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Autore Discussione: di Carlo Buldrini - LA PACE ALL’INDIANA - Altro che Cina.  (Letto 1450 volte)
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« inserito:: Dicembre 04, 2022, 06:13:44 pm »

L'Asia nel pallone

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Katane - Il Foglio

a me

L'Asia nel pallone

Ciao, torna Katane dopo una pausa: ero a Seul a lavorare, per un po' di cose che sto preparando. Ho seguito le due settimane dei vertici internazionali da lì: sono stati quindici giorni frenetici in Asia: prima la riunione Asean a Phnom Penh, in Cambogia, poi il G20 a Bali, in Indonesia, e infine l'Apec a Bangkok, in Thailandia.
Come avrete notato, ci sono i Mondiali di calcio in Qatar. Un po' sottotono quest'anno, soprattutto da queste parti: un po' perché non c'è l'Italia, un po' perché la situazione in Qatar non è forse sufficientemente libera da ospitare grandi eventi internazionali, un po' perché il mondo è in fiamme, dall'Ucraina all'Iran.
Tornano però, come ogni volta in cui c'è una competizione sportiva internazionale, certi luoghi comuni asiatici e sulle squadre asiatiche. Per esempio, in Italia ha girato tantissimo il video del commentatore che dice la formazione della nazionale sudcoreana, questo.
Il motivo per cui in Corea i cognomi sono una dozzina, e sono sempre quelli, l'abbiamo spiegato moltissime volte: ha a che fare con il passato della penisola e la trasformazione del paese (il 20 per cento della popolazione fa di cognome Kim). I cognomi coreani sono composti quasi tutti da una sola sillaba, i nomi da due. E' il motivo per cui nessun coreano viene nominato *soltanto con il cognome*, per esempio nella formazione di una squadra oppure durante l'appello in classe.
E poi c'è sempre la storia dei giapponesi che puliscono il luogo in cui si allenano o gli spalti dopo aver guardato un match. In giapponese si chiama o-soji, che tecnicamente vuol dire fare le pulizie di casa, ma è un concetto più ampio che ha a che fare con un luogo spirituale, con l’armonia, ma soprattutto con la disciplina, che per gli sportivi nipponici è alla base dell'allenamento (ne avevo scritto qui).
Quello che in realtà è anomalo, e ha avuto un effetto pazzesco in Giappone, è stata la vittoria contro la Germania nella partita di due giorni fa. Questo articolo uscito sul Sankei ne fa una questione anche un po' sociologica: i giovani giapponesi si sono sempre sentiti battibili, e non solo nel calcio, e invece è ora che riprendano in mano la situazione.  E' il secolo asiatico, bellezza, ma solo quello di chi ce la fa.
Questi Mondiali di calcio sono anche una ficcante metafora della Cina sempre più chiusa e autoritaria. Il paese è presente solo con gli sponsor, perché anni di investimenti non hanno prodotto ancora una squadra nazionale competitiva (c'entra anche la politica). C'è il soft power cinese in bella mostra in Qatar, ma nessun tifoso cinese: colpa della politica Zero Covid di Xi Jinping (qui un pezzo di Foreign Policy). In Cina i Mondiali sono comunque seguitissimi, e la celebrazione del ritorno alla vita collettiva, con i tifosi tutti insieme e vicini senza regole di tamponi né bolle anti-Covid né omini bianchi, sia stata una delle cause delle grosse proteste di questi giorni in Cina contro le misure di controllo del virus ancora in essere, intimidatorie e coercitive, che stanno devastando la salute mentale dei cinesi.
Poi c'è la Corea del nord, che ha censurato l'esibizione di Jungkook, membro della megaband sudcoreana Bts, all'apertura dei Mondiali, vai a capire perché.

