Rassegna geopolitica
Brics versus G7, la minaccia all’Occidente
di MASSIMO NAVA
La Storia definirà in un futuro prossimo i nuovi equilibri mondiali. Nel giro di trent’anni, a partire dalla caduta del Muro di Berlino, il mondo ha conosciuto la fine della Guerra fredda, disegni e speranze nel mito della globalizzazione, l’iperpotenza americana, lo scontro di civiltà e ora una nuova contrapposizione fra blocchi che poco assomiglia all’ideale del multilateralismo.
È di questi giorni la candidatura della Turchia ai Brics, l’alleanza che riunisce le principali economie emergenti e si presenta come un’alternativa al G7, dominato dai Paesi occidentali. Una candidatura non irrilevante, considerando che sarebbe la prima di un Paese membro della Nato. Ankara esprime la «volontà di cercare alleati al di fuori dell’Occidente». Dopo i fondatori — Brasile, Russia, India e Cina — la lista degli aderenti presenti e futuri si allunga così in modo preoccupante : a scorrerla — Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Sud Africa e Iran (oltre a una trentina in lista d’attesa) — si delinea una volontà di maggiore influenza globale. Forse non antagonista, data la complessa rete di rapporti economici e diplomatici con molti Stati occidentali, ma in qualche modo concorrenziale all’egemonia dell’Occidente.
È corretto parlare di cambiamento di scenario, anche se non è ancora un ordine nuovo. Nel mirino, anche la riforma della governance globale, in particolare quella delle Nazioni Unite, secondo forme più adatte a gestire situazioni di crisi complesse, come il conflitto in Palestina.
Per quanto riguarda la Turchia, occorre ricordare che gli scambi commerciali con la Ue ammontano a circa 200 miliardi e non è intenzione di Ankara di metterli a rischio. Tuttavia la Turchia si è posta sempre più in una posizione di equilibrio a tutto campo, sia nei confronti della Ue, sia nel Nord Africa, sia nel conflitto fra Ucraina e Russia. Nell’iniziativa turca si riflettono molte delle cause che stanno determinando questi nuovi sviluppi. Ankara, dopo decenni spesi a coltivare un’integrazione sempre più forte nella Ue, immagina di giocare un ruolo più pesante e più autonomo nel Mediterraneo.
Il conflitto in Ucraina è stato altamente divisivo degli equilibri mondiali: la condanna dell’aggressione russa e le sanzioni occidentali contro Mosca non hanno determinato l’isolamento della Russia, bensì un suo avvicinamento a Cina e Iran e parzialmente all’India. Il conflitto in Palestina rischia di rendere più delicata e imbarazzante la posizione degli Stati Uniti a sostegno di Israele.
Nel grande gioco geostrategico — si pensi soprattutto alle rotte commerciali e ai corridoi energetici — stanno cambiando le regole. Nuovi e forti protagonisti pretendono di giocare la partita ad armi pari. Anche il dollaro rischia di farne le spese, sebbene fra i nuovi membri del Medio Oriente e del Nord Africa ci siano tradizionali alleati di Washington.
Il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sissi, ad esempio, si è detto «impaziente» di lavorare con i nuovi partner per «portare la voce dei Paesi del Sud». E l’Arabia Saudita si propone come «il primo Paese mediorientale a diventare membro di tre dei principali blocchi mondiali: il G20, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (di cui è partner) e i Brics», come sottolinea il quotidiano Asharq Al-Awsat.
A sua volta, l’Iran esalta il «successo strategico» anche perché la nuova alleanza potrebbe incidere sul sistema dei pagamenti e quindi alleviare i problemi di Paesi sottoposti a sanzioni. Come ha sottolineato Bloomberg, l’ingresso di Arabia Saudita, Iran ed Emirati Arabi Uniti, insieme a Russia e Brasile, «avvicina alcuni dei maggiori produttori di energia ai maggiori consumatori del mondo in via di sviluppo, conferendo al blocco un peso economico maggiore». Inoltre, incoraggia «un maggior numero di scambi in valute alternative» al dollaro Usa.
