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Autore Discussione: Oreste Pivetta. Nell’interesse del paese  (Letto 4999 volte)
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« inserito:: Aprile 01, 2008, 10:25:41 pm »

Nell’interesse del paese

Oreste Pivetta


Milano universale. Prodi, D’Alema, la Bonino, Formigoni, Penati, la cara Moratti e tutti gli altri in scena, attori, canterini, industriali, eminenti professionisti, brillanti studiosi, ce l’hanno fatta. L’Italia tutta, come patriotticamente si dovrebbe dire, ce l’ha fatta. Il sistema-Italia, come pragmaticamente annotava Romano Prodi, ce l’ha fatta. Respinti i turchi non possiamo che cantare come Alfredo a Parigi: «Libiam ne’ lieti calici/ che la bellezza infiora...». In coro, perché, se in un caso del genere si può parlare di vittoria, è stata la vittoria di un governo di centrosinistra e di un sindaco di centrodestra, insieme per gli interessi del paese.

È stata una bella lezione per Berlusconi, che è invece l’uomo degli affari suoi e che si è trovato tra l’incudine e il martello e s’è arrangiato ricordando i rifiuti di Napoli e comunque rivelando che «non è stato certo per merito di Prodi». Sorrideva invece Prodi e ne siamo felici: il voto di Parigi è un riconoscimento a lui, alla sua politica e alla sua politica estera e quindi qualche merito spetta anche a Massimo D’Alema e a Emma Bonino. Il governo di Prodi è caduto, ma in fondo ci lascia un’eredità importante, clamorosa, qualcosa che attenua i dolori di questa Italia: dalla crisi di Malpensa al primato dei salari più bassi.

I delegati del Bie, il Bureau International des Expositions, hanno scelto Milano, la città dei traffici internazionali, di una gloriosa (e ormai chiusa) storia industriale, delle grandi banche, la città capitale del Nord virtuoso e produttivo, il treno che da sempre trascina l’Italia verso l’Europa. Hanno annusato le polveri sottili ma le hanno scambiate per la nebbia dei film di Olmi e Visconti. Si sono tenuti alla larga dai campi nomadi e dai vecchi quartieri popolari, dallo Stadera a San Siro.

Il traffico non li ha fermati: davanti c’era sempre la staffetta della polizia o dei carabinieri a far largo. I muri che hanno visto erano stati riverniciati nella notte. Il piazzale della Stazione Centrale, che forse hanno attraversato, era stato aggiustato dove le pietre erano rotte (perchè più sottili, per risparmiare qualcosa, rispetto al capitolato d’appalto) e liberato dalla presenza di rom, slavi, nigeriani e nordafricani e homeless (qui si chiamano “barboni”) di casa nostra. Nessuno scandalo: succede in tutto il mondo.

Lo scarto di voti è stato netto, per quanto tribolata la votazione. Pareva di vivere una seduta del Senato. Smirne, Izmir, una deliziosa città, sulla costa turca, possedeva molte carte. Bisogna sempre rendere onore ai vinti. In questo caso ci tocca anche un po’ di invidia. Se è vero quanto scriveva il sindaco, Aziz Kocaoglu. Leggiamo dal Sole24ore: «Izmir copre il 9 per cento della produzione industriale della Turchia, il 14 per cento dell’Iva, il 9,7 per cento della forza lavoro...». Si sta costruendo una metropolitana leggera, un anello di 80 chilometri che vale 275 milioni di dollari. «Solo negli ultimi quattro anni - informa il sindaco - il Comune di Izmir ha regalato quattro milioni di metri quadri di verde alla città e sta ultimando uno dei parchi più estesi in Europa». Il tono sarà un po’ quello dei depliant pubblicitari. Ma certe notizie colpiscono.