Verso Pechino
La Cina è intrappolata nella politica Zero Covid imposta da Xi Jinping. Non può muoversi da lì, non può rinnegare sé stessa, e infatti si continuano a costruire centri di isolamento/detenzione per contagiati. Allo stesso tempo, la situazione sta diventando sempre più calda.
Nello Xinjinag, la regione autonoma dove risiede la perseguitata minoranza musulmana e turcofona degli uiguri, sono in lockdown da agosto. A Urumqi l'altra notte c'è stato un incendio in un appartamento che ha ucciso dieci persone, e in qualche modo l'incidente ha generato una protesta spontanea per le strade contro le autorità, che ha bucato la censura, perfino davanti al palazzo del governo locale. Dopo 24 ore il consiglio municipale ha deciso di allentare il controllo sul movimento delle persone.
Nel frattempo, però qualcosa è successo e sta succedendo più o meno ovunque in Cina. Non solo il caso della Foxxcon, ma video di proteste, di corse al supermercato per paura di nuovi lockdown, di gente che reagisce e viene assalita dai manganelli delle autorità continuano a circolare online sui social, anche su Twitter, e verificati dai giornali internazionali.
Qualcuno si domanda come andrà a finire. La risposta più immediata e intuibile è: più controllo, più coercizione, più isolamento internazionale della Cina. Difficilmente il Partito tornerà indietro in questo caso. Ricordo, inoltre, che una misura d'emergenza sanitaria è perfetta anche per evitare il la condanna formale internazionale; quindi, Xi può portarla avanti senza aspettarsi che Macron o Biden gli dicano qualcosa.
Intanto continuano i processi (politici) a Hong Kong. L'altro ieri è stato condannato anche il cardinale Joseph Zen, oltre ad altri cinque volti noti dell'attivismo pro-democrazia dell'ex colonia inglese. All'Hong Kong free press che gli chiedeva un commento sulla persecuzione di Zen, la diocesi di Hong Kong ha risposto: non abbiamo niente da dire (ne ho scritto qui). Il Vaticano sembra aver sostanzialmente abbandonato Zen al suo destino. 
Meno di 24 ore dopo però è successa una cosa. La Santa sede ha pubblicato un comunicato di condanna per la violazione da parte cinese dell’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi e auspica “che non si ripetano simili episodi”. La violazione dell'accordo la spiega Asia News qui.
Vi ricordate il video di Xi Jinping che incontra il primo ministro canadese Justin Trudeau al G20, e lo rimprovera? E' stata una scena piuttosto brutta da vedere, di bullismo diplomatico, soprattutto perché il giorno prima c'era stato il primo bilaterale tra i due, Trudeau e Xi, dopo la vicenda dello "scambio di prigionieri". Due settimane fa in Canada è stato arrestato un dipendente dell'azienda statale canadese Hydro-Québec per spionaggio industriale a favore della Cina. Ieri il cantante Kris Wu, cinese di nazionalità canadese, ex della boyband Exo, è stato invece condannato a tredici anni per stupro.
Shein è considerata la startup di più successo al mondo. Un'azienda cinese, campagne social martellanti, specialmente su TikTok, vestiti a bassissimo prezzo in consegna ovunque. E' stata fondata 14 anni fa a Nanchino da Chris Xu, un milionario di cui sappiamo pochissimo. Dopo l'inizio della guerra commerciale tra Usa e Cina ha approfittato, e ha vinto. Qual è il problema? Riguarda la manifattura dei capi - colorati con coloranti non a norma, dice Greenpeace - ma soprattutto il suo cotone viene dallo Xinjiang, e probabilmente dal lavoro forzato, spiega un'indagine di Bloomberg.
