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Autore Discussione: Saverio Lodato - Telejato, il «tg corsaro» in diretta-fiume contro i boss  (Letto 3058 volte)
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« inserito:: Febbraio 02, 2008, 09:57:42 am »

Telejato, il «tg corsaro» in diretta-fiume contro i boss

Saverio Lodato


Il suo personalissimo tg, che dura dalle 14 e 30 alle 16 e 30, che France 2 definì «il telegiornale più lungo del mondo», è da guinness; magari un primato antitetico a quello dei «due minuti di varietà di Fiorello», ma un signor primato anche il suo, non c’è che dire. Il giornalista gladiatore va in onda, in diretta, con l’occhio sinistro pesto, nero e semichiuso. È finito su quasi tutte le reti nazionali e, con ogni probabilità, l’immagine traumatizzante di che fine rischia di fare un gladiatore giornalista antimafia nel nido delle vipere mafiose, farà il giro del mondo.

Diciamo che nelle due ore lui si occupa poco di varietà.

E si deve essere gladiatori, in quel di Partinico, per adoperare una tv privata piccola piccola, «Telejato», come fosse una tv vera, come fosse un formidabile strumento di emancipazione della gente, come fosse una fucina che vomita quotidianamente notizie che provocano la rabbia e l’odio dei clan, delle famiglie, dei potentati locali, delle consorterie, di Cosa Nostra, insomma. Un po’ gladiatore. Un po’ martire. Un po’ eroe, Pino Maniaci, 55 anni, pestato a sangue due giorni fa da Michele Vitale, 16 anni, uno dei figli di Vito Vitale, detto «fardazza», feroce capo mafia di Partinico, arrestato nel ’98 in quanto braccio armato di Totò Riina, non è un giornalista con il tesserino dell’ordine, non è neanche un pubblicista. Testimonianza vivente che non è il tesserino dell’ordine che fa il giornalista.

Certo. Ma con le sue 270 querele per diffamazione, Maniaci meriterebbe di ricevere a domicilio il tesserino «ad honorem». E se non lui chi se no?

Sono andato a trovarlo ieri pomeriggio. Fra una diretta e l’altra del suo tg, ho conosciuto la sua redazione, la sua televisione. La redazione? In tutto, a parte lui, due persone. Letizia, 23 anni, occhi azzurrissimi, scuola alberghiera interrotta. È figlia di Pino. Nel 2005, a Santa Venerina, le diedero il premio intitolato a Maria Grazia Cutuli, in quanto «simbolo e mascotte della graffiante redazione, erede di Radio Out, l’emittente legata all’impegno e al sacrificio di Peppino Impastato, militante di una informazione tesa a scovare e denunciare fatti e misfatti di notabili e mafiosi». Poi c’è Giovanni, 20 anni, studi interrotti dopo le medie. È l’altro figlio di Pino.

Ma certo che Letizia e Giovanni non sono né pubblicisti, né praticanti, né giornalisti. Figurarsi. Sono dei Maniaci, e questo può bastare. Faccio al gladiatore Pino Maniaci, la domanda che più banale non potrebbe essere, ma che di fronte al suo occhio pesto, nero e semichiuso, forse lo è di meno: «Ma non hai paura?». Certo che abbiamo paura, mi risponde. Ci mancherebbe. Ma sono decisioni che si prendono in famiglia. Io sono un irresponsabile. Sono irresponsabile due volte - ammette il gladiatore - perché oltre a essere coinvolto io è coinvolta la mia intera famiglia. Ma abbiamo deciso già da molto tempo: andiamo avanti.

Ma sua moglie che ne dice? E si inserisce Letizia: la mamma è la nostra badante, fa da balia a noi e all’intera televisione. Pino mi spiega che sono stati i figli, spontaneamente, a chiudere con gli studi per «starmi accanto». La famiglia Maniaci, 24 ore su 24, vive per tenere in vita la «sua» tv, raro esempio di «televisione comunitaria di partito», che ha come direttore responsabile Riccardo Orioles, che iniziò con «I Siciliani» di Giuseppe Fava.

«Telejato». Copre un area che è tutto un programma: Corleone, San Giuseppe Jato, Partinico. Una vallata che per Cosa Nostra da decenni non ha mai registrato crisi di vocazione. In totale, 22 comuni, per circa 150 mila abitanti. Se qui fosse misurato lo share, fra le 14 e 30 e le 16 e trenta, si scoprirebbe che due famiglie sue tre sono incollate al video per sentire il gladiatore, un po’ erede di Impastato, un po’ erede di Mauro Rostagno, un po’ erede del giornalismo vecchia maniera, alla Mauro De Mauro, alla Fava. La Procura di Palermo scoprì che dal suo covo di «Montagna Cavalli» a Corleone, dove poi sarebbe stato arrestato, Bernardo Provenzano non si perdeva mai il «telegiornale più lungo del mondo».

Direte: ma in tre come fanno? Intanto hanno una rete di una decina di informatori, tutti rigorosamente non giornalisti, disseminati nei comuni più caldi della vallata. E il gladiatore, con un pizzico di legittimo orgoglio, osserva che «se accade qualcosa nella zona, difficilmente sfugge a Telejato». No, non è un millantatore. Prova ne sia che furono loro per primi a dare la notizia del pentimento di Giusy Vitale, prima donna boss a essersi pentita, sorella proprio del «fardazza», e zia di Michele, il delinquentello che ha pestato Pino Maniaci (che per la cronaca, essendo minorenne, resta libero).