Milano, nella continuità della gestione Albertini-Moratti, ha saputo scavar sotto terra solo per sistemare parcheggi (qualcuno contrastatissimo, come quelli nel centro, in piazza S.Ambrogio o in piazza Meda, accanto a monumenti e rovine di pregio artistico e storico) e ha aperto alcuni cantieri per alcune verticalissime colate di cemento, ferro e vetro. Milano a distanza di mezzo secolo dalla bellissima Torre Velasca e dal grattacielo Pirelli ha scelto risolutamente la strada dei grattacieli: fanno volumetria e rendita, a prescindere dalla qualità modesta e ripetitiva dell’architettura (malgrado gli imponenti nomi internazionali scesi in campo). Non parliamo neppure dell’urbanistica: per ritrovare segnali originali bisogna risalire al dopoguerra (al Qt8 di Piero Bottoni).

Malgrado tutto (e si dovrebbe aggiungere un capitolo: quello eterno della relativamente debole rappresentanza politica, nonostante le chiacchiere di Berlusconi e le trombonate di Bossi, quello della indifferenza alla politica dei suoi ceti dirigenti, poco attratti dai dibattiti romani) Milano resta ai vertici di un sistema Italia o meglio del sistema degli “affari” e dell’economia italiani. A proposito di economia, nel “depliant” della Moratti si può leggere che Milano sta al centro di un’area con quasi 10 milioni di abitanti, come Londra o Parigi, che produce il 10 per cento del pil nazionale, un livello pari a Bruxelles o Madrid, che vanta un reddito pro-capite che è quasi il doppio di quello nazionale e un tasso di disoccupazione che è la metà di quello italiano, registra il 40 per cento dei nuovi brevetti d’innovazione, dove si vendono ogni anno dieci milioni di biglietti per spettacoli d’arte, musica, cinema, in linea, a pari abitanti, con Berlino, Amsterdam, Barcellona. Più la moda, gli show room, la Scala, il Piccolo Teatro, il Milan e l’Inter (nove Coppe dei Campioni in due), il volontariato, il Politecnico,..

Dal punto di vista degli “affari”, il Sole24ore, assai attento all’argomento, ha già proposto l’elenco di chi ci guadagna e ci guadagnerà, semplicemente citando gli sponsor, che si sono affacciati in questi giorni al palcoscenico di Parigi. Ne verrebbe una bella mappa del potere, sulla quale si incrociano Generali e Fondiaria cioè Salvatore Ligresti, la nuova multitutily A2A e i petroli dei Moratti, Scaroni all’Eni e Tark Ben Ammar che entrerà in Telecom... I soliti nomi.

L’esposizione universale anticipa ovviamente grandi numeri: venti miliardi di investimenti, trenta milioni di visitatori, settemila eventi, settantamila posti di lavoro... Insomma un business gigantesco, che comincerà con l’edificazione sull’area espositiva (accanto alla Nuova Fiera di Rho-Pero, su un milione e settecentomila metri quadri, di proprietà della famiglia Cabassi) e, si spera, continui con la realizzazione di quelle infrastrutture, che servirebbero ad una sana economia. Non mancherà una torre, come è nelle tradizioni: si prevede alta duecento metri.

Il tema proposto, «Nutrire il pianeta, energia per la vita», più politicamente corretto non si poteva immaginare: ci sono di mezzo l’ambiente, la fame nel mondo, l’obesità, la bio-diversità, le merendine dei bambini, le nuove fonti alimentari per i paesi poveri e i prodotti tipici di Carlin Petrini. Si prevede che centoventi paesi saranno al via e tanta partecipazione dovrebbe garantire qualche idea vera o almeno una bella radiografia del problema.

Nel 1906 Milano ospitò un’altra esposizione universale. Si snodava attorno ai Giardini Pubblici e al Parco Sempione e allora gli spettatori paganti furono sette milioni: un’enormità se si pensa al mondo d’allora, alla povertà e alle discriminazioni d’allora e anche al sistema dei trasporti. E proprio di trasporti s’occupò quella esposizione, con singolare senso di preveggenza, mentre ancora circolavano soprattutto carri e cavalli.

