la detrazione sono accordate sulla base della valutazione della situazione reddituale delle famiglie, tramite il calcolo dell’Isee.

Si prenda nota, allora: (a) lo schema agevolativo del Comune di Roma beneficia non soltanto le famiglie proprietarie di casa, ma anche le non proprietarie; (b) a questo schema si accede tramite valutazione del reddito, e non indiscriminatamente; (c) con la nuova agevolazione statale l’Ici prima casa dei romani viene di fatto dimezzata per tutte le altre famiglie.

A questo punto, togliere ciò che resta dell’Ici prima casa significherebbe avvantaggiare soltanto le famiglie più benestanti e quelle che abitano in immobili di maggiore qualità e valore, e dimenticarsi del tutto delle famiglie che stanno in affitto. Un intervento, quindi, regressivo, oltre che inutile dal punto di vista macroeconomico. Molto meglio, secondo il Partito Democratico, rimettere nelle tasche dei cittadini un importo analogo, ed anzi superiore, tramite un immediato aumento delle detrazioni Irpef. Si sosterrebbe così il potere d’acquisto di salari e stipendi che sono stati aggrediti in questi ultimi mesi dall’aumento del costo della vita.

E cosa ha da dire il centro-destra, e il suo candidato a Sindaco di Roma, sul federalismo fiscale e sull’attuazione delle previsioni costituzionali in merito a Roma Capitale, adesso che la “golden share” di quello schieramento è in mano alla Lega Nord? Forse è bene rinfrescare a tutti la memoria. Fra il 2001 e il 2006 nulla si è mosso, se non un’impressionante quantità di convegni, ricerche, commissioni di studio e quant’altro. In soli venti mesi, invece, la legislatura appena finita ha prodotto due proposte di legge per l’attuazione del federalismo al cui interno sono previste due norme storiche per Roma: l’attribuzione di poteri “speciali” al Comune della Città Capitale, e soprattutto il conferimento di una compartecipazione al gettito di un grande tributo erariale (Irpef o Iva) per il finanziamento delle funzioni che Roma ospita e svolge per conto di tutto il Paese.

Queste proposte, che il Parlamento uscente non ha avuto il tempo di esaminare per colpa della drammatica conclusione anticipata della legislatura, non sono un grazioso regalo che Roma aspetta dal potente di turno. Sono il risultato della forza, della credibilità e della reputazione che la nuova Roma, la Roma di Rutelli e di Veltroni, si è conquistata sul campo negli ultimi quindici anni. Scalando, anno dopo anno, le posizioni nella classifica del reddito pro-capite. Diventando un motore trainante per l’economia dell’intero Paese. Aprendo un ciclo lungo di investimenti nelle infrastrutture, e soprattutto nel trasporto su ferro. Scommettendo sulla ricerca, sull’innovazione, sulle università. Raddoppiando in soli sette anni il numero di posti negli asili nido, nonostante i tagli ai trasferimenti equamente distribuiti fra governi di centro-destra e di centro-sinistra. Dimostrando in tante occasioni la capacità di farcela con le proprie forze e di aver acquisito uno spirito civico e democratico che riflette la sua nuova natura, di grande città metropolitana aperta sul mondo, tollerante, capace di investire sulla partecipazione consapevole dei cittadini al governo di prossimità. La città del bilancio sociale più trasparente e leggibile, la città di un nuovo piano urbanistico con regole moderne e certe, la città delle biblioteche in tutte le periferie.

Nel costruire questo “modello”, o “laboratorio”, una vasta classe dirigente si è messa alla prova, non soltanto nella politica, ma anche nelle imprese, nei corpi intermedi, nelle istituzioni locali, nel mondo dell’associazionismo e del volontariato. Oggi non si tratta soltanto di salvare Roma dall’omologazione al nuovo assetto di potere.

C’è, io credo, qualcosa di più importante. Per il largo schieramento che sostiene Rutelli c’è la sfida di dare rappresentanza politica compiuta ad una delle realtà urbane più dinamiche, più avanzate, più complesse d’Italia e d’Europa. Una sfida che, certamente, parte dalla necessità di misurarsi con i grandi problemi ancora aperti (la casa, il ciclo dei rifiuti, la qualità dei servizi pubblici). Ma che assume una dimensione nuova: non dobbiamo soltanto tirar fuori l’orgoglio di chi tanto ha fatto nella città e con la città negli ultimi quindici anni, ma soprattutto la passione e la lucidità di chi è consapevole che riuscire a rappresentare Roma, con tutte le sue dinamicità e contraddizioni, è la chiave di volta per dimostrare che il futuro sarà ancora dalla nostra parte.

*deputato Pd, ex assessore al Bilancio del Comune di Roma



Pubblicato il: 17.04.08
Modificato il: 17.04.08 alle ore 12.58   
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