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Autore Discussione: Luigi Cancrini. Turismo sessuale: l’Italia e il record della vergogna  (Letto 2473 volte)
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« inserito:: Marzo 26, 2008, 04:39:36 pm »

Turismo sessuale: l’Italia e il record della vergogna

Luigi Cancrini


Ottantamila ogni anno i nuovi turisti del sesso in cerca di minorenni: in Asia e nei Carabi, in Kenia ed in Mongolia. Sfidando le leggi e le più elementari riserve morali. Utilizzando la complicità dei tour operator più spregiudicati ma utilizzando soprattutto il web e la possibilità di organizzare (pregustare?) tutto da casa. Con gli italiani in testa alle classifiche come raccontava ieri in una serie di servizi, atroci e ben documentati, il Corriere della Sera riportando i pareri autorevoli (e lo scoraggiamento doloroso) dei rappresentanti dell’Unicef e delle altre organizzazioni che in tutto il mondo si battono nel tentativo di arginare un fenomeno orrendo e, apparentemente, inarrestabile. Difficile non riflettere, nel momento in cui ci si trova di fronte a dati come questi, sul modo in cui la vita del nostro Villaggio Globale è condizionata in modo sempre più pressante dalla potenza del dio denaro. I bambini vittime di sfruttamento sessuale a Santo Domingo, scrive Gabriela Jacomella, sono almeno 35.000 e chiunque può portarseli a letto per un pugno di dollari, dai 10 ai 30 (dai sette ai quindici euro): per un turista il prezzo di una cena, per un dominicano la paga di una settimana. Il che spiega insieme, purtroppo, il perché dell’abbandono in cui questi bambini sono lasciati da genitori (più spaventati, forse, che avidi) ed il perché del boom di un turismo sessuale in cui tutte queste cose ci si possono permettere spendendo poco o con la prospettiva, magari, di guadagnarci perché molti sono i turisti che filmano le loro “avventure”. Pronti, domani, a metterle in rete: en amateur e su siti peer to peer come si dice adesso ma anche a pagamento. Con un rischio davvero minimo, alla fine, di essere intercettati se il fenomeno è ormai così diffuso da rendere del tutto casuale l’intervento di una polizia che non può battere di continuo l’intero spazio (sconfinato) di internet. «Dormo sulla spiaggia, qui arrivano i clienti, dice Josia, dodici anni, che vogliono rapporti orali o sesso por atrás».

Abusi sessuali comunque, nel nome per lui di una quantità di denaro che vale la paga di una settimana del padre o della madre e nel nome, per chi gliela dà, di una mancia. Segnalando, con una forza simbolicamente straordinaria, che cosa è ancora oggi l’oppressione che l’uomo può esercitare su un altro uomo (sul suo bambino o sulla sua bambina) «Son nostre figlie/le prostitute/che muoion tisiche/negli ospedàl», cantavano da noi gli anarchici alla fine dell’Ottocento prima che la capacità di organizzarsi dei lavoratori mettesse dei limiti alle miserie e agli orrori del capitalismo selvaggio. Muoiono di Hiv invece che di tubercolosi i bambini oggetto del turismo sessuale di oggi costretti a darsi «por atrás», senza profilattici nella metà dei casi (secondo l’Unicef), dalla furia più che bestiale di questi brutti rappresentanti all’estero del nostro Paese e della nostra cultura. E uguale mi sembra, tuttavia, la ragione economica della sottomissione di quelle che erano allora le figlie degli operai e di quelli che sono oggi i bambini dei poveri in una fase della storia del mondo in cui il capitalismo (che selvaggio, quando può, non smette mai di essere) si è trasformato (dichiaratamente, abilmente e spregiudicatamente,) in impresa sopranazionale: globalizzata e globalizzante.

Senza che ci siano più un Marx o un Engels, però, capaci di chiamare a raccolta, perché si uniscano contro i loro sfruttatori, tutti gli sfruttati del mondo. Se questo è il problema dal punto di vista economico (o, forse, politico), quello che va affrontato è però anche l’altro versante, quello relativo ai “turisti”. Di cui sappiamo dall’inchiesta che non sono “pedofili” (malati, cioè, di pedofilia in quanto obbligati dal loro interno a fare sesso solo con dei bambini) o vecchietti più o meno “bavosi” ma uomini e donne, fra i trenta e i cinquanta, efficienti, manageriali, sportivi, dal reddito e dal livello culturale “alti”. Uomini e donne, cioè, che cercano semplicemente (o non tanto semplicemente) una occasione di piacere in più o una esperienza comunque diversa, capace di farli sentire insieme potenti (“faccio tutto quello che voglio”) e abbrutiti (“mi faccio un po’ schifo”): nel modo in cui più o meno ci si sente, forse, dopo una piccola orgia quando il sesso viene “arricchito” dall’alcool o dalla cocaina.

Su linee che sono quelle, insomma, del bisogno indotto e di un consumismo che può alienare completamente l’uomo da se stesso. Contro cui giusto è, sicuramente, muoversi sul piano repressivo perché questo è l’unico modo, in fondo, per riproporre a tutti l’esistenza del limite oltre cui non si può andare. Contro cui quella che si dovrebbe riuscire a mettere in moto, tuttavia, è soprattutto una grande, violenta ondata di indignazione collettiva: capace di collegare il fatto (lo sfruttamento sessuale del minore) alla sua ragione particolare (la violenza dello sfruttatore) e sociale (la violenza della prevaricazione dell’uomo ricco di denaro e di potere). Faremo ancora politica un giorno su questi temi? Usciremo ancora dall’agenda sempre più soffocante che ci allontana ogni giorno di più dalla Politica vera? Davvero le categorie che più continuano a sembrarmi utili, mentre mi guardo intorno e ragiono su un mondo in cui è così difficile riconoscersi, mi sembrano ancora quelle dell’analisi portata avanti da Marx nei suoi Manoscritti del 1844 e da quelli che per tanto tempo (l’ultimo è stato Attali nel suo bel libro su di lui, Karl Marx. Ovvero, lo spirito del mondo) hanno continuato a credere nel fatto che la storia ha un senso e delle finalità poste molto al di là delle aspirazioni del singolo.

Pubblicato il: 26.03.08
Modificato il: 26.03.08 alle ore 10.53   
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