L’Esposizione universale è un grande evento, anche se quando la si nomina viene soprattutto da pensare al Ballo Excelsior (inventato per un’altra esposizione milanese, nel 1881, non ancora universale) e alla Tour Eiffel (Parigi, 1889), ad un universo ristretto rispetto ad oggi che stava costruendo la sua rivoluzione industriale. Nel regno contemporaneo dell’immateriale (basta andare su internet per ritrovare tutto, compreso il villaggio di Milano 2015) se ne capisce meno il senso.

Giuseppe Pericu, che da sindaco di Genova visse l’esperienza delle Colombiadi e del G8, nel suo libro Genova nuova spiega che un grande appuntamento serve a coalizzare gli sforzi, a creare solidarietà, a ridare coesione e identità a una comunità. Speriamo che funzioni anche a Milano, che avrebbe bisogno di coesione, di identità, di solidarietà e soprattutto di democrazia. Altrimenti, passata la festa, si rischierebbe di ritrovare la vecchia città spartita tra i soliti pochi che godranno di tutti i vantaggi e la maggioranza rimasta alla finestra. Si sarà brindato nei salotti. Che Milano, la città vera, non abbia fatto invece gran festa e quasi non si sia interessata di quanto si decideva a Parigi è un sintomo dello scetticismo. Tangentopoli resiste.

Pubblicato il: 01.04.08
Modificato il: 01.04.08 alle ore 13.11   
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 02, 2008, 02:57:38 pm »

D’Alema: siamo noi l’Italia che vince

Ninni Andriolo


Le foto pubblicate dai giornali lo ritraggono mentre sfiora la guancia di una raggiante Letizia Moratti e scambia congratulazioni con Romano Prodi. Ma il primo che Massimo D’Alema ha voluto abbracciare, dopo la vittoria dell’Expo, è stato il presidente turco Abdullah Gul. Un tributo alla Turchia, che a Parigi non è stata favorita dal voto, e a Smirne, che vive una condizione opposta a quella di Milano. «Perché è retta da un’amministrazione di sinistra e fa parte di una Nazione governata dai moderati, mentre Milano ha una giunta di centrodestra in un Paese guidato dal centrosinistra».

D’Alema è di ottimo umore. È sbarcato a Roma da Parigi dopo «la grande vittoria ottenuta dall’Italia» e sferza le polemiche «elettoralistiche e provinciali» su Milano che avrebbe prevalso su Smirne malgrado il governo Prodi. «Siamo stati noi a candidare Milano - ricorda il vice premier - È stato il consiglio dei ministri ad investire sull’Expo, che rappresenta una grande occasione per il Paese».

Presidente, su questo sono tutti d’accordo, è sui meriti della vittoria che i pareri si dividono.

«Lasciamo da parte le faziosità pretestuose. È l’Italia tutta che ha riportato un successo. non solo per l’esposizione in sé, che sarà in grado di attirare oltre 30 milioni di visitatori verso Milano e verso l’Italia. E neppure soltanto per la la fase preparatoria. Perché, come dicono giustamente diversi osservatori, non bisogna fare dell’Expo solo l’occasione per valorizzare aree e costruire padiglioni. Ma, soprattutto, per un tema - quello della nutrizione, del rapporto con la vita umana e con l’ambiente - che individua una questione cruciale per il mondo di oggi»

Perché l’Italia ha prevalso, secondo lei?

«Abbiamo vinto grazie al fatto che abbiamo costruito una rete di alleanze internazionali, soprattutto con i paesi emergenti e i paesi poveri. Abbiamo spiegato che, attraverso progetti di cooperazione, vogliamo coinvolgere l’America latina ma, soprattutto, i paesi africani e quelli del Pacifico. Intorno a Milano abbiamo costruito un grande progetto di cooperazione e di politica estera, quindi. E vorrei dire che adesso ci si aspetta che saremo capaci di realizzare tutte queste cose. Serve anche l’impegno delle Università e dei centri di ricerca. Vorrei ricordare, anche, che sono stati assunti importanti impegni finanziari e risorse da parte della cooperazione internazionale e del governo».

