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Autore Discussione: De Mistura: l’Onu darà una chance alla pace in Iraq  (Letto 2263 volte)
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« inserito:: Marzo 21, 2008, 12:15:55 am »

De Mistura: l’Onu darà una chance alla pace in Iraq

Toni Fontana


Sulle sue spalle pesa una responsabilità enorme e faticosa: riportare l’Onu al centro della scena irachena, far sventolare la bandiera azzurra delle Nazioni Unite in un paese violento, spaccato dagli odii e dalle divisioni etniche, confessionali e politiche. Staffan De Mistura, inviato speciale di Ban Ko Moon in Iraq, descrive da Baghdad la situazione politica, i principali problemi aperti e, soprattutto, svela la strategia dell’Onu per dare l’ultima chance al Paese da 5 anni in guerra.

Bush ha detto anche ieri che l’intervento «è stato un successo incontestabile» anche se «la battaglia è stata più lunga, più dura e costosa del previsto». Gli americani però (il 64% secondo un sondaggio reso noto ieri) pensano che non valesse la pena di attaccare l’Iraq.

A cinque anni dall’inizio del conflitto la pace appare ancora lontana, la riconciliazione non è a portata di mano. Da pochi mesi l’Onu è nuovamente a Baghdad. Con quali ambizioni?
«Il 2008 sarà un anno cruciale, su questo qui a Baghdad nessuno nutre dubbi, lo sanno gli iracheni, la comunità internazionale e lo sappiano noi dell’Onu».

Perchè?
«In certe occasioni appare a tutti chiaro che è venuto il momento di decidere. Nel 2009 la presenza degli americani in Iraq sarà diversa, non sarà quella di oggi. Quest’anno scade l’accordo bilaterale tra Stati Uniti ed Iraq e si concluderà il negoziato tra Washington e Baghdad per definire la presenza Usa. Appare realistico ritenere che il Consiglio di sicurezza dell’Onu non rinnoverà il «capitolo 7°» (uso delle forza militare Ndr) e che, di conseguenza, le autorità irachene assumeranno la responsabilità dell’intero paese, e ciò è molto importante. Nel 2008 si vedrà dunque se gli iracheni troveranno un accordo tra loro o se individueranno altre formule per convivere. Tutto ciò non è scontato; gli attentati che Al Qaeda sta compiendo vengono attuati appunto per disturbare questa prospettiva».

Conferma che vi è stata un’attenuazione dei livelli di violenza?
«Escludendo due provincie (Mosul, Dyala) nel resto dell’Iraq la violenza è calata in modo generalizzato. A Baghdad vi erano 300 “incidenti” ogni 3-4 giorni, oggi il numero è calato a 90, vi è stato un miglioramento».

Ciò rappresenta la conseguenza di quali misure, di quali iniziative?
«Ciò è stato determinato da quattro fattori: 1) Il piano per la sicurezza che è stato progettato dagli americani e diretto dal generale Petraeus ha avuto effetti indiscutibili, 30-40mila soldati in più, schierati sulle strade, nei punti “sensibili” hanno aumentato la sicurezza. 2) La tregua proclamata dal Moqtada al Sadr (estremismo sciita Nrd) ha avuto come conseguenza il fatto che i colpi di mortaio che cadono nella “zona verde” sono diminuiti del 60-70% 3). Il coinvolgimento delle tribù sunnite per isolare Al Qaeda si è rivelato una mossa giusta. Circa 87mila iracheni sunniti ricevono 300 dollari al mese e ciò ha contribuito ad una relativa stabilizzazione. 4) Gli iracheni, tutti, sono stanchi delle violenze che hanno provocato lutti immensi e enormi problemi. Fino ad oggi 4,2 milioni di iracheni (su una popolazione di circa 20 milioni Ndr) ha abbandonato le proprie abitazioni, metà sono sfollati interni al Paese, metà hanno scelto la via della fuga e sono rifugiati nella regione. Molti si sono resi conto che da queste violenze non è emerso nessun vincitore, che molto sangue è stata versato per nulla».

Gli iracheni sfollati o rifugiati ricevono un adeguato aiuto?
«No, anche l’impegno del governo iracheno non è all’altezza dei problemi e delle emergenze. Occorre fare di più e le risorse non mancano. Il governo di Baghdad ha ricavato 48 milioni di dollari dalla vendita del petrolio, e, in seguito all’aumento del prezzo del greggio, incasserà altri 10-15 miliardi di dollari. L’Onu sta insistendo in modo pressante e quotidiano affinché queste ingenti somme servano per aiutare le popolazioni che hanno bisogno di aiuto. Questo è il nostro impegno prioritario».

L’Onu intravede dunque la possibilità di agire e di rafforzare la sua azione in Iraq?
«Si tratta di cogliere oggi l’opportunità che si presenta. Si comincia a vedere una luce in fondo al tunnel, ma il tunnel è stretto e corto. L’obiettivo centrale è quello di favorire il ritorno dei sunniti al governo e di giungere all’approvazione condivisa di alcune leggi. La più importante è quella che regola la ripartizione dei proventi della vendita del petrolio. È su questa scelta che si concentrano i sospetti, le divisioni, le diffidenze».

Quali sono gli altri pilastri della strategia dell’Onu?
«Il primo è appunto l’approvazione della legge sul petrolio, il secondo è la soluzione della questione di Kirkuk (grande centro petrolifero del nord, popolato e conteso tra curdi, sciiti e sunniti, e turcomanni Ndr), una vera e propria mina che va disinnescata. Fortunatamente la decisione di convocare un referendum in quella città per definirne lo “status” è stata riveduta e la convocazione degli elettori è stata posticipata a data da destinarsi. Il terzo punto, certamente non meno importante dei due precedenti, riguarda la revisione della legge elettorale al fine di indire elezioni amministrative e locali. Ciò è molto importante per dare voce a chi è stato finora escluso dal processo elettorale potrebbe essere attratto dalla violenza. Anche su questo l’impegno delle Nazioni Unite è molto forte».

Gli americani sostengono il programma che lei ha delineato?
«Gli americani sono convinti che l’Onu deve poter svolgere un ruolo maggiormente influente e noi siamo convinti di poter essere un soggetto importante per dare una chance all’Iraq».

L’Italia può dare un contributo alla stabilizzazione e quale?
«Anche in un Paese difficile come l’Iraq l’Italia gode di ottima reputazione. L’attuale dirigenza irachena apprezza la presenza, poco nota e valorizzata in Italia, dei carabinieri che addestrano la polizia. Gli iracheni accettano questo contributo perché viene dalla Nato e quindi sanno di poter trattare alla pari, cioè con un soggetto di pari grado, non vi sono forzature. L’Italia offre anche un’importante collaborazione nel campo della giustizia e nella riabilitazione delle strutture sanitarie. Infine, ma non da ultimo, c’è in Iraq il pressante problema del rispetto dei diritti umani. Ogni tre mesi l’Onu pubblica un rapporto che documenta le sofferenze della popolazione, delle donne, dei carcerati».

Pubblicato il: 20.03.08
Modificato il: 20.03.08 alle ore 13.30   
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