Si tratta del 29%del Pil mondiale, secondo i dati del Fondo Monetario, e del 46% della popolazione mondiale. Inoltre, il nuovo gruppo di alleati raddoppierebbe la produzione di petrolio dal 20,4% al 43,1% della produzione mondiale, secondo i dati dell’ultimo rapporto dell’Energy Institute. Per il Financial Times, questo allargamento rappresenta «una vittoria per la Cina», che sperava in una rapida espansione dei Brics affinché il gruppo potesse diventare «un maggiore rivale del G7». Il quotidiano economico sottolinea che a marzo Pechino ha sponsorizzato la riconciliazione tra l’Arabia Saudita e l’Iran, i due maggiori produttori di petrolio al mondo, che ora sono entrambi membri del blocco.
Tornando alla posizione della Turchia, il quotidiano filogovernativo Sabah scrive che la decisione non deve essere messa in contraddizione con le storiche alleanze del Paese. «L’adesione ai Brics rafforzerebbe la nostra posizione nei confronti degli Stati Uniti, così come nei confronti dell’Unione europea, che ci ha chiuso le porte per sessantacinque anni. L’Ue sarebbe obbligata a una maggiore considerazione». In questo quadro, c’è inoltre da considerare la possibile adesione da parte dell’Azerbaigian, stretto alleato della Turchia, grande produttore di petrolio e Paese musulmano.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan dovrebbe partecipare alla prossima riunione dei Brics a Kazan, in Russia, il 22 ottobre. La sua iniziativa è fortemente criticata dall’opposizione, che parla di suicidio diplomatico. A Kazan, Paesi membri e Paesi aspiranti cercheranno anche di definire meglio i criteri di ammissione, per una maggiore convergenza di interessi economici e politici. La Russia, che potrebbe capitalizzare politicamente l’allargamento, in realtà frena, temendo appunto una diluizione di obiettivi, a dimostrazione che la priorità è geostrategica.
Quella di Ankara è una strategia a tutto campo, che mira anche a far valere il proprio ruolo come potenza militare. Basti ricordare ad esempio la produzione di droni, che la Turchia vende alla Russia, ma anche a Paesi Nato. Al tempo stesso compra armi dalla Russia e aerei dagli Usa. Inoltre ha stabilito un meccanismo di cooperazione militare con Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan contro le nuove emergenze su scala regionale, in particolare terrorismo e movimenti separatisti.
Il numero di Paesi che desiderano aderire ai Brics è in continua crescita. Secondo il consigliere di Putin Yuri Ushakov, «circa 30» hanno presentato domanda. Recentemente, il vice ministro degli Esteri russo, Sergei Riabkov, ha posto una delle condizioni per l’adesione all’alleanza: «Non partecipare alla politica illegale di sanzioni internazionali e di misure restrittive applicate contro altri Paesi membri dei Brics, inclusa la Russia».
Questo l’elenco dei 29 Paesi interessati a candidarsi per il vertice. Per l’Africa : Algeria, Marocco, Nigeria, Ciad, Guinea Equatoriale, Eritrea, Senegal, Uganda, Zimbabwe e Sud Sudan. Asia: Azerbaigian, Kazakistan, Bangladesh, Pakistan, Thailandia, Vietnam, Indonesia, Sri Lanka. Medio Oriente: Turchia, Bahrein, Kuwait, Palestina, Siria. America Latina: Bolivia, Venezuela, Nicaragua, Honduras, Cuba. Per l’Europa: Bielorussia.
Va ricordato che rispetto alla Ue, in cui i Paesi membri trasferiscono parte di sovranità, i Brics mantengono invece piena sovranità, senza alcuna struttura comune. Non esiste una banca centrale. E nemmeno una moneta unica, se non il progetto di «moneta digitale comune». In particolare, la Russia sta attualmente lavorando con le banche centrali dei Paesi membri dei Brics per creare una piattaforma per i pagamenti in valute nazionali. Le transazioni finanziarie potrebbero essere effettuate «direttamente» utilizzando il rublo digitale, lo yuan digitale o il real digitale.
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