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Autore Discussione: Fenomenologia di Calenda, l’indignato contro tutti  (Letto 921 volte)
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« inserito:: Marzo 21, 2024, 12:10:59 am »

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Fenomenologia di Calenda, l’indignato contro tutti

editorialista   
di ALESSANDRO TROCINO

Il centro che un tempo si definì pomposamente «terzo polo», senza mai essere stato terzo e neanche polo, volendola prendere dal lato psicologico, ha un disturbo istrionico della personalità. È ricco di leader vivaci, teatrali, entusiasti, intelligenti e spesso affascinanti. Gente che cerca sempre di essere al centro dell’attenzione, e quando disgraziatamente non lo è, si deprime. E a quel punto partono strali, accuse, si maramaldeggia o ci si indigna. Parliamo di Matteo Renzi ma qui ci concentriamo sull’ex partner, Carlo Calenda.

Calenda ha fondato un partito dal nome «Azione», paradossalmente ispirato al Partito d'Azione che fu di Ferruccio Parri, personalità di grande rigore morale, padre della patria, ma anche uomo moderato e sobrio. Il presidente del governo della Resistenza, nel ‘45, sentiva la responsabilità di guidare la nazione verso la ricostruzione morale e materiale, superando le lotte di partito e le diversità ideologiche. E Calenda? L’uomo è dotato di personalità fumantina, avversioni irriducibili, convinzioni fermissime che però, per uno strano fenomeno della fisica, tendono inevitabilmente a spostarsi dal punto di partenza.

L’ultima mossa di Calenda, al seguito dell’amico-nemico Renzi, è stato il sostegno a Vito Bardi, tra i peggiori presidenti di Regione nel gradimento Swg, appena ricandidato dal centrodestra in Basilicata. Il leader di Azione dice di aver chiamato Elly Schlein al telefono, ma lei non rispondeva. Di fronte a questo gravissimo oltraggio, ha deciso di chiamarsi fuori. Anche perché ha denunciato vibratamente il veto posto nei suoi confronti dal Movimento 5 Stelle. Incredibile a dirsi: dopo che ha definito Conte «un pessimo presidente del Consiglio», «un immorale», un «protoputinista che ha gettato i soldi nel superbonus», dopo averlo irriso simulando il suo accento — «le promesse di sussidi gratuidamente» —, aver spiegato che «la sua politica mi fa orrore», Conte ha inspiegabilmente posto il veto su di lui.

A quel punto Calenda se l’è presa con il Pd e si è detto «abbastanza schifato». Già proprio così, come categoria politica ha usato lo «schifo», come un grillino qualunque. Da politico molto intelligente, ma rovinato dall’intelligenza e dall’esuberanza, si è trasformato nel suo alter ego Crozza, che rivendica stentoreamente la sua serietà, girando a vuoto. Calenda, se non fosse per i toni, somiglia a Roman Roy (Jeremy Strong), il figlio di Logan in Succession, molto sicuro di sé eppure completamente instabile, immaturo e ambizioso, capace di entrare in una spirale autodistruttiva sempre più intricata. Anzi, come ha scritto efficacemente qualcuno sui social, assomiglia a tutti e quattro i figli di Logan contemporaneamente, un ammasso di ego e di aspirazioni personali che si alleano e si tradiscono in continuazione, in un girotondo infernale.

Nel 2020 scrisse «I mostri», un bel libro con un elenco di bersagli infinito: non gli piaceva il «ridicolo bluff» della democrazia diretta M5s, «la leadership svogliata» del Pd, il sovranismo della Lega, il renzismo «mastelliano», il populismo dei sindacati, Confindustria «condannata all’irrilevanza», la stampa moribonda. Nel tempo ha definito Francesco Boccia «un inetto», Renzi «una persona ridicola», gli elettori di Salvini «matti», il candidato di Azione Alberto Veronesi «un incapace», il sindaco dem di Roma Roberto Gualtieri «un incompetente e inutile».

Nei giorni scorsi, dopo aver denunciato con vigore ed efficacia l’asse giallo-verde, da Putin a Trump, nella foga di attaccare i 5 Stelle, rei di convergere pericolosamente sulla Lega, Calenda si è inalberato, si è infuriato, è arrossito per la rabbia, ha sparato frasi velenose e definitive. Poi, si è voltato e ha annunciato il suo appoggio alla Lega e alla destra della Basilicata. Si è schierato, insomma, con quel Bardi che i suoi di Azione hanno cannoneggiato fino a ieri mattina, definendolo «bluff». Ha deciso di appoggiare gli stessi sovranisti che flirtano con Putin e che combatte, lancia in resta, da mattina a sera. Del resto, se in Sardegna appoggiava Renato Soru con +Europa contro Pd-M5S, in Abruzzo ha aderito al campo largo del centrosinistra, se in Basilicata ha appoggiato il «destro» Bardi gas-entusiasta, in Puglia è stato alleato con il «sinistro» no Tap Michele Emiliano. A Frosinone, nel luglio 2022, aveva spiegato che «persino i Fratelli d’Italia sono meglio dei 5 Stelle» e coerentemente ha deciso di sostenere la giunta di destra del forzista Riccardo Mastrangeli. A Massa, invece, ha appoggiato con entusiasmo il leghista sovranista Francesco Persiani.

Naturalmente sostiene che decide di volta in volta, sulla base dei programmi e dei contenuti. Ma il sospetto è che decida sulla base di passioni momentanee e incazzature. Perché Calenda è uomo più da innamoramento che da amore, per citare Alberoni. Enrico Letta ancora non si è ripreso del dietrofront del 2022, ma non si contano i patti siglati con serietà e coerenza e poi rotti in una girandola di tric e trac e di insulti, da Emma Bonino allo stesso Renzi. Per Giuliano Ferrara l'uomo è spesso «tradito da un fondo di moralismo valdese».

Può darsi, ma resta un peccato. Perché Calenda è stato una promessa della politica, un buon ministro, un leader competente e appassionato. Però la politica — quella vera, quella dei compromessi, degli accordi, della fatica della mediazione — è un’altra cosa. La questione non è tanto il trasformismo, normale e talvolta persino necessario in politica, ma la postura di coerenza, e l’irascibilità, il disprezzo in parte giustificabile ma diventato ossessione e ripulsa etica per i grillini, l’istinto epidermico che prende il posto della razionalità rivendicata, il nadir dell’iperbole sdegnata versus lo zenit del cinismo dalemiano.

Il Calenda «schifato» da una politica che gli fa «orrore» è, come scrive Lercio, lo stesso che finisce per «stabilire i parametri delle alleanze disegnando un cerchio attorno a se stesso». L’uomo, insomma, ha umori altalenanti e l’astio facile, programma, progetta e sogna ma poi si fa trascinare dalla collera, dalla disillusione, tanto da far temere che da un momento all’altro rinneghi il suo partito, che si ribelli e rompa l’alleanza con Calenda, indignato da se stesso, con la stessa coerenza con la quale si è proposto come leader e rinnovatore e federatore del centro.

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