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Autore Discussione: John Elkann si racconta «Quel che devo a Gabetti e Marchionne...  (Letto 3020 volte)
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« inserito:: Luglio 04, 2007, 10:20:05 am »

L'intervista

John Elkann si racconta «Quel che devo a Gabetti e Marchionne

Montezemolo in politica? Spero di no» La causa per l'eredità, Lapo, la Juve.

«Sono un liberale non dottrinario e trascorro il 50% del mio tempo all'estero per l'Ifil»

 
TORINO - Dovendo definirsi, sostiene di essere «un liberale non dottrinario». E lo spiega così: «Credo nei liberi mercati, nella competizione tra operatori. Credo nella società aperta e vedo un mondo ormai interconnesso. Da quando è caduto l'impero sovietico e la Cina si è mossa sulla via della liberalizzazione, il pianeta si è aperto e penso che sia decisivo avere buon senso, analizzare i problemi e non coltivare dottrine. Me lo ha insegnato il vivere in tanti posti e frequentare ambienti e culture diverse ma è il frutto anche di una naturale capacità di adattamento ai contesti in cui mi trovo».

 
Da sinistra Sergio Marchionne, Gianluigi Gabetti e John Elkann (lapresse)
John Elkann ha 31 anni e un figlio di nove mesi (Leone), ma di fatto già porta su di sé la responsabilità di una famiglia «larga e complessa » di 120 membri che ha segnato la storia d'Italia e continuerà a farlo. John presiede l'Ifi e vicepresiede l'Ifil, trascorre il 50% del tempo all'estero per curare gli investimenti delle società di famiglia e cercare nuovi business. L'apprendistato da leader non deve essere stato leggero se dice di «vivere in una condizione di emergenza da 5 anni e in questa condizione è difficile avere tempo per coltivare passioni e interessi». Accanto a enormi soddisfazioni come la rinascita della Fiat e l'imminente lancio della nuova 500 non mancano le grandi amarezze, come l'ultima. Sua madre Margherita che trascina in tribunale gli Agnelli accusandoli di non aver detto la verità sull'eredità dell'Avvocato.

In questo mondo interconnesso le chance di un posto chiamato Italia sono bassissime?
«La Corea che ha il 75% del territorio fatto di montagne ed è in un luogo scomodo del mondo è diventato la decima economia del mondo. Pensi se non credo nell'Italia. La Fiat dimostra che le situazioni possono modificarsi e di imprenditori capaci ne abbiamo tanti. Luxottica per fare un nome o medie imprese come Dainese».

Oltre che liberale si considera europeista convinto come è 
John Elkann con la madre Margherita Agnelli. Tra i due Ginevra, sorella di John e Lapo (emmevi)
tradizione della sua famiglia?
«Certo. Paesi come l'Italia, o l'Olanda che ha una popolazione nettamente minore, come possono contare da soli? L'Europa per loro è un grande vantaggio e l'euro è stata una rivoluzione».

Intanto però litighiamo sull'italianità delle aziende...
«Cosa è l'italianità? Dare un miglior servizio agli italiani? Garantire un maggior livello di occupazione da noi? Battersi perché il potere decisionale resti qui? Ci vogliono risposte concrete, altrimenti l'italianità diventa la scusa per fare altro. Un alibi».

E del fattore P come politica cosa pensa?
«Quando mi capitò di dirigere il giornale del Politecnico imposi di dedicare zero spazio alla politica. Adesso naturalmente la seguo, ma preferisco parlarne poco».

La finanza globale oggi è terreno di caccia del private equity o degli hedge fund, le famose locuste. C'è spazio per le Ifil, le finanziarie di famiglia?
«Non mi considero un finanziere, siamo imprenditori e lo saremo sempre. Il nostro approccio non è basato sull'uso disinvolto di tecniche finanziarie o della leva del debito, ma proprio perché siamo una finanziaria ad azionariato familiare siamo interessati al lungo termine. E per questo tipo di finanza, quella che serve a far crescere le imprese, c'è ancora molto spazio. Come Ifil saremo sempre più presenti all'estero e anche i nostri manager, a cominciare da Marchionne ma proseguendo con Sant'Albano, Blanc, Winteler hanno nel loro curriculum grandi esperienze all'estero ».