Un po' di notizie tech. Negli ultimi mesi sono stati rilevati centinaia di droni di fabbricazione cinese nel controllatissimo spazio aereo sopra Washington. Secondo le agenzie di sicurezza nazionale americane, queste attività potrebbero diventare un nuovo strumento di spionaggio per la Cina. Gli utilizzatori, infatti, per volare sulle no-fly zone, modificano i droni cinesi in modo che possano accedere anche dove tecnicamente gli sarebbe impedito di volare. Magari non hanno volontà di spionaggio, ma l'accesso pressoché illimitato ai dati delle autorità cinesi potrebbero averlo. Un'inchiesta di Politico.
Le telecamere di sorveglianza cinesi Dahua, uno dei colossi cinesi nel campo degli impianti di sicurezza, e configurati da un’azienda di Torino, la Jbf, sono stati inclusi nel catalogo di dispositivi scelti dalla nuova convenzione per la videosorveglianza di Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione. "Comuni, Regioni, università, ospedali, musei o altre articolazioni dello Stato che nei prossimi mesi dovranno rinnovare o aumentare il parco di telecamere di sicurezza, potranno rifornirsi solo attraverso i listini di Consip".  Raffaele Angius e Luca Zorloni su Wired pubblicano un'inchiesta dettagliata sui sistemi di aggiramento delle blacklist.
Un'altra cosa che ci riguarda: sia il ministro della Difesa Crosetto sia il ministro del Made in Italy (ex Mise) Urso hanno detto che no, il Memorandum sulla Via della Seta con la Cina "non verrà rinnovato". Perché nel testo dell'MoU firmato da Di Maio nel 2019 è scritto che il rinnovo, ogni cinque anni, è "automatico" a meno che di una comunicazione tre mesi prima della scadenza naturale (come un'offerta telefonica, insomma). Una comunicazione andrebbe inviata per iscritto entro la fine del 2023 e l'inizio del 2024, dunque. Il governo Meloni si prenderà davvero questa responsabilità?  E altri, più maligni dicono: ci sarà ancora il governo Meloni allora? Qui ne scrive Gabriele Carrer.
Del resto, nel suo primo mese alla leadership Meloni e co. hanno avuto rapporti piuttosto amichevoli. C'è stato l'incontro tra Meloni e Xi a Bali - l'avevo anticipato qui, spiegando anche perché era un incontro anomalo, voluto probabilmente per mostrare unità europea e transatlantica nei rapporti con Pechino: tutti i leader occidentali che incontravano Xi avevano una specie di canovaccio di talking point da affrontare con lui. Subito dopo c'è stata una telefonata tra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e il suo omologo Wang Yi.
E da quando è finito il governo Draghi, alcune attività di promozione cinesi sono ricominciati, perfino l'ambasciata a Roma sembra più attiva. Per esempio, segnala Bartosz Kowalski su Twitter, si è svolto qualche giorno fa il terzo dialogo Cina-Italia sulle città gemellate. A organizzarlo è stato il CPAFFC (Chinese People's Association for Friendship with Foreign Countries) cioè l'associazione di facciata del Fronte unito cinese, la rete che serve a Pechino a promuovere la sua influenza (qui c'è un lungo studio che ne fa il governo americano).

