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Autore Discussione: La relazione del presidente Lazzaro: "Inadeguata la politica dei redditi"  (Letto 3199 volte)
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« inserito:: Febbraio 06, 2008, 03:15:59 pm »

ECONOMIA

L'inaugurazione dell'anno giudiziario 2008 della Corte dei Conti

La relazione del presidente Lazzaro: "Inadeguata la politica dei redditi"

"Conti pubblici in netto miglioramento ma corruzione ancora molto diffusa"

Manca la possibilità di "poter disporre delle risorse che si stanno sperperando"

Insufficienti gli investimenti.

Tagli indiscriminati intaccano la dignità delle amministrazioni


ROMA - I conti pubblici appaiono in netto miglioramento: il giudizio, espresso dalla Corte dei Conti, emerge dalla relazione del presidente della Corte dei Conti, Tullio Lazzaro, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2008. Ma il livello degli investimenti è minimo, con un conseguente freno dello sviluppo, e l'attuale politica dei redditi per gli statali "non è adeguata".

La Corte dei Conti denuncia anche la propria impossibilità di effettuare un adeguato controllo sugli sperperi. "La Corte dei Conti - ha detto Lazzaro - deve poter disporre direttamente e con efficacia immediata il blocco delle risorse che si stanno sperperando''. Il riferimento è ai costi sempre più esorbitanti della politica, ai contratti pubblici e al frequente ricorso alle consulenze esterne. Inoltre, la Corte dei Conti denuncia la permanenza della corruzione "nel settore dei lavori pubblici e delle pubbliche forniture, nonché nella materia sanitaria".

Uno stato di malessere. "La Repubblica vive un momento di diffuso malessere e incertezza", ha sottolineato il presidente della Corte dei Conti. Secondo Lazzaro occorrerebbe "riconsiderare" alcune scelte per "ridare sistematicità all'insieme degli organismi amministrativi a tutti i livelli". Lazzaro ha evidenziato il "crescere confuso di strutture, di modelli amministrativi, di sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni centrali e enti locali, disarmonicità, conflitti irrisolti".

Le retribuzioni degli statali. Tra i risultati di queste inefficienze una inadeguata politica dei redditi per gli statali "così come impostata fino ad oggi". "La dinamica delle retribuzioni supera sistematicamente gli obiettivi programmatici - ha denunciato Lazzaro - a causa di molteplici distorsioni", tra le quali i ritardi dei rinnovi contrattuali o la non connessione con la produttività.

Distorsioni nelle società pubbliche. Un altro esempio negativo è la formazione di "debito implicito e di altre gravi distorsioni gestionali legate alla creazione di società pubbliche spesso senza trasferire in tali società personale delle amministrazioni pubbliche che in origine gestivano il servizio". Lazzaro ha sottolineato il rischio che la Corte dei Conti ha ripetutamente sottolineato per le amministrazioni centrali e locali "di servirsi di consulenze esterne senza avere i mezzi interni per controllarne e istituirne il contributo, con il probabile risultato di perdere il controllo della gestione strategica delle operazioni".

Tangenti negli appalti. La corruzione rimane una piaga: secondo il procuratore generale della magistratura contabile, Furio Pasqualucci, "profili di patologie" sono evidenti "nel settore dei lavori pubblici e delle pubbliche forniture, nonchè nella materia sanitaria". In particolare, risultano in aumento le condanne per danni materiali e per danni all'immagine della P.A. pronunciate dalla Corte dei Conti in seguito al pagamento di tangenti (per concussione o corruzione) durante la stipula di contratti.

"Non agire" un problema. Il vero problema del settore pubblico, sul fronte delle decisioni e dei controlli, è il "non agire", secondo la Corte dei Conti. "Il non agire protratto per anni - ha detto Lazzaro - può provocare danni di tale entità per i quali nessun giudice, probabilmente, riuscirà mai a pervenire a una quantificazione tanto meno ad ottenere il risarcimento".

Serve poter bloccare sperperi. E invece la Corte dei Conti dovrebbe "poter disporre direttamente e con efficacia immediata il blocco delle risorse che si stanno sperperando", rimettendo però poi naturalmente al ministro dell'Economia "ogni successiva decisione in ordine all'eventuale prosecuzione dell'attività sospesa, ovvero al re-impiego delle risorse bloccate su altri versanti della spesa pubblica".