Avrebbe presentato un'offerta per acquistare Alitalia o magari qualche municipalizzata della luce o del gas?
«No. Le compagnie aeree sono un mestiere che non conosciamo. Tra tutte le forme possibili di investimenti, noi abbiamo scelto di avere come controparte il mercato, non i regolatori del mercato. Questo tipo di business lo lasciamo ad altri più versati di noi».

La famiglia Agnelli tre anni fa credette nell'auto e supportò la Fiat. Il coraggio è stato premiato. Ma quanto pensa che in un mercato globalizzato possa durare il binomio, famiglia-azienda?
«Al tempo sarebbe stato più facile mollare e invece la famiglia è stata presente. Poi il grande lavoro fatto sotto la guida del dottor Marchionne ha permesso straordinari risultati. Ora crediamo negli obiettivi che il management si sta prefiggendo e andiamo avanti con fiducia. Il resto, mi faccia dire, è letteratura. Non entro nella disputa sugli assetti proprietari e sulla governance ottimale. La Toyota ha un azionista familiare ed è la compagnia più redditizia nel mondo dell'auto. Bmw e Porsche lo sono anche e vanno benissimo. Ford lo è anch'essa, ma è un caso di insuccesso. Il punto non è che la Fiat sia controllata da una famiglia. Il punto è che si sviluppi al meglio delle sue potenzialità».

Quando sente dire che Marchionne è il nuovo Valletta cosa pensa?
«Capisco che se ne parli, ma è improprio fare confronti. Nel Dopoguerra i fattori di crisi erano prevalentemente esterni, ora invece il vertice attuale composto da Montezemolo e Marchionne ha saputo affrontare fattori di crisi interni. Era più difficile ma ce l'hanno fatta».

Lei pensa, come dicono, che un giorno o l'altra Luca di Montezemolo possa entrare in politica?
«Egoisticamente, spero di no».

Potrebbe diventare, in un futuro molto prossimo, presidente della Fiat?
«C'è un vertice affiatato che ha dimostrato di essere capace. I miei impegni prioritari sono in Ifi e Ifil. E sono molto riconoscente al dottor Gabetti che mi è stato molto vicino in questi anni e mi ha dato molto umanamente e professionalmente. Tornato con noi nel 2003 a un'età in cui è lecito che un grande manager voglia occuparsi di altro dopo una vita di successi, Gabetti si è rimesso in gioco dando stabilità. E in più frangenti ha preso decisioni coraggiose».

Come l'equity swap Exor-Ifil per il quale Consob e giustizia ordinaria vi hanno chiamato in giudizio?
«Non avevamo alternative per dare stabilità alla Fiat; è stato fatto tutto in assoluta buona fede e non contro la legge. Vedremo come andrà a finire, confidiamo nella giustizia».

Applicandovi lo stereotipo nato nell'estate del 2005 qualcuno anche dentro l'establishment vi ha dato a proposito di questa operazione dei "furbetti".
«Lo trovo offensivo perché ingiusto e inappropriato. Capisco che il nuovo è sempre attraente ma ho trovato singolare che personaggi saltati fuori all'improvviso siano stati idolatrati. Si è trattato di fenomeni che con il tempo si sono spenti a dimostrazione che molto dovevano a protezioni improprie».

E la Juve? Molti tifosi non hanno mai digerito l'ammissione di colpa visto che nessun tribunale si è ancora pronunciato su Moggi e Giraudo. Nel frattempo il Milan ha potuto vincere la Champions League e sono spuntate accuse di falso in bilancio per l'Inter.
«Le penalità che la Juve ha subito non le ha avute per niente, c'erano stati comportamenti giudicati inaccettabili e come tali sono stati puniti dalle autorità sportive. La differenza con il Milan si spiega semplicemente con il fatto che per i rossoneri la responsabilità di quei comportamenti è ricaduta su consulenti esterni. Ora siamo tornati in serie A con la coscienza a posto e soprattutto con una forte squadra, in campo e fuori».

