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Autore Discussione: Oliviero Beha. I coccodrilli del giorno dopo  (Letto 2435 volte)
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« inserito:: Aprile 01, 2008, 10:24:53 pm »

I coccodrilli del giorno dopo

Oliviero Beha


Se il pullman non fosse stato di tifosi juventini... Se si fosse trattato solo di un incidente tragico prima o dopo una gita... Magari se gli ultras del Parma non fossero stati ultras e invece pellegrini di Padre Pio in visita gemellata al santuario di Oropa... Se i mezzi di informazione quindi avessero ignorato la cosa... Se oggi le preoccupazioni per Roma-Manchester fossero solo (e sarebbero bastate) quelle che erano sabato scorso... Sappiamo tutti benissimo che né la storia né la cronaca si fanno con i se. Ma forse piuttosto che ripetere le solite litanie, aggiornare magari impropriamente o in modo fuorviante l’elenco dei morti da calcio, soprattutto spacciare e vendere all’incanto mediatico con la bavetta cinica alla bocca una merce che tira, vale la pena andare al bersaglio grosso.

Senza rinviare ulteriormente il discorso alla prossima occasione. Che viene sempre, come vedete. Dico della trasformazione del calcio nelle cose e nella psicologia con cui viene vissuto. Del livello di preparazione con cui si affrontano i problemi interni ed esterni al calcio. Della volontà politica autentica e non recitata o retorica di mettere a fuoco quello che è diventato un motivo di forte disagio sociale.

Perché il punto è fondamentalmente questo: un investimento emotivo da tempo libero tradotto negli anni in un formidabile business che crea oggi più tensione di quanta ne dovrebbe sublimare o incapsulare nel tifo.Da un pretesto intensissimo di sfogo della vita quotidiana a un generatore di energia negativa che peggiora la stessa quotidianità che doveva invece rasserenare o alleggerire.

È diventata un’emergenza nazionale con cadenze da rubrica fissa proprio per questa trasformazione. Il caso ultimo di Matteo morto così a ventottanni come era morto in quell’altro modo assurdo il suo coetaneo laziale Gabriele, in un perverso calendario gotico che lega la stessa domenica di campionato all’andata e al ritorno con la morte, esemplifica perfettamente la tragicità della questione. Se Matteo muore travolto da un camion mentre attraversa la strada è diversissimo dalla sua morte per “mano calcistica” sia pure incidentale, casuale, indiretta, frutto della “tensione nel mondo del calcio e del tifo”. Nel primo caso non fa notizia, nel secondo ovviamente come si vede sì. Naturalmente perché il calcio è insieme una merce ghiotta e un gran detonatore mediatico. E i media, influenzando pesantemente l’opinione pubblica (ormai assai più pubblica che opinione) prima hanno “venduto” la eccezionalità della “morte da calcio” e oggi la stanno traducendo più o meno scientificamente sul mercato in una sorta di “rubrica”. È il rischio che corrono le notizie periodiche delle morti in Iraq, ormai ridotte a rubrica per il pubblico.

Per evitare che il calcio e le notizie su di esso facciano la stessa fine, che cioè “si normalizzi un calcio con morti e feriti” rubricandolo e poi magari derubricandolo, bisogna procedere a una revisione completa del fenomeno, a tutti i livelli. Bisogna ridare al calcio una sua identità non mischiata con le brutture del resto del Paese o ad esse sovrimpressa visto che ancora viene vissuto almeno in parte come un’altra cosa,come il postumo del calcio “infantile” di una volta. Questo angolino psicologico ha il suo valore. Ancora. Non va dissolto del tutto, pena il fatto che un’isola di svago sia ormai un continente di pena. Per questo ancora fa effetto il morto da calcio. Per il raffronto emotivo tra ieri e oggi. Altrimenti sarebbe già stato omologato come effetto collaterale e non farebbe notizia.

A proposito di Manchester stasera con la Roma, l’Inghilterra ha tracciato una strada con consapevolezza politica e culturale metacalcistica. Stadi propri, sicurezza senza rete e molte telecamere ecc. Ma aveva ed ha ancora un tessuto antropologico sportivo che regge. Lo sport è pratica moderna anglosassone. La cultura passa di lì, malgrado gli hooligans.

Qui invece ci si stracciano le vesti e si prega che stasera all’Olimpico non accada nulla per merito della polizia o malgrado a volte la polizia. È vero, in termini di stretto ordine pubblico qualcosa dopo Raciti e dopo Sandri è migliorato, i numeri sono un po’ meno sconfortanti riferiti alle statistiche. Ma il calcio degenerato non viene, come si dice, “percepito” meglio, bensì nello stesso modo o peggio, anche perché appunto la merce ghiotta del “morto da calcio” continua a sbancare il mercato mediatico, con le conseguenze che sappiamo. Siamo stufi, spero, del “ma vorremmo tanto parlare solo del calcio giocato” degli addetti ai lavori che sul fenomeno si sono arricchiti (non intendo culturalmente...): ma come, dove eravate negli ultimi vent’anni mentre il calcio prendeva questa china precipitosa? Parlavate del calcio giocato? E infatti ecco qua come siamo ridotti.

La questione insomma viene posta per gli italiani quasi esclusivamente come questione di ordine pubblico, e davvero non sembra prossima a soluzione. Il motivo è banale: non è prossima a soluzione né tantomeno viene percepita come prossima a soluzione proprio perché “non è” come si ostinano a sostenere principalmente una questione di ordine pubblico. È invece un disagio diffuso che mischia diverse componenti che non sono facili da decifrare specie se nessuno ha intenzione di decifrarle. Ed è invece il lavoro che andrebbe fatto. Bisognerebbe ridare una sorta di identità e di carta di identità al pallone, bucato nella sua stolida rotondolatria opportunistica.

Il calcio non è all’ordine del giorno della politica, benché crei molti problemi quando non si vincono i Mondiali: al presidente del Milan pluripresidente del Consiglio e oggi preoccupato che il Milan a secco gli pregiudichi le elezioni evidentemente “questo” calcio è sempre andato bene così. E forse lo stesso Prodi non ha sfruttato l’occasione di Calciopoli per ripulire calcio e Paese. E potrei continuare. Nelle scuole italiane disastrate di loro la questione culturale del calcio non si è mai posta. Sul piano economico è un buco spaventoso pieno di scandali, di cui non ci si occupa mai seriamente se non con un lassismo vergognoso (ricordate lo spalma debiti della Lazio? Parlatene con un pensionato) ecc. ecc.

Dunque siamo seri, parafrasando un Garibaldi d’annata. O si vuole parlare di che cosa è il calcio, di che cosa è diventato, di che cosa dovrebbe essere in uno scenario sociale accettabile, oppure tanto vale smetterla con i rosari da parareligione (le squadre di calcio non sono “una fede”?) o con i bollettini para-bellici. Tutto già visto, scritto e descritto, mentre si muore così evidenziando da sintomi una malattia più generale del sistema-Paese che evidentemente nessuno vuole o sa curare. Il calcio non conviene a tutti? Dimostrare il contrario nei fatti e non solo dal Viminale, prego...

Pubblicato il: 01.04.08
Modificato il: 01.04.08 alle ore 13.12   
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