La guerra fra Cina e occidente
 Da quest'anno metterò un po' più di saggistica internazionale in questo angolo. Saggistica divulgativa e leggibile, ma che esca un po' dai recinti della narrazione ipersemplicistica italiana (e chissà che qualcuno non abbia voglia di tradurli). Andrew Small è un analista del programma Asia del German Marshall Fund, con anni e anni di ricerche sul campo alle spalle. Il suo precedente lavoro, "The China–Pakistan Axis", è fondamentale per capire le dinamiche di Pechino nei paesi -stan. Ora è uscito con un nuovo volume che spiega tutto quello che in Italia, e in molte parti d'Europa, non vogliamo vedere: la rete di azioni di Pechino nel resto del mondo, dall'America all'Europa, dalla coalizione pro-Cina ai rapporti con la Russia, se lette tutte insieme costruiscono un ben preciso disegno di politica estera. Quel disegno che dovremmo avere ben chiaro in mente quando trattiamo, negoziamo, investiamo in Cina. Sui siti per acquistare online ci vuole un po' per averlo, in ebook è immediato.

Verso Tokyo
Il governo Kishida è in difficoltà. Qualche giorno fa uno stretto collaboratore del primo ministro Fumio Kishida, il ministro dell'Interno Minoru Terada, è stato fatto fuori dall'esecutivo dopo che era stato colpito da uno scandalo legato ai fondi politici illeciti. E' il terzo membro del gabinetto a lasciare in meno di un mese. Naturalmente c'entra ancora il problema dei legami del governo e di membri del Partito liberal democratico con la Chiesa dell'Unificazione.
I legami sono insospettabili e molto ramificati, ma nel frattempo il governo ha dato il via a una indagine che dovrà far luce sul sistema di finanziamento della chiesa e sul sistema di adozioni all'interno della chiesa.
C'è un po' di allarme da parte dei membri della chiesa. La Federazione delle Famiglie per l'Unità e la Pace del Mondo, il nome formale della Chiesa dell'Unificazione, ha presentato un esposto disciplinare contro di me all'Ordine dei giornalisti del Lazio per "comportamento scorretto che lede la reputazione e l'onore di moltissime persone" per via del mio articolo sul Foglio che raccontava le sette religiose e i culti in Asia a seguito dell'omicidio di Shinzo Abe. L'udienza ci sarà il 20 dicembre prossimo.
Un reportage incredibile e bellissimo di tre giornalisti del Nikkei (compreso il direttore) da dentro una riunione della Commissione Trilaterale, che è molto più segreta del gruppo bilderberg (e infatti se ne parla molto meno) ma è più internazionale e sta cercando di aprire le porte anche a osservatori esteri e giornalisti - probabilmente per far capire che non è una setta di lobby ma solo un luogo di discussione ad altissimo livello.

L'amore in Giappone
"Modern Love" è una leggendaria rubrica del New York Times che per anni ha raccontato storie d'amore che illuminavano l'evoluzione delle relazioni in America. Qualche anno fa trasformarono quella rubrica giornalistica in una serie tv, mettendo in scena le storie in una serie antologica molto carina. Ora "Modern Love" si è spostato in Giappone, con una produzione davvero bella.
Nei sette episodi non c'è nulla del luogo comune legato alle relazioni in Giappone - i toni sono più da "Lost in traslation" di Sofia Coppola, al massimo - anche perché l'intera narrazione è affidata a sette diversi, tra famosi ed emergenti, registi giapponesi. Non è un ritratto dell'intera popolazione giapponese ovviamente, ma di un pezzo di quella classe medio-alta di Tokyo che ci somiglia moltissimo, ma per altri aspetti è molto diversa dalla nostra. L'ultimo episodio lo dirige Naoko Yamada, che è una creatrice di anime. L'episodio 4, sulla depressione, è decisamente il mio preferito. E' disponibile su Prime.

Verso Seul e Pyongyang
Seul è sempre bellissima, soprattutto in quel periodo di novembre in cui è finita la stagione delle piogge e non è ancora arrivato il freddo dell'inverno.
La nostra ambasciata in Corea del sud, va detto, funziona davvero bene e High Street Italia, lo showroom del made in Italy nella capitale, è sempre piena di eventi e di visitatori come raramente ho visto in altre attività diplomatiche. Un paio di frustrazioni da osservare: la prima è la scarsa attenzione rivolta dalle istituzioni e dai rappresentanti politici alla Corea del sud, che negli anni è diventata il nono esportatore mondiale nel settore della Difesa, una delle prime cinque potenze al mondo per ricerca tecnologica e scientifica. A parte la visita di qualche anno fa dell'ex sottosegretario Manlio Di Stefano, in pochi si affacciano da queste parti - come invece fanno altri leader di altri governi europei.
L'altra frustrazione riguarda la Corea del nord, e il progetto agricolo italiano nel paese. Da quando è iniziato il Covid, e Pyongyang ha chiuso le frontiere, il progetto è in stand by. All'inizio del mese la Agriconsulting SA, l'azienda romana che lavora con la European Food Security in Corea del nord, ha ricevuto l'autorizzazione dall'Onu per una ulteriore estensione delle autorizzazioni a lavorare in esenzione dalle sanzioni economiche, ma se nessuno può entrare nel paese è difficile proseguire il progetto.

