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Autore Discussione: Jean-Marie Le Pen rappresenta una figura profondamente controversa, ...  (Letto 136 volte)
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« inserito:: Gennaio 23, 2025, 06:47:32 pm »

MLP dans l'actualité di G. Solari

17/01/2025
Attualità & Politica

    Jean-Marie Le Pen rappresenta una figura profondamente controversa, incarnazione e radicalizzazione di quanto di più estremo sorse dalla destra francese del secondo dopoguerra. La sua retorica incendiaria e divisiva, capace di mobilitare un elettorato disilluso, ha segnato profondamente la politica francese ed europea, venendo spesso definito come "padre spirituale" di molte formazioni populiste e nazionaliste contemporanee. Le Pen ha saputo mirabilmente intercettare le paure di un’ampia fetta della popolazione, tramutandole in un progetto politico ultraconservatore e identitario.

Jean-Marie Le Pen.
Fonte: Wikimedia Commons

Vita, morte e miracoli di un controverso predecessore

Uomo dietro la fondazione del Front National, Jean-Marie Le Pen è morto Martedì 7 Gennaio all’età di 96 anni a Garches, a ovest di Parigi. Capace di far gelare il sangue per le sue affermazioni figlie di una retorica, nonché propaganda, razzista, neonazista, e antisemita, giunge al termine di una carriera politica particolarmente influente nella recente storia francese ed europea tutta, considerando il recente andamento delle politiche interne degli stati membri.

Nato a La Trinité-sur-Mer il 20 Giugno 1928, figlio di un pescatore e di una sarta, vive un’infanzia segnata dalla perdita del padre nel 1942, morto per una mina esplosa nella sua rete da pesca durante la seconda guerra mondiale. A 16 anni cerca di unirsi senza successo alle Forze Francesi dell’Interno e posteriormente si arruola nella Legione Straniera partecipando volontariamente alle guerre di Indocina e in Algeria, conflitto quest'ultimo violentissimo che vide il governo francese confrontarsi con il movimento indipendentista algerino, durante il quale viene accusato di torture ai prigionieri, accuse che egli stesso definì parte di una cospirazione governativa proveniente dalla sinistra. Il percorso accademico di Le Pen inizia presso l'Università di Parigi dove studia  giurisprudenza e scienze politiche, mostrando fin da giovane uno spiccato interesse per il nazionalismo e le ideologie di matrice identitaria. Durante questo periodo si unisce a gruppi studenteschi di destra impegnandosi in attività politiche che riflettevano le sue convinzioni ultranazionaliste. Parallelamente, inizia a costruire legami con figure influenti della destra francese, tra cui Pierre Poujade, leader del movimento populista e corporativista, il quale finirà per giocare un ruolo cruciale nella sua carriera.

La carriera politica inizia negli anni Cinquanta, quando viene eletto deputato dell’Assemblea Nazionale ad appena 27 anni. Subito prima di fondare il Front National Le Pen diventa una figura chiave del movimento Poujadista, guidato dallo stesso Poujade, corrente volta a rappresentare gli interessi dei commercianti e degli artigiani dal loro punto di vista vittime del nuovo corso di politiche fiscali e della modernizzazione economica. Il movimento Poujadista, che inglobava un misto di elementi in grado di spaziare dai più classici cliché populisti e nazionalisti a preponderanti coefficienti di critica al centralismo statale, ebbe un'influenza significativa sulla formazione politica di Le Pen. Attraverso Poujade, Le Pen affina la sua capacità di mobilitare l’elettorato sfruttando il malcontento economico e sociale, una strategia che avrebbe poi perfezionato alla guida del Front National. Quando si candidò per le elezioni parlamentari del 1956 sotto la bandiera del movimento di Poujade, durante la campagna elettorale, fu immortalato in una fotografia mentre portava una scatola con la scritta "Un nuovo voto contro il governo". L'immagine, divenuta iconica tra i sostenitori poujadisti, rappresentava simbolicamente la lotta del movimento contro la tassazione eccessiva e la modernizzazione forzata. Durante questo periodo, Le Pen riesce a costruire anche una rete di alleanze con una vasta rete di intellettuali, militanti e di altri movimenti di destra, inclusi quelli più vicini al colonialismo francese e opposti alla decolonizzazione.