Tutto ciò, in ogni caso, sta diventando materia di polemica elettorale...

«Noi non abbiamo fatto campagna elettorale. In questo caso non ha senso ragionare per schieramenti. Ad esempio, se è vero che Milano è governata dal centrodestra, è anche vero che hanno chiamato Al Gore per presentare il progetto. Cioè, una delle personalità di maggior spicco internazionale del Partito democratico americano. C’era anche Attali, c’era la cultura riformista internazionale intorno a Milano. Altro, poi, se il governo italiano non ha avuto ruolo per favorire la vittoria di Milano! Vorrei ricordare qualche cifra: 120 missioni all’estero in preparazione dell’Expo, un Ambasciatore a capo della delegazione per l’Expo, tre ambasciatori itineranti, una task force congiunta a Parigi, pressing su tutte le capitali in bilico, contatti a tappeto con le Ambasciate a Roma da parte di tutta la struttura della Farnesina. Abbiamo mosso tutta la struttura diplomatica che ha dimostrato notevole qualità e capacità. Abbiamo fatto un gioco di squadra con Milano e questo si è rivelato estremamente efficace».

Oltre Milano, l’Italia come potrà giovarsi dell’opportunità dell’Expo?

«Oggi pomeriggio (ieri, ndr), avremo già una riunione a Palazzo Chigi con il sindaco di Milano. Bisognerà fare dell’Expo un evento nazionale. In coincidenza con l’Expo sulla nutrizione noi, ad esempio, potremmo organizzare un percorso eno-gastronomico dell’Italia. Dobbiamo far diventare questo evento una grande occasione per il Paese».

Berlusconi sostiene che hanno pagato i suoi contatti internazionali e che il governo Prodi non ha alcun merito.

«Berlusconi ha fatto una gaffe, la sua è stata una caduta di stile. In un grande Paese si fa come nel calcio, quando c’è il campionato si tifa per l’Inter, per la Roma o per altre squadre. Ma poi, quando gioca la Nazionale, ci si mette la casacca e ci si impegna per l’Italia. Se uno non si vuole togliere la maglia del proprio club, non può essere convocato in Nazionale. Io, ad esempio, ho interrotto la mia campagna elettorale e sono andato a fare la campagna elettorale per Milano e per il nostro Paese. È evidente che nel risultato di Parigi c’è dentro Milano, ma c’è dentro anche il carattere espansivo della nostra politica estera»

Da Martino in poi, però, è un coro per dire che la politica estera italiana è stata fallimentare.

«Vorrei ricordare che qui, alla Farnesina, si è tenuta la Conferenza per la pace nel Libano, alla quale hanno partecipato rappresentanti di tutte le parti del mondo. Vorrei ricordare che siamo stati eletti nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, nel Consiglio per i diritti umani, nel Consiglio direttivo dell’Unesco, che presiediamo il Comitato ministeriale del Fondo monetario internazionale, che c’è un ammiraglio italiano alla Presidenza del Comitato militare della Nato. Che abbiamo portato al successo la risoluzione per la moratoria della pena di morte. Ogni volta che abbiamo candidato l’Italia, e in diversi contesti, abbiamo sempre vinto. Percorso netto, quindi. Questo dimostra capacità di allacciare relazioni, di riprendere rapporti storici che erano stati dismessi, di suscitare simpatie».

L’Expo ha rilanciato le polemiche del centrodestra verso Prodi. È vero che il Pd “oscura” l’attuale premier?