La politica nazionale sudcoreana è sempre un gran caos. La tragedia di Halloween nel quartiere di Itaewon continua a essere sulle prime pagine dei quotidiani, ci sono due indagati che si sono suicidati, la sinistra continua a chiedere le dimissioni del presidente conservatore e populista Yoon Suk-yeol. Che nel frattempo però si occupa della stampa e dei giornalisti.
Yoon infatti ha impedito l'accesso ai giornalisti della Mbc - l'emittente principale sudcoreana - di salire sull'aereo presidenziale diretto in Cambogia e poi a Bali (dove Yoon è andato essenzialmente per incontrare Xi Jinping, perché subito dopo è ripartito). Perché? Per alcune "incorrettezze" scritte dai giornalisti sul caso Itaewon e sulle responsabilità del governo. Si è aperto così un braccio di ferro notevole tra giornalisti e Amministrazione, che va avanti da giorni: per la Corea del sud la libertà di stampa è una cosa serissima (c'entra la censura e il passato non troppo remoto attraverso il quale la vita democratica sudcoreana si è formata), e così quando Yoon ha deciso di abolire pure il punto stampa quasi-quotidiano dal suo ufficio, le cose sono peggiorate.
Ma del resto la coppia presidenziale si presta molto ai commenti dei media e sui social. Mentre Yoon era all'Asean in Cambogia, cioè il suo battesimo sulla scena internazionale, è iniziata a circolare questa voce che la first lady Kim Keon-hee stia cercando di impersonificare Audrey Hepburn. La scena della cena a Bali, in cui si vedono loro due da soli al tavolo senza parlare con nessuno, è abbastanza rappresentativa (è alla fine di questo filmato).
C'è da dire che a questo giro di Summit da "guerra fredda 2.0", fatti di sorrisi e dialogo, corrisponde poi la realtà dei fatti, dove la divisione in blocchi è sempre più marcata. Per esempio: Xi ha scritto una lettera a Kim Jong Un per dire che la Cina dà molta importanza all'amicizia con Pyongyang. All'ultima riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, convocato dopo il lancio di un Icbm (un missile balistico intercontinentale) da parte della Corea del nord, Cina e Russia hanno votato contro a nuove risoluzioni. Dall'altra parte, le Forze armate americane in Corea (lo USFK) ospiteranno un comando della Space Force, ed è il secondo comando spaziale istituito dagli Stati Uniti al di fuori dei propri confini. Il comando sarà lì, in Corea del sud, come risposta alle crescenti minacce missilistiche della Corea del Nord.
La guerra in Ucraina sta facendo da ombrello a certe attività provocatorie e bellicose nordcoreane, ho scritto qui attingendo a varie fonti. Al test del missile balistico intercontinentale di qualche giorno fa, poi, è successa una cosa inedita e molto interessante. Kim è stato accompagnato sul sito del test dalla figlia Ju-ae - la secondogenita e dalla moglie Ri Sol-ju.  Come sempre certe esternazioni sono un enigma per noi, che le guardiamo da fuori. Ci domandiamo: cosa avrà voluto dire? Esclusa la parte dell'eredità della leadership (non lo abbiamo mai visto, ma lo scettro andrà al figlio maschio, il primogenito) è possibile che il messaggio fosse per i suoi funzionari, per dire: il nostro arsenale è un affare di famiglia. Il giorno dopo, sulla stampa nordcoreana sono uscite delle dichiarazioni di Kim che avrebbe detto che il nucleare "serve a proteggere i nostri figli". Ecco, forse la spiegazione più convincente la fa Atsuhito Isozaki sul Diplomat: l'escalation è pericolosa per tutti, torniamo al dialogo.

La Corea ha un problema con lo chef Gordon Ramsay.
Il famosissimo attore di Squid Game O Yeong-su è stato incriminato per molestie. 
Chissà che fine ha fatto Psy. Chiunque frequenti il K-pop se lo chiede: il primo di tutti, quello della cavalcata di "Gangnam Style", la prima sudcoreana ad avere un successo planetario. Uno dei ritratti del fine settimana del New York Times è dedicato a lui, Psy, che non è più riuscito a uscire da quella canzone.


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« Risposta #1 inserito:: Aprile 22, 2023, 04:10:08 pm »

Carlo Buldrini  teorspndoSuoec55u8aau6l7f2i0e ll9a9ti ra1f816l0at7r: p447ec   ·

Riproduco qui di seguito il testo del mio articolo pubblicato su Il Foglio del 4 aprile 2023.

