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« inserito:: Giugno 19, 2007, 10:44:41 pm » |
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Maledetto oro nero di Federica Bianchi
L'Africa ne è piena. Produce miliardi di dollari. Ma non crea ricchezza. Al contrario alimenta la corruzione politica e i conflitti armati Sette anni fa un oleodotto in Ciad diede vita a un nuovo standard per lo sfruttamento del petrolio in Africa. Pensato per proteggere l'ambiente e sollevare il Paese dalla povertà, il progetto da 4,2 miliardi di dollari arrivò accompagnato da una serie di salvaguardie destinate a mettere al riparo i ricavi del petrolio dai politici corrotti. I soldi sarebbero stati mantenuti in un conto a Londra, dove il 10 per cento sarebbe stato destinato alle generazioni future. I quattro quinti del denaro restante sarebbero stati impiegati per costruire scuole, infrastrutture stradali e sanitarie e investiti in servizi sociali.
Il progetto aveva i suoi scettici, ma ebbero la meglio i sostenitori. Dichiararono che soltanto liberando il petrolio intrappolato nel deserto del Ciad gli abitanti avrebbero finalmente potuto uscire dalla povertà. "Nessuno può garantire che il 100 per cento dei profitti sarà utilizzato responsabilmente, ma una cosa è certa", disse Robert Calderisi, l'allora portavoce della Banca Mondiale in Africa: "Se i campi di petrolio non sono esplorati, non un solo centesimo sarà destinato alla lotta contro la povertà".
Oggi sono in molti a pensarla in modo opposto: il petrolio non solo non migliora gli standard di vita dei paesi dai quali sgorga, ma tende a peggiorarli. Paul Collier, ex direttore del dipartimento di Ricerca della Banca Mondiale e professore di economia a Oxford, ha studiato la relazione tra i prezzi delle materie prime e la crescita economica in Africa per capire che benefici avrebbe portato al continente più povero della Terra l'attuale boom mondiale delle materie prime: "Generalmente questi aumenti dei prezzi producono degli effetti a breve termine che sono positivi e degli effetti a lungo termine che sono devastanti", racconta. Secondo il suo modello, i paesi produttori di petrolio, legno e minerali vedono il loro prodotto interno lordo crescere del 10 per cento nei primi sette anni, per assistere poi due decenni più tardi a un crollo del 75 per cento rispetto al punto di partenza. L'improvvisa ricchezza in paesi impreparati conduce a un consumo pubblico instabile, al rialzo dell'inflazione, all'aumento delle ineguaglianze sociali, al protezionismo commerciale e a un serio pericolo di guerra civile. "Si corre il rischio del collasso come è avvenuto in Sierra Leone", spiega Collier.
Un esempio ben noto è la Nigeria, che ha perso circa 400 miliardi di dollari tra sprechi e corruzione da quando ha cominciato a pompare petrolio nel 1960 (come termine di paragone, nello stesso periodo di tempo l'Occidente ha dato in aiuti all'Africa occidentale circa 650 miliardi di dollari). Nel delta del Niger, le scuole e gli ospedali sono a pezzi. La regione si percorre meglio in barca che in jeep, date le condizioni delle strade. Le fuoriuscite di petrolio sono all'ordine del giorno. La disparità tra la ricchezza sotterranea e la povertà a cielo aperto ha dato vita a rivolte su ampia scala, con gruppi armati che attaccano regolarmente le infrastrutture petrolifere. Bombardando gli oleodotti e rapendo i lavoratori stranieri, hanno messo fuori uso un terzo della produzione petrolifera del paese. Ogni operazione scatena i brividi lungo le dorsali del mercato internazionale dell'oro nero. "Il petrolio è una maledizione e non solo in Africa", dice Stephen Morrison, direttore per l'Africa al Centro di studi strategici e internazionali: "Ma noi stiamo vivendo nella petro-era".
Non tutte le materie prime sono fonte di disastri, come dimostra lo studio dei prezzi di zucchero, caffè e cotone . "I soldi dell'agricoltura arrivano agli agricoltori", spiega Collier: "Il problema sono i soldi che passano per le mani dei governi". Pedro Vincente, un ricercatore nel dipartimento di Collier, ha paragonato gli ultimi anni di storia politica in Capo Verde e S o Tomé, due ex colonie portoghesi dove il petrolio è stato trovato di recente. La corruzione è esplosa ancora prima che fosse estratto: "Si combatteva per poter essere in una posizione di potere al momento dell'inizio della produzione petrolifera", spiega.
E il Ciad? Fin dall'inizio il presidente Idriss Déby ha usato i primi 4,5 milioni di dollari di bonus per comprare armi. Poi, nel 2005, dopo avere modificato la costituzione per potere rimanere in carica un terzo mandato, incoraggiato dai ribelli del Darfur ha semplicemente riscritto la legge. Ha abolito il conto in Inghilterra, eliminato il fondo per le generazioni future e aggiunto la 'sicurezza' alla lista dei progetti di sviluppo per il Paese. Dall'inizio della costruzione dell'oleodotto nel 2000, il Ciad è passato dal 167esimo al 171esimo posto della classifica sullo sviluppo umano stilata dalle Nazioni Unite.
da espressonline.it
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