«Nulla di ciò. Il governo ha fatto bene nelle condizioni date. Non è riuscito a comunicare al Paese una parte importante delle cose buone che ha fatto. Anche perché spesso ciò è stato soffocato dalla dialettica politica. Nello stesso tempo però, lo ha detto Veltroni ed è un suo grande merito, noi proponiamo una cosa nuova. L’oggetto della campagna elettorale non è rifare il governo precedente. Abbiamo preso atto che non il governo Prodi, ma questo tipo di governabilità - fondato su coalizioni multipartitiche e su aggregati che non hanno coerenza programmatica - non è più riproponibile. Dobbiamo spiegare al Paese che noi proponiamo qualcosa di radicalmente nuovo. Con grande rispetto naturalmente, io di questo governo ne faccio parte. Berlusconi, al contrario, propone la riedizione di qualcosa che il Paese ha già provato»

Mancano 15 giorni alle elezioni. Il Pd ha guadagnato molti punti, ma gli indecisi sono ancora molti. Lei e Veltroni, però, mettete in guardia dal rischio astensioni,

«Noi dobbiamo considerare l’anormalità di tornare al voto dopo appena due anni, perché questo dà il senso di una politica malata. E dobbiamo registrare che, soprattutto nella fascia sociale più sofferente, c’è delusione verso la politica in generale. E questo può portare ad una crescita delle astensioni»

Si tratta di settori sociali dove non arriva nemmeno il messaggio di Berlusconi, però.

«Lui sicuramente non è credibile. Il Paese ricorda che governava fino a due anni fa e non ha risolto i problemi. Anche a Napoli, sulla questione dei rifiuti, lui più che altro galvanizza i suoi. Non mi pare che penetri nel popolo profondo. Questo, tra l’altro, percepisce immediatamente le strumentalizzazioni. Ha descritto la Campania sommersa dall’immondizia. Non voglio negare l’esistenza di questo problema, ma dobbiamo dire che, seppure lentamente, stiamo uscendo dall’emergenza».

Cosa bisognerebbe fare per conquistare gli indecisi?

«La novità del Pd ha eroso effettivamente anche l’ elettorato di centrodestra. Lo registro (anche) direttamente, in prima persona. C’è qualcosa che si muove nella borghesia. Ci avverte come una realtà effettivamente nuova, come una forza seria che si è liberata. Però...

Però presidente?

«Però c’è un pezzo dell’elettorato nostro che dev’essere recuperato. Non è che possiamo convincere tutti gli indecisi. Ma dobbiamo recuperare quelli che hanno votato per il centrosinistra nel 2006, che, in questo momento, sono delusi e che, quando ci sono i sondaggi dicono “non sappiamo se andremo a votare". Non è un elettorato che ci critica da posizioni di sinistra radicale, ma un elettorato di persone che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese.

Prodi se ne stava occupando...

«Sì, il Governo aveva cominciato ad occuparsene, ma poi questo lavoro è stato bruscamente interrotto. E il contraccolpo della caduta del Governo, dopo meno di due anni di lavoro serio, ha indubbiamente generato sconforto e delusione.

E come pensate di superare questa delusione?

«Riuscendo a suscitare nuovamente speranza. Sono convinto che bisogna farlo riproponendo i temi sociali al centro della campagna elettorale: il fatto che vogliamo ridurre la pressione fiscale sui salari, che vogliamo stabilizzare il lavoro precario, che vogliamo aumentare le pensioni. E vedo che Veltroni, giustamente, ha preso di petto questi temi. Il nostro messaggio deve essere che queste per noi sono priorità. Noi siamo posizionati politicamente molto bene. La novità del Pd è arrivata. Il punto vero è quello di riuscire a smuovere un elettorato profondo, nel Mezzogiorno ma non solo, e restituirgli speranza»

Presidente è vero che lei giudica un po’ “moscio” lo slogan del Pd, "Si può fare"?

«Ho detto che “yes, we can” io l’avrei tradotto con “sì, possiamo”. Ma si tratta di dettagli. In ogni caso ritengo che importare quello slogan in Italia sia stato geniale ».

C’è chi ha dedotto che se il Pd non raggiungesse il 35% si andrebbe alla “resa dei conti” tra i democratici

«Sono teorie strampalate, non vale nemmeno la pena tornarci sopra».


