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Autore Discussione: ASSANGE LIBERO, E LA STAMPA? Julian Assange è libero: patteggerà con la ...  (Letto 658 volte)
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« inserito:: Giugno 28, 2024, 07:01:59 pm »

ASSANGE LIBERO, E LA STAMPA?
Julian Assange è libero: patteggerà con la giustizia statunitense per ‘cospirazione’. Un epilogo positivo per il fondatore di Wikileaks, meno per la libertà di stampa.

Julian Assange è un uomo libero. Dopo cinque anni di carcere, 14 di braccio di ferro con la giustizia americana che ne chiedeva l’estradizione e una fuga rocambolesca nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, il fondatore di Wikileaks ha lasciato il Regno Unito questa mattina dopo aver negoziato un accordo di colpevolezza con le autorità statunitensi. Un breve video, diffuso sui social dalla moglie Stella, lo mostra mentre sale la scaletta di un aereo privato decollato poi da Stansted in direzione dell’Australia, il suo paese natale. Prima farà tappa in un territorio americano del Pacifico per formalizzare il patteggiamento che gli consentirà di evitare la reclusione negli Stati Uniti. Stella Assange ha espresso la sua “immensa gratitudine” a tutti coloro che hanno lavorato per anni “per rendere il suo rilascio una realtà”. La svolta nella lunga vicenda del whistleblower che ha polarizzato l’opinione pubblica globale – alcuni lo considerano una minaccia e una spia del Cremlino, altri un eroe – è il risultato di una campagna di pressione internazionale che ha coinvolto attivisti, politici e numerose organizzazioni per i diritti umani. Il giornalista australiano era accusato di spionaggio e rischiava in caso di estradizione negli Usa fino a 175 anni di detenzione in un carcere di massima sicurezza. Assange è stato incriminato durante l’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump per il rilascio di centinaia di migliaia di documenti militari statunitensi classificati sulle guerre americane in Afghanistan e Iraq. Molti sostenitori della libertà di stampa hanno visto nell’accusa penale di Assange una seria minaccia alla libertà di parola.


Cosa prevede l'accordo con gli USA?
Secondo quanto riportato dai suoi legali, alle 9 di mercoledì mattina Assange comparirà davanti ai giudici del tribunale distrettuale degli Stati Uniti a Saipan, nelle Isole Marianne Settentrionali. Qui si dichiarerà colpevole di un solo capo di imputazione ai sensi dell’Espionage Act del 1917, relativo all’accusa di “cospirazione per ottenere e diffondere illegalmente informazioni riservate relative alla difesa nazionale degli Stati Uniti”. Un’accusa che prevede una pena di 62 mesi di carcere che, tuttavia, Assange ha già scontato in prigione nel Regno Unito. Dunque, il fondatore di Wikileaks non dovrà trascorrere altro tempo dietro le sbarre e potrà rientrare a casa. Il governo australiano ha espresso il suo sollievo per la liberazione dichiarando che il caso si era “trascinato fin troppo a lungo”. Un portavoce ha riferito che Canberra gli sta fornendo assistenza consolare e che il primo ministro Anthony Albanese ha affermato che “non c’era nulla da guadagnare continuando la sua incarcerazione”. Il caso di Julian Assange ha avuto un impatto profondo sulla scena politica internazionale, animando un ampio dibattito sui diritti umani, il diritto di cronaca e sulla libertà di stampa.


Una lunga persecuzione giudiziaria?
La vicenda che lo vede coinvolto iniziò nel 2007 con la fondazione del sito web Wikileaks, responsabile della più grande fuga di documenti governativi classificati nella storia, contenenti tra le altre cose le testimonianze dei crimini di guerra commessi dai militari americani contro le popolazioni civili in Afghanistan e in Iraq. La diffusione di immagini, video e rapporti riservati ottenuti dall’ex analista dell’intelligence militare Chelsea Manning, che mostravano il lato oscuro della cosiddetta ‘guerra al terrore’ dichiarata da George Bush all’indomani dell’11 settembre 2001, provocò un enorme danno di immagine all’establishment americano e valse ad Assange l’accusa di “nemico pubblico” degli Stati Uniti. Nel 2010, dopo aver contestato una denuncia di stupro successivamente rivelatasi infondata, Assange fu arrestato nel Regno Unito e poi rilasciato su cauzione. L’anno successivo, prima che il Regno Unito mettesse in pratica la sentenza di estradizione inoltrata dalla Svezia, chiese asilo dell’Ecuador, che lo accolse nella sua ambasciata a Londra. Il fondatore di Wikileaks ci sarebbe rimasto per sette anni, godendo della protezione dell’allora presidente Rafael Correa, che riteneva fondata la sua preoccupazione che un’estradizione in Svezia lo avrebbe esposto a sua volta al rischio di estradizione negli Stati Uniti. Nel 2019, quando il paese sudamericano decise di ritirargli la cittadinanza ed espellerlo dall’ambasciata, i servizi segreti britannici lo arrestarono. Da allora e fino a questa mattina, Assange era detenuto – unico giornalista nel Regno Unito – nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, a sud-est di Londra.


Un pericoloso precedente?
La svolta inattesa nella vicenda arriva dopo che la Casa Bianca aveva fatto trapelare di stare considerando le richieste dell’Australia per far decadere le accuse. Ma non è esattamente questo ciò che è successo e l’epilogo del caso Wikileaks attraverso un patteggiamento comporta risvolti cupi per la libertà della stampa statunitense e globale. Infatti, se domani il fondatore di WikiLeaks uscirà dal tribunale distrettuale di Saipan come uomo libero, l’Espionage Act penderà ancora sulle teste dei giornalisti che indagano su questioni relative alla sicurezza nazionale, non solo negli Stati Uniti. L’accordo è sicuramente positivo per Assange, nonché un bene per l’amministrazione Biden che evita l’imbarazzo di processare Julian Assange durante una campagna elettorale polarizzata, ma “potrebbe arrivare a caro prezzo per la libertà di stampa”, osserva Trevor Timm. In altre parole, “il patteggiamento evita il peggio – sottolinea Jameel Jaffer, direttore Knight First Amendment Institute della Columbia University – ma prevede che Assange sia condannato a 5 anni di prigione per attività che i giornalisti investigativi svolgono tutti i giorni”.


Il commento
di Gianluca Pastori, ISPI Associate Research Fellow

“Dopo anni di tensioni e un lungo braccio di ferro, l’affaire Assange si è chiuso con un compromesso che, se da un lato non ha mancato di alimentare polemiche, dall’altro finisce per accontentare tutti. Per gli Stati Uniti, l’ammissione di colpevolezza da parte del fondatore di WikiLeaks conferma (almeno formalmente) la validità delle accuse che gli sono state mosse e la sua condanna a una pena detentiva (che, comunque, non sarà mai scontata) rafforza questa posizione. Allo stesso tempo, la libertà di cui Assange è tornato a godere contribuisce a mettere la sordina alle critiche rivolte a Washington di applicare un doppio standard in tema di giustizia e libertà di espressione. Per Joe Biden (che ha fatto dei diritti umani uno dei perni narrativi della sua presidenza) è un risultato importante, anche in vista del voto di novembre e delle difficoltà che sta avendo con le fette del suo elettorato più sensibili a questo tema. Le autorità britanniche, infine, dal canto loro, sono riuscite a evitare di decidere su un’estradizione che – al di là del dato giuridico – avrebbe comunque posto delicati problemi politici e che in varie occasioni si era dimostrata fortemente divisiva sul piano interno.”

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L'ISPI Daily Focus è a cura di Alessia De Luca
                            
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