Nel 1972 co-fonda il Front National, in grado di mettere d’accordo nostalgici del periodo coloniale, fondamentalisti del cattolicesimo, pétainisti e nazionalisti di vario genere. Il partito, eretto a difensore di un’ideologia ultranazionalista, si opponeva di fatto fortemente ad immigrazione, globalizzazione e integrazione europea, ovvero elementi che porterà avanti Le Pen stesso e che verranno assimilati nel partito della figlia Marine nonostante i tentativi di “dédiabolisation”. Tra le sue dichiarazioni più controverse vi è la minimizzazione dell’Olocausto, definito da lui “un dettaglio della storia”. Queste parole, insieme ad altre affermazioni incendiarie, gli valsero numerose condanne per incitamento all’odio razziale e negazione dei crimini contro l’umanità.

La militanza di Le Pen nella destra revisionista si intensifica negli ultimi due decenni del Novecento, quando diviene figura di spicco dei movimenti politici in cerca di una riscrittura storica e della memoria collettiva francese rispetto alla Seconda Guerra Mondiale e al periodo coloniale. Le Pen si associa più volte ad accademici revisionisti il cui obiettivo era proprio quello di ridimensionare l’entità dei crimini nazisti e di riesumare in chiave positiva l’operato del regime di Vichy. Le sue dichiarazioni, tra le quali l’affermazione riguardante le camere a gas definite “un dettaglio della storia”, scatenarono indignazione sia a livello nazionale che internazionale, consolidando la sua reputazione di figura divisiva, nonché di leader pungente, carismatico e capace di catalizzare un’ampia base elettorale insoddisfatta.

Jean-Marie Le Pen tenta cinque volte di correre per la presidenza francese, senza mai riuscire a vincere, arrivando addirittura nel 2002 al ballottaggio contro l’allora presidente Jacques Chirac, superando il candidato socialista Lionel Jospin. In quel caso, nonostante la schiacciante sconfitta con quasi l’80% dei voti a favore di Chirac stesso, il fatto  di essere comunque arrivato così in alto rifletteva un crescente sentimento di radicato malcontento che portò a normalizzare temi precedentemente marginali e che finiranno per entrare e quasi totalizzare la “quotidianità politica” odierna.

Quello che l’ex leader del Front National rappresentava era quanto di più anomalo per i tempi e per la cosiddetta politica tradizionale francese, basando la sua stessa figura pubblica su di una retorica saldamente pronta a rifarsi alla presunta “grandeur” francese minacciata da forze globali e domestiche. Il suo linguaggio, spesso provocatorio, era studiato a pennello per poter attirare i riflettori mediatici e polarizzare il dibattito politico. Questa strategia gli consentì di consolidare una base elettorale fedele, composta principalmente da lavoratori scontenti, pensionati e giovani nazionalisti. Allo stesso tempo, il suo stile di leadership autoritario e la sua riluttanza a cedere il controllo del partito, crearono tensioni interne che esplosero definitivamente con l’ascesa di Marine Le Pen.

Lo stesso Eliseo, nella sua dichiarazione ufficiale, ha in qualche modo riassunto la sua carriera politica definendolo “Figura storica dell’estrema destra, ha giocato un ruolo nella vita pubblica del nostro paese per quasi 70 anni, che ora spetta alla storia giudicare”. Il Front National, d’altro canto, ha dichiarato come Le Pen abbia difeso “l’idea della grandezza francese con tutta la sua anima e a costo della sua stessa vita” mentre Jean-Luc Mélenchon, leader della sinistra radicale, ha commentato rispettando la dignità dei defunti ma sottolineando che “la battaglia contro l’odio, il razzismo e l’antisemitismo che Le Pen ha diffuso continua”.
Tanto divisivo quanto attuale

Jean-Marie Le Pen era noto per il suo stile oratorio unico, caratterizzato da sarcasmo, provocazioni e da un tono quasi teatrale. Questo gli permetteva di attirare sia consensi che feroci critiche e, pur essendo un politico polarizzante, non mancava di astuzia e pragmatismo. Egli comprese infatti presto l'importanza dei media, imparando a sfruttarli per amplificare il messaggio del suo partito. Fisicamente imponente e dotato di una voce baritonale e potente, Le Pen era maestro nel costruire slogan e narrazioni di matrice populista. Dipingeva se stesso come il difensore della "vera Francia", ostacolata da élite globaliste, immigrati e burocrati europei. Il suo marchio ideologico era costruito su fondamenta di matrice ultranazionalista e nostalgica, idealizzante il passato coloniale francese e di forte rigetto verso il multiculturalismo, inquadrato come una vera e propria minaccia esistenziale nei confronti dell’identità nazionale.