Pubblicato il: 02.04.08
Modificato il: 02.04.08 alle ore 8.58   
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 02, 2008, 02:59:01 pm »

LE OPERE

Tornerà la città d'acqua: il piano Navigli

Navigabili dalla Darsena a Rho.

Poi il museo del design di Libeskind e il quartiere di Foster

 

PARIGI — «Sarà un'Expo no logo». Senza un simbolo come è stata la Torre Eiffel per l'Expo parigino del 1989 o la stessa Torre Branca per l'edizione milanese del 1906. Milano questa volta non punta sull'immagine, preferisce pensare agli altri, a creare una «rete» per i Paesi in via di sviluppo. Con un slogan: un'università, una scuola, un ospedale per tutti. Ma quello che Letizia Moratti dal palco del Palazzo dei congressi parigino non dice è che Milano comunque cambierà il suo volto. Perché nei 4 miliardi e cento milioni previsti per la realizzazione dei padiglioni dell'Expo alla Fiera di Rho-Pero ci sono anche i soldi per la realizzazione delle due vie di Acqua e di Terra che collegheranno il centro della città al nuovo palazzo espositivo.

Due itinerari di 20 chilometri immersi nel verde che metteranno in connessione tutta la cintura dei parchi cittadini. L'Acqua utilizzerà i Navigli. La Terra zigzagherà seguendo gli itinerari storici di Milano. Dal centro della città, accanto alle due vie, partiranno dei «raggi verdi», piste pedonali e ciclabili, che si ricongiungeranno alla corona di verde dei parchi sulla cintura. E c'è pure un «simbolo », anche se la Moratti parla di «no logo». Che non apparterrà veramente a Milano, ma da Milano dista pochi chilometri.

Tra i nuovi padiglioni dell'Expo sorgerà una torre alta «almeno» 200 metri. Ben al di sopra delle guglie della Madonnina del Duomo, il doppio rispetto al Pirellone. Farà concorrenza ai tre grattacieli, firmati Libeskind, Isozaki e Hadid, che sorgeranno tra qualche anno nei vecchi padiglioni della Fiera. Grandeur lombarda. C'è poi il sito vero e proprio: 110 ettari, la metà a verde, dove sorgeranno i padiglioni, il grande ponte che collegherà la Fiera all'Expo, il Villaggio, piazza Italia. Tutto il quartiere espositivo sarà una «low emission zone», ossia avrà il minor impatto possibile sull'ambiente e sulla domanda di energia. La zona sarà off limits alle auto. I visitatori che vogliono raggiungere l'Expo si dovranno fermare nei parcheggi di corrispondenza e poi verranno trasportati con navette ecologiche. All'interno saranno permessi solo veicoli elettrici, navette a idrogeno o biciclette.

Anche il futuro della cittadella Expo sarà ambientale. Un enorme quartiere ecologico. Niente auto, niente petrolio o gasolio. Raffreddamento e riscaldamento saranno garantiti sfruttando il fotovoltaico, l'energia solare e altri strumenti puliti. Ma l'Expo è più dei singoli elementi. È un catalizzatore e un acceleratore di progetti urbanistici e infrastrutturali. Le due nuove linee del metrò, il prolungamento di quelle esistenti, i grandi collegamenti stradali che la Lombardia sta chiedendo da anni: la Brebemi, la Pedemontana, le nuove tangenziali esterne di Milano. Con un budget a disposizione di 10 miliardi e 100 milioni di euro. Non ci sarà un logo, ma Milano cambierà lo stesso la sua faccia dopo decenni di immobilismo. La cittadella verde

Maurizio Giannattasio
01 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Aprile 02, 2008, 03:07:29 pm »

DOPO LA VITTORIA DI MILANO

L’Expo e il nordismo assistenziale


Conquistata l’Expo ora bisogna fare il bis. Portando a casa con grande abilità l’assegnazione dell’Esposizione Universale del 2015, Letizia Moratti & C. hanno creato le migliori condizioni possibili per riprendere la riflessione sul Nord, le sue ambizioni di primato economico e la collocazione geopolitica. Una cosa è avere in circolo l’adrenalina della vittoria di Parigi, altra è ripartire dai mugugni di Malpensa. Come tutte le sconfitte anche il flop dell’aeroporto padano aveva finito per accentuare la parabola negativa di un settentrionalismo minore. Ai limiti del piagnisteo.