LA PACE ALL’INDIANA
Altro che Cina. Il governo di Modi s’arma di neutralità per costruirsi uno spazio da mediatore tra Russia e Ucraina. C’entra un calcolo elettorale, ma anche una politica di “non allineamento”. I guai dell’ambiguità.
di Carlo Buldrini

A New Delhi sono convinti che l’India sia il solo paese in grado di far trovare un compromesso alle due parti in guerra in Ucraina. Per sette volte l’India si è astenuta dal voto nelle risoluzioni delle Nazioni Unite che chiedevano alla Russia di cessare le ostilità e ritirarsi dai territori occupati. Rimanendo neutrale, la diplomazia indiana ha voluto guardare al conflitto ucraino in prospettiva. Ha creato così uno “spazio” all’interno del quale è possibile ora dare vita a una forte iniziativa di dialogo e di pace. Da poco diventata il paese più popoloso del mondo, l’India ritiene di avere la forza e l’abilità diplomatica per poter guidare ogni tentativo che conduca alla fine del conflitto. La sua posizione attuale di presidente del G20 l’avvantaggia, così come le dà credibilità la lunga storia di paese non allineato.
L’India è “non allineata” da prima di diventare indipendente. Nel gennaio del 1947, Jawaharlal Nehru, capo di un governo a interim, scriveva a K.P.S. Menon, nominato ambasciatore indiano nella Cina nazionalista: “Dobbiamo evitare il nostro coinvolgimento negli scontri tra due gruppi di potere. Oggi i due blocchi dominanti sono quello russo e quello anglo-americano. Dobbiamo essere amici di entrambi ma non dobbiamo unirci a nessuno dei due”. Come guida dei paesi non allineati, il paese di Gandhi e di Nehru ha ottenuto molti successi. Pochi oggi ricordano il ruolo che l’India ha avuto nel porre fine, nel 1953, alla guerra di Corea. Fu Nehru a suggerire alle Nazioni Unite l’istituzione di una commissione per lo scambio e il rimpatrio dei prigionieri di guerra (Neutral Nations Repatriation Commission). Il maggiore dell’esercito indiano K.S. Timayya fu messo a capo della commissione e condusse in porto con successo l’operazione “Big Switch”.
Venendo all’oggi, sono le buone relazioni dell’India sia con gli Stati Uniti sia con la Federazione russa a rendere credibile una sua possibile mediazione tra Mosca e Washington. Il comune obiettivo di contenere le mire espansioniste della Cina nell’Indo-Pacifico e sugli alti contrafforti himalayani, ha spinto India e Stati Uniti a una cooperazione sempre più stretta. A gennaio Piyush Goyal, il ministro indiano per l’Industria e il Commercio, si è recato a Washington e ha siglato importanti accordi nel campo della fabbricazione dei semiconduttori e della produzione di armamenti. Questo “perché l’India non ruba tecnologia” ha chiosato il ministro indiano, con una evidente allusione alla Cina. E’ stata poi la volta di Ajit Doval, Consigliere per la sicurezza nazionale indiana, a recarsi negli Stati Uniti dove ha dato vita a una iniziativa con la controparte americana nell’importante settore delle nuove tecnologie. Tre ministri del governo americano, Janet Yellen (Tesoro), Antony Blinken (segretario di Stato) e Gina Raimondo (Commercio), hanno già fissato le date dei loro rispettivi viaggi in India. Narendra Modi e Joe Biden si incontreranno a Hiroshima in occasione della riunione del G7, poi in Australia per il vertice dei leader del Quad e infine, a settembre, a New Delhi per il summit del G20 a presidenza indiana.