Durante i comizi, Le Pen era solito portare con sé un piccolo taccuino in cui annotare gli interventi del pubblico e le domande che gli venivano poste. Questo strumento gli permetteva di rispondere con precisione e di dimostrare un atteggiamento empatico verso gli elettori. Si dice che spesso esagerasse volutamente le richieste più stravaganti degli elettori, usandole come esempi per denunciare il "fallimento dello Stato centrale". Questa tecnica, che imparò osservando Pierre Poujade, divenne una caratteristica del suo stile politico. Uno degli elementi distintivi del movimento di Pierre Poujade era infatti la presenza costante nei mercati locali per potersi avvicinare a piccoli commercianti e artigiani. In linea con questa strategia, Le Pen passava ore tra le bancarelle, distribuendo volantini e discutendo con i venditori. In un’intervista, Le Pen ricordò un episodio in cui Poujade gli disse che “la politica è come un mercato, devi conoscere i tuoi clienti e dare loro ciò che desiderano".

Spesso criticato per la controversia delle sue dichiarazioni riguardanti razza, Olocausto ed immigrazione, Jean Marie Le Pen è arrivato ad essere condannato almeno sette volte per incitamento all’odio razziale e per aver proposto una versione distorta degli avvenimenti storici avendo definito le camere a gas come “un dettaglio” della storia e minimizzando crimini e occupazioni naziste (tra le quali quella della stessa Francia) durante la Seconda Guerra Mondiale come non “particolarmente disumane”. Le sue posizioni hanno reso difficile per il partito, sotto la guida della figlia Marine, distanziarsi e far digerire alla popolazione un’eredità costellata da tale visione estremista, violenta e di pura propaganda.

Nel 2012 la stessa Marine Le Pen prende infatti in mano le redine del Front National, cercando di avviare il già citato processo di “dédiabolisation”, volto a tentare di ripulire il volto del partito dalle posizioni più estreme del padre. Questo nuovo corso di trasformazione ha portato al successivo cambio di nome del partito in Rassemblement National nel 2018 e al tentativo di Marine di misurare determinate politiche e posizioni del partito, tra le quali l'accettazione delle unioni civili per coppie dello stesso sesso, l'abolizione della pena di morte e il rifiuto pubblico  dell’antisemitismo di suo padre. Tuttavia, Le Pen ha continuato a rimanere una figura controversa all’interno del partito, tanto da portare alla sua espulsione definitiva nel 2015 dopo ripetute divergenze con la figlia.

La sua capacità di mobilitare l’elettorato sfruttando l’insoddisfazione economica, la “paura dell’immigrato” e il risentimento verso le élite politiche ha aperto la strada a una nuova generazione di leader populisti. Nonostante la rottura con la figlia, l’eredità politica di Jean-Marie Le Pen è evidente. L’impronta del pacchetto di posizioni che figure come Jean Marie Le Pen hanno rappresentato per la ribalta dell’estrema destra in numerosi paesi europei è netta in molti dei governi oggi al potere, il che evidenzia quanto tali posizioni abbiano influenzato il panorama politico. Le sue idee anti-immigrazione e anti-élite sono ora integrate nel discorso politico di molti partiti tradizional-nazionalisti in Europa, contribuendo a una normalizzazione di tematiche precedentemente considerate marginali. L’influenza di Le Pen è evidente nel successo di partiti simili in diversi paesi europei, dove l’estrema destra ha guadagnato terreno nelle elezioni nazionali e nelle coalizioni di governo. Il suo impatto è evidente nell'ascesa di partiti populisti come l'AfD in Germania, la Lega in Italia, l’FPO in Austria e Vox in Spagna. Tutti condividono con Le Pen l'uso di una retorica che mescola nazionalismo, critica all’immigrazione e scetticismo verso le istituzioni europee. Le Pen può essere considerato uno dei pionieri di un movimento più ampio che ha contribuito a ridisegnare il panorama politico europeo.

La morte di Jean-Marie Le Pen chiude un capitolo importante della storia politica francese. La sua figura rimane divisiva: per alcuni, è stato un difensore della sovranità francese, mentre per altri è stato un simbolo di odio e intolleranza. Con il RN consolidato come una delle principali forze politiche in Francia, l’eredità di Le Pen persiste, influenzando le dinamiche politiche e sociali del paese. La sfida per la Francia sarà quella di affrontare le divisioni e le tensioni generate dalle idee che Le Pen ha promosso, cercando di costruire un futuro più inclusivo e sostenibile.