Prova ne sia che lunedì sono stati i primi, a notte fonda, a scoprire che esercito e polizia erano entrati nella vallata alla ricerca di un cimitero di Cosa Nostra; notizia che tutte le agenzie avrebbero ripreso il giorno dopo. A tale proposito, sia detto per inciso, si potrebbe improvvisare questo adagio: se i giornalisti non fanno più scoop, prima o poi gli scoop li faranno i non giornalisti.

Ma sapete perché Maniaci è stato pestato? Perché qualche mese fa ha invitato a Partinico i ragazzi palermitani di «Addio pizzo» e li ha portati davanti alle stalle (tutte abusive) dei Vitale. Insieme hanno piantato ai muri una decina di mattonelle con scritto: «Le stalle della vergogna». Tutto ripreso in diretta, ovviamente. E qualche giorno fa, il comune è intervenuto e le stalle sono state finalmente demolite. Ammetterete che i Vitale non hanno gradito.

Come da anni non gradisce la signora Antonina Bertolino, proprietaria della distilleria di alcool più grande d’Europa, e di distillerie sparse in mezzo mondo, soprannominata la «Signora delle Vinacce», che la Cassazione ha definitivamente condannato per inquinamento ambientale. La signora, di querela facile, sulle spalle del povero gladiatore, lei da sola, ne ha fatte piovere più di 200. Le altre provengono da politici e amministratori locali.

Pino, ma da piccolo che facevi? «Mio padre aveva un panificio a Montelepre e ho iniziato facendo il fornaio. Poi liceo classico, studi interrotti a Medicina. Per alcuni anni fui proprietario di una piccola impresa edile. Nel 1999, subentrai a Telejato, che la comunità europea aveva affidato a Rifondazione Comunista. Toti Costanzo, il segretario di Rifondazione a Partinico, non ce la faceva più a mandarla avanti e mi propose di prendere il suo posto».

Se Toti Costanzo avesse saputo il bel casino che il gladiatore avrebbe combinato nella vallata delle vipere mafiose...

saverio.lodato@virgilio.it


Pubblicato il: 01.02.08
Modificato il: 01.02.08 alle ore 8.15   
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 03, 2008, 03:49:24 pm »

Intervista La collaboratrice del giornalista: è solo un pretesto

«A Michele accuse infondate E la sinistra non lo difende»

La Borromeo: contestato perché attacca il potere


ROMA — «Ma è ovvio che sono pretesti!
Creano accuse infondate per far parlare di queste e non delle cose dette in trasmissione che evidentemente sono scomode».

Beatrice Borromeo, figlia del conte Carlo e nipote di Marta Marzotto, aveva due anni quando Michele Santoro scatenava polemiche feroci con Samarcanda. E prima di Annozero ha lavorato solo come modella. Ma frantuma le accuse di faziosità ad Annozero con la stessa naturalezza con cui si annoda i lunghi capelli biondi. E replica senza esitazioni, con quel parlare diretto, severo e distaccato, scambiato all'inizio per cattiva capacità di leggere il gobbo (che invece non c'era): «Michele viene accusato di essere fazioso semplicemente perché fa le pulci a chi è al potere».

C'è chi non la pensa così.
«Veniva accusato quando c'era la destra al governo e l'opposizione la criticava. Poi quando al governo c'è andata la sinistra non lo ha difeso più. Questo perché quando qualcuno è toccato se la prende».

L'Authority dice che alcune puntate erano sbilanciate.
«Non è vero. Noi siamo ben felici di sentire tutte le parti in causa. La puntata sbilanciata è poco interessante. Invitiamo tutti e se ci dicono di no non lo prendiamo come alibi, cerchiamo fino all'ultimo momento utile di rimpiazzarli».

Vi accusano di non rispettare il contraddittorio.
«Non è vero. Semmai può accadere al contrario, come nella puntata di giovedì su Cuffaro che erano tutti ospiti in suo favore».

Alla puntata sul pm de Magistris per l'Agcom non c'era pluralismo.
«Avevamo invitato Mastella. Non è venuto e il suo staff ci ha indicato il sottosegretario Luigi Scotti che infatti c'era».

L'ex ministro Gasparri si era lamentato della puntata con solo il ministro Gentiloni ospite.
«Doveva venire il giornalista de Il Giornale Filippo Facci, che la Rai non ci ha lasciato invitare. Mi pare ci fosse Veneziani. Ma lì a dare fastidio sono state le intercettazioni tra Berlusconi e Saccà. Ma quello ...».

Quello?
«A parte che i tg le avevano già trasmesse, e i giornali già scritte. Penso che alcune cose sono talmente gravi che deve essere garantito ai cittadini il sacrosanto diritto di sapere ».

La fiction sulla Forleo al Csm ha sollevato i dubbi dell'Authority
«Figuriamoci. Le ricostruzioni sono ormai una prassi su cui si basano molte trasmissioni. Anche su cose inventate. Noi abbiamo trasmesso solo cose vere».

Contestano che dopo non c'è stato dibattito, ma solo il commento di Tabucchi.
«Ma se c'era Alfredo Mantovano. Trovo un po' frustrante dover giustificare ogni cosa. Ci contestano persino che in un servizio si vede un pacchetto di Marlboro. Ci facciano delle accuse circostanziate e noi risponderemo con la coscienza assolutamente a posto».

Niente gogne mediatiche?
«Mi incuriosisce che con una scusa o con l'altra siamo sempre noi a stare all'attenzione dell'Authority. Santoro, con il Raggioverde, è stato già chiuso una volta, non vorrei esserci se decidessero di farlo ancora».

V.Pic.
02 febbraio 2008

da corriere.it
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