Le relazioni con la Russia sono altrettanto buone. Il forte legame ancora oggi esistente tra l’India e la Federazione russa è spesso attribuito a una vecchia scuola di pensiero e a un atteggiamento sentimentale indiano nei confronti dei “bei tempi dell’Unione Sovietica”. Sono ancora in molti, tra gli intellettuali indiani di sinistra, a ritenere che non sia possibile fidarsi del “neo imperialismo americano” con la sua attitudine a usare i vari paesi del mondo per poi sbarazzarsene quando non servono più. L’attuale governo di New Delhi resta fuori dalle diatribe ideologiche e ha un atteggiamento molto pragmatico. Dall’inizio della guerra in Ucraina, le importazioni di petrolio greggio dalla Russia sono passate dai 68.000 barili giornalieri a un milione e mezzo di barili. Per il governo indiano il costo delle importazioni di greggio si è ridotto in un anno di tre miliardi e mezzo di dollari. Nello stesso periodo, il commercio tra India e Russia è aumentato del 130 per cento e ha raggiunto i 17 miliardi di dollari. New Delhi sostiene essere suo “diritto morale” approfittare della migliore offerta in campo energetico per favorire un paese con un miliardo e mezzo di abitanti e con un reddito pro capite di soli 2000 dollari. Ma non ci sono solo gli affari. C’è anche un calcolo strategico a spingere l’India a mantenere buoni rapporti con la Russia. Rompere con la Federazione russa vorrebbe dire consegnala tra le braccia della Repubblica popolare cinese, cosa che l’India non si può permettere. L’amicizia che lega l’India alla Russia non ha impedito al primo ministro indiano Narendra Modi, in occasione del summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai che si è tenuto a Samarcanda nel settembre 2022, di dire in faccia a Vladimir Putin che “questo non è tempo di guerra”. Così come, sull’altro versante, il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, ha detto che “l’Europa deve uscire dalla mentalità secondo cui i problemi europei sono i problemi del mondo, mentre i problemi del mondo non sono problemi europei”.
In India, alcune voci di opposizione, criticano l’atteggiamento assunto dal governo nei confronti dell’Ucraina. Dicono che l’India sbaglia a considerare la guerra un problema solo europeo. La crisi alimentare ed energetica causata dal conflitto ha avuto ripercussioni globali. Ammettono che, il 24 febbraio 2022, il giorno in cui i due eserciti hanno cominciato ad affrontarsi in territorio ucraino, forse non c’era motivo per l’India di schierarsi. Ma quando la Russia ha cambiato la natura della guerra, bombardando città e infrastrutture civili come ospedali, scuole e centrali elettriche, una posizione neutrale non era più sostenibile. Denunciano il fatto che, dall’acquisto a prezzo scontato del greggio russo, hanno profittato solo le grandi compagnie petrolifere indiane. L’uomo comune continua a pagare la benzina 100 rupie al litro e le bombole del gas da cucina 1.150 rupie, mentre i prezzi avrebbero dovuto scendere del 40 per cento. Shashi Tharoor, una delle poche teste pensanti del Partito del Congresso, sostiene che, con questa politica di equidistanza, la diplomazia indiana “ha perso credibilità, affidabilità e la possibilità di incidere”. Sottolinea la contraddizione di un primo ministro indiano che, a Samarcanda, dice a Putin che questo non è tempo di guerra per poi esitare nell’usare il termine “guerra” e parlare invece di “crisi ucraina”. “Se un giorno la Cina ci attaccherà nei confini settentrionali, potremmo trovarci isolati” aggiunge il parlamentare del Congresso.
Malgrado queste deboli critiche il governo indiano continua a tenere le sue carte coperte e resta fermo nella sua politica di non allineamento. (Modi, che odia Nehru, chiama questa politica “multi allineamento”, ma i due termini esprimono, di fatto, la stessa cosa). La riunione a Bengaluru dei ministri delle Finanze del G20 dello scorso mese di febbraio e quella dei ministri degli Esteri a New Delhi all’inizio di marzo, si sono concluse con un nulla di fatto. La Federazione russa e la Repubblica popolare cinese hanno rifiutato l’inserimento nei comunicati finali congiunti dei cosiddetti “paragrafi di Bali” con cui si era concluso il summit del G20 in Indonesia nel novembre 2022. Il paragrafo 3 attribuiva alla guerra in Ucraina