Un bagno in serie B per riconquistare immagine?
«La B è stata durissima, era meglio evitarla e una stagione in Purgatorio non è piaciuta a nessuno. Aggiungo che ci è costata un sacco di soldi».

In A che modello di business adotterete? La Juve inseguirà sempre e comunque le spese degli altri?
«Credo in un modello sostenibile: il costo del lavoro non può essere l'80% del fatturato. Il Manchester United è al 55%. Si tratta quindi di sviluppare meglio i ricavi, in Italia si paga poco per il piacere del calcio, dobbiamo prezzarlo meglio. Non solo con i biglietti ma in tanti altri modi. Non è vero poi che spendendo tanti soldi si vincono tanti scudetti. L'Inter non è il miglior modello, lo sono invece il Manchester e il Lione. Faccio questi ragionamenti non per dire che avremo ambizioni limitate ma che faremo le cose seriamente. Se ci offrono Toni a un prezzo non correlato all' età del giocatore sappiamo dire no».

Ma le campagne acquisti di Moggi e Giraudo erano abili.
«Le spese di Moggi e Giraudo erano insostenibili, avevano supplito con le plusvalenze ma non si poteva continuare così. Noi puntiamo ad avere un funzionamento sano dell'attività sportiva e nello stesso tempo a tornare in Champions League. Per l'ambizione e per rendere sostenibile il business».

Come avete intenzione di rispondere agli avvocati che per conto di sua madre chiedono di fatto di rinegoziare l'accordo sull'eredità di suo nonno?
«Non ci sarà nessun nuovo negoziato. Quando raggiungemmo l'accordo del 2004 ci volle un anno e mezzo di preparazione. Le parti ebbero tutte le informazioni, godettero dell'aiuto di tutti i professionisti possibili e immaginabili. Il tutto proprio per evitare quello che invece poi è accaduto. Mia nonna Marella si è privata di tutti i suoi averi per rendere possibile a suo tempo l'accordo con la figlia. Mia madre scelse di uscire dalle attività comuni, mostrando di non aver fiducia nel buon esito del lavoro di rilancio della Fiat».

Si può conteggiare in 109 milioni il versamento fatto finora a sua madre?
«Da qui al processo previsto nel gennaio 2008 non daremo numeri, ma posso dirle che ha ottenuto molto, ma molto di più. Pensi solo al patrimonio artistico che ha ottenuto e al potenziale di rivalutazione che ha. La donazione fatta da mio nonno alla Pinacoteca - che costituiva l'altra parte di quel patrimonio artistico - nel 2002 era stata valutata 500 milioni di euro».

Sua madre ha dichiarato che deve "tutelare tutti i suoi figli"...
«Francamente non mi è chiaro cosa voglia dire. Ha un patrimonio che pone i figli della prima unione e quelli della seconda in una situazione di grande tranquillità. Sono amareggiato, invece, del fatto che si sia voluto premere mediaticamente su di noi giocando con l'ambiguità. Si è attaccato il dottor Gabetti in un momento in cui era esposto su altri fronti. Un atto non casuale e di estrema ingratitudine».

Suo fratello Lapo è sempre molto popolare e riesce a bucare l'attenzione dei media mentre lei ha scelto la via del massimo understatement..
«Lapo ha deciso di vivere in maniera assolutamente indipendente ed ha tutto il mio affetto. La sua attività imprenditoriale è conseguente a questa scelta. Io ho un altro mestiere: mi dedico alla cura degli interessi di una famiglia larga e complessa. Nel mio caso diventa decisivo dare spazio a questa complessità e attrarre attorno ai nostri progetti i migliori manager e le migliori individualità ».

Il rischio è queste responsabilità finiscano per assorbirla completamente in un ruolo di mediazione e farla apparire come "un leader senza anima".
«Capisco la sua domanda, ma io metto l'anima nelle cose che faccio e per le persone con cui sto. E quanto alle emozioni forti non mi sono certo mancate».

Dario Di Vico
03 luglio 2007
 
da corriere.it
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