Nato per diretta filiazione dalla Lega, il nordismo nella culla sventolava la bandiera della libertà economica, chiedeva — come ha ricordato Giuseppe Berta nel suo recente libro «Nord»— di smantellare l’economia pubblica e privatizzare quasi tutto, mentre ai giorni nostri stava compiendo il percorso inverso. Era in frettoloso ripiegamento verso il vicolo cieco delle recriminazioni localistiche e della richiesta di protezioni. La questione settentrionale come replay dei logori schemi di quella meridionale. Chiunque promettesse un «tavolo», una qualsiasi sede di concertazione per ottenere aiuti o leggine, rischiava di venir ascoltato dagli amministratori locali e dal popolo nordista come un salvatore della causa. Quasi l’Italia Settentrionale non fosse una delle zone più industrializzate e ricche del Vecchio Continente ma una comunità impaurita localizzata in una delle tante periferie del globo.

Con l’Expo si ricomincia dall’orgoglio. Si tornerà a raffrontare le performance lombarde con quelle dei distretti europei più innovativi come Monaco di Baviera, l’Oxfordbridge e Tolosa. Si riprenderà a ragionare in grande, a guardare al futuro e non a inseguire i fantasmi del declino. Perché tutto non resti al livello della suggestione di carattere culturale sarà importante coinvolgere nello sforzo di Milano tutto il Nord, o se preferite i tanti Nord, viste le grandi differenze che economisti e sociologi non si stancano di sottolineare quando studiano l’evoluzione delle città e delle aree sull’asse che va da Torino a Trieste. Il fallimento del progetto Malpensa trova una spiegazione anche nell’esplodere dei localismi, nell’assurda e provinciale rincorsa a costruire un aeroporto sotto ogni campanile dell’A4 e di conseguenza a frantumare l’offerta di servizi che il settentrione ha messo in questi anni a disposizione dei suoi (ricchi) viaggiatori. La Lombardia commetterebbe un nuovo errore se non sapesse sfruttare quest’occasione per costruire un rapporto meno episodico con il Nord Est, che resta il maggior giacimento italiano di libera imprenditoria e libero lavoro.

Dai primi dati che circolano in questi giorni appare chiaro come il sostegno pubblico alla realizzazione dell’Expo si presenti massiccio. Il 46 per cento degli investimenti previsti da qui al 2015 sono a carico dello Stato, all’incirca 1,5 miliardi di euro. Un altro 26 per cento peserà sul bilancio degli enti locali e i privati saranno chiamati a concorrere alle spese in ragione del 28 per cento. A questi numeri vanno poi aggiunti ovviamente gli investimenti necessari per le lungamente attese Pedemontana, Brebemi e Tem (7,7 miliardi) che graveranno in gran parte sulle casse pubbliche.

I soldi dunque ci sono e tanti. Il rischio è che senza un colpo d’ala dell’imprenditoria privata si scambi la primogenitura nordista, l’orgoglio del primato morale ed economico del Settentrione, con un pur generosissimo piatto di lenticchie. Che ci si limiti ad amministrare pigramente i flussi di spesa senza generare valore aggiunto e ulteriori chance di sviluppo. Un nordismo in chiave assistenziale sarebbe l’ennesimo, e forse il peggiore, degli ossimori italiani.