le attuali fragilità economiche a livello globale e, in particolare, la crisi alimentare ed energetica. Intimava poi alla Russia il completo e incondizionato ritiro dal territorio occupato. Il paragrafo 4 chiedeva il rispetto delle leggi internazionali e riteneva inammissibile l’uso o la minaccia dell’uso di armi nucleari. Il ministro degli Esteri indiano Jaishankar, di fronte al sostanziale fallimento delle riunioni dei ministri delle Finanze e degli Esteri del G20, ha definito “prematura” la possibilità dell’India di assumere un ruolo di mediatore nel conflitto tra Russia e Ucraina.
L’India sa che le guerre finiscono in due casi: quando uno degli eserciti sconfigge chiaramente l’altro, o quando entrambi sono così esausti da non potere più continuare a combattere. La diplomazia indiana ritiene che, nella guerra in corso in Ucraina, si verificherà il secondo dei casi. New Delhi, un po’ cinicamente, pensa che l’offensiva e la controffensiva di questa estate siano ormai inevitabili. Ci saranno altre migliaia di morti. Poi, all’inizio dell’autunno, arriverà il momento dell’India per entrare in scena. Sarà quello il tempo, a settembre, del summit di New Delhi dei paesi del G20 a presidenza indiana. In quella occasione, con ogni probabilità, l’India cercherà di assumere nuovamente il suo ruolo storico di guida dei paesi non allineati e vorrà mettere in campo tutta la sua capacità di mediazione per giungere alla pace. A dar forza alla posizione indiana sarà il cosiddetto “Sud globale”. Indonesia, Sud Africa, Algeria, Mozambico, Bangladesh, Vietnam e tanti paesi ancora, appoggeranno l’iniziativa dell’India. Sono tutti paesi che rifiutano l’approccio dell’occidente di voler risolvere il problema ucraino con le armi ma, nello stesso tempo, condannano senza esitazione l’aggressione armata russa a un paese sovrano. In caso di successo, l’ambizioso premier indiano Narendra Modi - con lo slogan già pronto per il G20 di settembre: “Un Mondo, una Famiglia, un Futuro” - vestirà i panni del “Vishvaguru”, il termine sanscrito per “Maestro del mondo”. A quel punto, per lui, vincere le elezioni politiche indiane nel maggio 2024 sarà semplice come bere un bicchiere d’acqua.
Ma nel comunicato congiunto emesso al termine dell’incontro di Mosca tra Vladimir Putin e Xi Jinping c’è una frase che ha messo in allarme la diplomazia di New Delhi. Vi si legge che “entrambe le parti condannano la politicizzazione degli organismi multilaterali e il tentativo di alcuni paesi di inserire questioni irrilevanti nell’agenda di tali organismi”, (le “questioni irrilevanti” sono la guerra in Ucraina). Il riferimento del comunicato al prossimo vertice del G20 che si terrà a New Delhi, è apparso evidente a tutti. Russia e Cina, così come hanno fatto nelle riunioni dei ministri delle Finanze e degli Esteri che si sono tenute in India, sono pronte a far fallire anche il vertice di New Delhi. Verrebbe così a mancare a Modi la carta vincente per le elezioni politiche indiane del prossimo anno, la cosa che maggiormente gli sta a cuore. E’ scattato allora il piano B. Un tribunale del Gujarat, lo Stato indiano che ha dato i natali a Narendra Modi, ha condannato a due anni di carcere Rahul Gandhi, il leader del maggior partito di opposizione. L’accusa è di aver detto, in un comizio elettorale tenuto nel 2019, che “tutti i ladri hanno Modi come cognome”. Rahul Gandhi è stato immediatamente espulso dalla Lok Sabha, il parlamento indiano, e non potrà ripresentarsi candidato alle elezioni politiche del 2024. Anche se il vertice del G20 fallirà, il premier indiano si è così assicurato la vittoria alle prossime elezioni. A Narendra Modi - “il leader politico più amato del mondo” a detta del nostro presidente del Consiglio Giorgia Meloni – piace vincere facile.

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