Pochi investimenti e troppi tagli. La Corte dei Conti rimprovera alla Pubblica Amministrazione non solo gli sperperi, ma anche i pochi investimenti: "La flessione rilevante delle spese di investimento è certo una forma di risparmio per far quadrare i conti dell'anno. Ma - ha detto Lazzaro - alla lunga, erode le capacità di dare risposta alle esigenze di sviluppo del paese". Da segnalare anche il fatto che la pratica a cui spesso si ricorre di "tagliare in modo indiscriminato le spese per i consumi intermedi, ha fatto sì che esse siano giunte a un livello tale da intaccare l'operatività e la stessa dignità delle amministrazioni".


(5 febbraio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 06, 2008, 11:26:40 pm »

E le famiglie si impoveriscono

Alfredo Recanatesi


Ancora un picco di inflazione: quasi il 3% in un anno e lo 0,4% nel solo gennaio. Nel resto d’Europa le cose vanno peggio con una inflazione superiore al 3%. Un tempo un’inflazione più bassa di quella che si registra nei Paesi con i quali ha più senso confrontarci era segno di stabilità o, addirittura, di maggiore virtù.

Oggi non è più così. Siccome le determinanti dei prezzi sono ovunque assai simili, una inflazione più contenuta è dovuta, come direbbero gli economisti, ad una maggiore elasticità della domanda.

Tradotto, significa che i rincari trovano una maggiore resistenza in una domanda che reagisce riducendosi. In parole ancora più esplicite, il potere d’acquisto di gran parte della popolazione è già al limite, non ha margini per sostenere ulteriori rincari, per cui se i prezzi aumentano non rimane che ridurre le quantità acquistate. Almeno per molti generi, quindi, risulta più difficile trasferire sui prezzi finali l’aumento dei costi, come quelli dell’energia o di alcune derrate alimentari, e questo spiega come, pur vivendo tutti nello stesso mondo, da noi i prezzi al consumo stiano aumentando meno che nel resto d’Europa.

Del resto, i dati dell’Istat dicono che i maggiori rincari, con il quattro e più per cento di aumento annuo, sono stati registrati dai trasporti (benzina e gasolio), alimentari e abitazione (casa, elettricità, acqua, combustibili), insomma i consumi più popolari, quelli più vitali, quelli che tanto più pesano quanto più è modesto il reddito del quale si dispone. Se poi si mette nel conto che una inflazione europea superiore al 3% allontana la prospettiva di una riduzione significativa dei tassi di interesse, e dunque del costo dei prestiti e dei mutui, il quadro della condizione nella quale versano le fasce di reddito più basse si completa.

Due sono le indicazioni che si ricavano da questi dati. La prima, la più generale, è l’impoverimento che il Paese nel suo complesso sta subendo. L’inflazione con la quale abbiamo a che fare è prevalentemente importata. Essa è originata in primo luogo dai prezzi internazionali dell’energia e da tutti quelli per i quali l’energia ed il petrolio costituiscono componenti rilevanti di costo, nonché da alcune derrate, come il grano, per le quali l’uso alimentare è conteso in misura crescente da quello per la trasformazione in biocarburanti. Il sistema produttivo nazionale non ha produzioni che, per esclusività o innovazione, consentano di "rifarsi" e compensare i rincari che è giocoforza subire. La conseguenza è un trasferimento netto di ricchezza fuori d’Italia e, in definitiva, un impoverimento del Paese nel suo complesso.

Ma questo impoverimento - ed è la seconda indicazione che viene dai dati sui prezzi - è tutt’altro che omogeneo. Come è evidente dalle categorie merceologiche che hanno presentato i maggiori rincari, si concentra sulle fasce di reddito più basse; in altre parole accentua la sperequazione distributiva nella quale l’Italia ha già un ben poco invidiabile primato europeo.

Questi dati sono usciti nel giorno nel quale il Presidente della Repubblica si è trovato costretto a decretare la fine prematura della legislatura. Bene che va, un governo nel pieno delle funzioni per poter affrontare il problema dell’impoverimento e, contestualmente, quello della equità distributiva non lo vedremo che tra tre o quattro mesi: non è poco in considerazione dei venti di crisi economica che vanno rinforzando nel mondo e della urgenza che reclama la crescente ampiezza dell’area del disagio sociale e della vera e propria povertà.

Piangere sul latte versato è cosa notoriamente inutile; speriamo che non sia altrettanto inutile sollecitare le forze politiche a confrontarsi costruttivamente su questi temi attorno ai quali ruota l’innegabile declino economico e sociale del nostro Paese.


Pubblicato il: 06.02.08
Modificato il: 06.02.08 alle ore 15.02   
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