Se la figura di Jean-Marie Le Pen rappresentava una versione più rozza e provocatoria dell’estrema destra, Marine Le Pen ha cercato di adattarla ai tempi moderni. Le sue performance nelle elezioni presidenziali del 2017 e del 2022, in cui ha ottenuto rispettivamente il 34% e il 41% dei voti al secondo turno, dimostrano quanto il movimento sia ormai radicato. Oggi, il Rassemblement National è il più grande partito parlamentare in Francia e Marine è la principale candidata per le presidenziali del 2027.
Dans l’actualité
Fonte: Eurostat | Andamento GDP (corretto per price index deflator), produttività (indicata come produttività per ora lavorata) e occupazione totale. Indice 2015=100.

La notizia della morte di Jean-Marie Le Pen si innesta in un periodo di già profonda crisi transizionale per la Francia. Sia dal punto di vista politico che economico si continuano a presentare e prospettare sfide tali da influenzare la stabilità di uno dei “paesi guida” del Vecchio Continente. Il presidente in carica Emmanuel Macron lo scorso Dicembre ha nominato François Bayrou nuovo primo ministro, a seguito del crollo del governo di Michel Barnier, vittima di un irrefrenabile malcontento popolare e lampanti difficoltà socio-economiche. Bayrou viene dal Mouvement Démocrate e rappresenta fondamentalmente l’opzione moderata nel tentativo di stabilizzare e ampliare una base politica troppo fragile allo stato attuale delle cose e vogliosa di (ri)costruire un sufficientemente solido consenso tra le forze di centro. La nomina ha ovviamente generato perplessità su ogni fronte circa le effettive e potenziali capacità del nuovo assetto nell'affrontare un quadro tutt’altro che roseo e ben definito, senza considerare l’eterogeneità della coalizione stessa e una polarizzazione all’ordine del giorno dei due fronti politici.

Tra i nomi facenti parte della nuova squadra governativa emergono figure quali Bruno Retailleau al Ministero dell’Interno ed Éric Lombard, nuovo Ministro dell’Economia. La presentazione della politica generale del governo Bayrou, prevista per il 14 gennaio 2025 all'Assemblée Nationale, rappresenterà un banco di prova cruciale per testare la solidità della coalizione e la sua capacità di mantenere una maggioranza stabile. Entrambe le opposizioni sono saltate dalla sedia per contestare la scelta del nuovo esecutivo Bayrou; France Insoumise, rappresentante della sinistra radicale, ha annunciato una mozione di censura, criticando le politiche moderate e la mancanza di interventi radicali per ridurre le disuguaglianze sociali mentre Marine Le Pen e il suo stesso Rassemblement National (RN) hanno accentuato le critiche, accusando il governo di aver inadeguatamente gestito tutto ciò che concerne sicurezza ed immigrazione. Questo clima di sfiducia riflette la crescente frammentazione del panorama politico francese e la difficoltà di trovare un consenso trasversale.

Per quanto riguarda il piano economico, secondo fonti dell’Economic Forecast della Commissione Europea la crescita del Pil per il 2024 si è attestata all’1,1%, principalmente sostenuta da esportazioni e una sempre più ingombrante spesa pubblica. Le misure fiscali restrittive previste per il 2025 ridurranno la crescita allo 0,8%, prima di un'accelerazione stimata all'1,4% nel 2026. Questo quadro di crescita, seppur risibile, del PIL si prepara a convivere con un tasso di disoccupazione in lieve aumento, dal 7,4% del 2024 a quello che si stima sarà del 7,6% nel 2026, nonché con un debito pubblico in netta crescita, che raggiungerà il 117,1% del PIL nel 2026. Lo stesso deficit pubblico toccherà un picco del 6,2% del PIL nel 2024 ma si prevede entrerà in un periodo di graduale decremento negli anni a seguire grazie ad un atteso contesto di politiche fiscali restrittive.