Dario Di Vico
02 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #4 inserito:: Aprile 02, 2008, 03:08:34 pm »

TEME la «gittata» di cemento

Celentano: Expo? Luci e ombre

La Moratti: «Meglio quando canta»

E sulle elezioni: Walter può fare la rivoluzione. Silvio, invece, è vittima della propria ricchezza


 
(Ansa)
MILANO - Teme la «gettata» (di cemento) finale, Adriano Celentano. E per questo motivo da una parte gioisce «per la grande conquista fatta dall'Italia», ma dall'altra si adombra «sapendo da quali mani scaturiranno gli schizzofrenici progetti per materializzare un'opera che potrebbe veramente essere un messaggio per il mondo, se fosse dato in altre mani non inclini a speculazioni di stampo «sfigurativo».
È il giudizio a luci e ombre sull'assegnazione di Expo 2015 a Milano affidato da Adriano Celentano al suo blog, www.clancelentano.it. «Da come vanno le cose nel mondo, mi sembra di capire che poco o nulla si potrà fare per evitare che questo «capolavoro sospeso nel cielo» scivoli definitivamente in un precipizio senza fine», scive Celentano aprendo il suo intervento dedicato al tema della bellezza e citandosi (da Mondo in Mi7). «È sulla bellezza - sottolinea - che si deve scommettere.
La bellezza da regalare non ai ricchi egoisti ma agli operai che sono il motore del pianeta».

GLI ARCHITETTI - Nell'articolo l'artista critica tra l'altro alcuni architetti - categoria già bersaglio di un suo affondo durante lo show La situazione di mia sorella non è buona, trasmesso da Raiuno lo scorso novembre - responsabili di «cancellare la nostra identità al punto da farci dimenticare chi siamo e da dove veniamo». «Nonostante l'operazione delittuosa intrapresa dagli archi-carnefici contemporanei - riflette ancora Celentano - abbiamo ancora in serbo una bellezza interiore che dobbiamo solo avere il coraggio di risvegliare, per mettere in atto quella che sarebbe la nuova rivoluzione economica. Ma dobbiamo fare presto, prima che questo angolo di «meraviglia» racchiuso ancora per poco dentro ognuno di noi, si addormenti definitivamente in un coma irreversibile nel quale ci stanno trascinando le nuove star dell'architettura... E il colpo di grazia è già in canna, scrive il molleggiato, pronto per la sua «gittata» finale sull'Expo.

LA MORATTI: «PREFERISCO SENTIRE LE SUE CANZONI» - La replica del sindaco di Milano è arrivata puntuale: «Preferisco sentire le sue canzoni. Non penso abbia competenze urbanistiche tali da fare critiche senza conoscere i progetti». Così - intervenendo telefonicamente a "Panorama del giorno", programma inserito all'interno di "Mattinocinque" - il sindaco di Milano, Letizia Moratti replica a Adriano Celentano. Il disegno per l'Esposizione Universale, ha proseguito il sindaco, prevede come «segno» principale da lasciare in eredità, «un centro di sviluppo sostenibile» destinato a divenire un «punto centrale» per avviare «progetti di aiuto a Paesi in via di sviluppo, per creare, in più Paesi possibili, scuole, ospedali, centri di ricerca». Celentano, ha concluso Moratti, «prima legga i progetti e poi parli, anzi, meglio che canti...»

ELEZIONI - Il Molleggiato trova anche qualche considerazione per la sfida tra Veltroni e Berlusconi «Caro Walter, mi rivolgo a te prima che a Silvio. Per lui è più difficile mettere in pratica una politica che va contro il suo stesso «immobiliarismo». Già adesso, in nome dei più bisognosi, lo sentiamo parlare di apertura dei cantieri, e non è difficile immaginare lo sfacelo a cui andremmo incontro se vincesse lui». Veltroni invece, scrive ancora Celentano rivolgendosi a Berlusconi, «ha avuto la geniale idea di correre da solo e che giorno dopo giorno sta accorciando la distanza che vi separa». Per Celentano, Berlusconi non può fare rivoluzioni, anche se in cuor suo lo vorrebbe: dovrebbe combattere contro troppe persone e, soprattutto, contro la propria ricchezza.


01 aprile 2008(ultima modifica: 02 aprile 2008)

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