Dopo essersi attestata al 2,4% nel 2024, l’inflazione è attesa diminuire all'1,9% e all'1,8% rispettivamente nel 2025 e nel 2026, a seguito di una riduzione nei costi delle materie prime e la normalizzazione dei prezzi energetici.  Il reddito disponibile pro capite è invece previsto in crescita marginale dello 0,3% annuo. Tuttavia, il potere d'acquisto delle famiglie è da tempo sotto pressione e ciò contribuisce ad un malcontento sociale diffuso, alimentato dalle stesse politiche di austerità e da quelle che possiamo ormai definire persistentemente percepite disuguaglianze economiche.

Spostandosi sul panorama del settore industriale, il quale rappresenta circa il 20% del PIL, l’influenza derivante dagli shock esogeni e non su scala globale e il concreto calo domestico della domanda pesano come macigni. Il governo ha di fatto annunciato la programmazione di un piano di incentivi fiscali per le imprese volto alla transizione energetica, avente come oggetto una serie di investimenti per un totale di 25 miliardi di euro fino al 2026. L’obiettivo è proprio quello di sostenere un piano che ridia linfa vitale alla competitività nazionale in termini industriali e ad un ecosistema lavorativo ben strutturato all’interno del settore delle energie rinnovabili. Sul versante del settore agricolo, le politiche di sproporzionati sussidi europei continueranno a svolgere un ruolo cruciale nel garantire la stabilità del comparto, nonostante le crescenti pressioni legate al cambiamento climatico.

Nonostante una serie di fattori tutt’altro che sincroni e accomodanti per il nuovo ospite dell’Hotel Matignon, il governo Bayrou punta a implementare riforme mirate a stabilizzare le finanze pubbliche e a stimolare la crescita economica. Il focus di quest’ultimo sarà centrato su investimenti mirati e indissolubilmente legati alla transizione ecologica e a politiche che possano favorire una ripresa degli investimenti privati. La domanda interna dovrebbe diventare il principale motore di crescita nel 2026, sostenuta dall’attesa riduzione dell'inflazione e dal conseguente della fiducia dei consumatori, delle imprese e degli investitori stessi.

Durante il suo primo discorso programmatico, Bayrou ha aspramente criticato le passate gestioni e gli stessi partiti di opposizione per aver ignorato il crescente indebitamento del Paese. "Ogni partito di governo, senza eccezioni, è responsabile della situazione attuale," ha dichiarato Bayrou, citando l'aumento del debito sotto ogni presidente francese a partire dal socialista François Mitterrand nel 1981. Lo stesso ha infatti paragonato il debito pubblico a una "spada di Damocle" che incombe sullo stato francese e ha di seguito annunciato un programma per drasticamente intervenire sul deficit e portarlo a ridursi dal 6,2% al 5,4% del PIL entro il 2025, ben al di sopra dei limiti imposti dalla Commissione Europea. A tal fine, ha promesso significativi tagli alla spesa pubblica.

Il neo premier ha inoltre difeso la riforma pensionistica del 2023 che innalza l’età pensionabile da 62 a 64 anni definendola una “necessità vitale”. Per evitare ulteriori tensioni politiche, Bayrou ha proposto un "conclave" di tre mesi avente come protagonisti sindacati, datori di lavoro e rappresentanti politici per discutere eventuali cambiamenti. Nonostante questa mossa sembri aver momentaneamente placato l’opposizione socialista, restano concrete e accese incertezze dato che il leader socialista Olivier Faure ha avvertito che il suo partito potrebbe ancora votare una mozione di sfiducia qualora la legge del 2023 non venga sospesa.

Bayrou deve affrontare un parlamento frammentato e il rischio di voti di sfiducia, come già avvenuto per il suo predecessore Michel Barnier, la cui amministrazione è caduta dopo meno di 100 giorni. L’appoggio dei conservatori è condizionato al mantenimento della riforma pensionistica, mentre la sinistra chiede concessioni significative. Se il governo non riuscirà a ridurre il deficit e a garantire l'approvazione del bilancio 2025, la Francia rischia di affrontare una crisi politica ed economica senza precedenti, con possibili ripercussioni sulla saldezza dell'eurozona.

Gli orizzonti di stabilità francesi dipenderanno totalmente dalla capacità di Macron, del governo appuntato e degli ipotetici successori, di bilanciare le esigenze di consolidamento fiscale con misure volte a ridurre le disuguaglianze e stimolare la crescita, in un quadro politico sempre più complesso e frammentato che potrebbe diventare l’humus ideale per la propaganda degli eredi del nazionalismo di stampo lepeniano.

da - https://www.liberioltreleillusioni.it/articoli/articolo/jmlp-dans-lactualite
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