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Autore Discussione: Campania tra i rifiuti.  (Letto 6642 volte)
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« inserito:: Gennaio 03, 2008, 12:14:24 am »

Campania tra i rifiuti.

E ora profumano la puzza

Eduardo Di Blasi


Quando il vento soffia in direzione della pineta di Castelvolturno, le case di Giugliano e Lago Patria vengono coperte da un odore dolciastro. Sono le “ecoballe” depositate nel sito di Taverna del Re. Immondizia impacchettata, figlia diretta di una raccolta differenziata che non supera, a Napoli, il 12%. Non è la puzza dell’immondizia vera e propria quella che piomba sulle case di Giugliano e sulla base Nato di Lago Patria, perché è coperta da un agente “profumante”. È dunque, si direbbe, un’immondizia profumata. C’è anche questo nel disastro ambientale di una regione che da 14 anni non è riuscita a chiudere il proprio “ciclo dei rifiuti”. Il tanfo, anche con il nuovo innesto che lo rende più dolciastro, fa schifo lo stesso, sia ben chiaro. Anche perché coperto dal fumo acre di occasionali roghi di rifiuti che da Pozzuoli a Torre Annunziata accompagnano i giorni di maggior persistenza del problema.

Ormai, però, con gli ultimi colpi di vento che spazzano via la puzza verso il mare, anche il sito di Taverna del Re è finalmente chiuso. Dal 31 dicembre niente più “ecoballe” in questa zona, afferma l’ordinanza commissariale. Napoli deve trovare un altro tappeto dove mettere le tonnellate di sacchetti di spazzatura che produce ogni giorno (stimate, quotidianamente, in 1500-2000). Il presidente Giorgio Napolitano, nel suo discorso di fine anno, ha toccato il tema dei rifiuti campani. Ha parlato di “paure irragionevoli e particolarismi, politici o localistici, che emergono in troppi casi”. E ha aggiunto come ciò arrechi “grave danno per le condizioni e per l’immagine di una città e di una regione nelle quali invece non mancano energie positive, realtà nuove e iniziative di qualità”. Eppure la soluzione, dopo 14 anni di “emergenza”, viaggia su un binario che continua a sembrare morto. La notte del 31, a Napoli, come a Caserta e nei comuni vicini, anche i botti di fine anno sono diventati un problema, con i sindaci di comuni piccoli e grandi chiamati a inventarsi soluzioni tampone (acqua o calce sui cumuli d’immondizia, divieto di sparare fouchi d’artificio) per evitare che i cittadini dessero fuoco alla propria città nel festeggiare il passaggio dell’anno. I vigili del fuoco hanno comunque dovuto fare gli straordinari per riuscire a spegnere gli oltre cento roghi prodotti a fine anno. Diossina respirata a pieni polmoni.

Passata la paura di andare a fuoco, i problemi di dove spedire l’immondizia prodotta restano. Il miraggio di poterli inviare a caro prezzo in Germania fa di tanto in tanto capolino nei progetti di chi si deve occupare del problema (negli anni 90, nel porto di Salerno, una nave attese per settimane di poter essere caricata di immondizia da mandare via mare alla volta di Amburgo). Ma un’altra soluzione tampone sembra sempre a portata di mano. Il neo commissario ai rifiuti della Campania (Umberto Cimmino, l’ottavo in 14 anni) entrerà ufficialmente in carica il 10 gennaio. Ma, vista l’emergenza persistente sulla città e nei comuni vicini, ha già individuato nella vecchia discarica di Pianura (località contrada Pisani), il nuovo sito dove stoccare “momentaneamente” i rifiuti prodotti dalla città. Domenico Merolla e Giorgio Romano, in quella che è stata per 43 anni la discarica di Napoli e non solo di Napoli (il primo, addetto alla pesatura dei camion che entravano in discarica, certifica che tra il ’94 e il ’96 a Pianura si sversavano quotidianamente 6800 tonnellate di rifiuti, compresi quelli ferrosi che provenivano da Brindisi), ci hanno lavorato una buona parte della propria vita qui sopra. E ieri berretti di lana e occhiali calati sulla testa, erano ancora lì davanti. Pronti a dire “no” alla riapertura della discarica. Come nel 2003, quando i rifiuti furono messi sotto quella terra solo dopo le cariche della polizia. Quando le porte dello sversatoio furono di nuovo chiuse (nel 2004) fu promesso l’inizio di una bonifica iniziata solo in parte. È uno dei paradossi di questa storia. Non certo l’unico. Domenico, ad esempio, è uno di quelli che, tecnicamente, avrebbe “guadagnato” dalla nuova politica dei rifiuti inaugurata in quel lontano 1994. Fa infatti parte di quei 2400 operatori ecologici che da dieci anni a questa parte ricevono mensilmente uno stipendio senza dover fare alcunché.

Ne parlò la trasmissione Report diversi mesi addietro. La magistratura ne conosce ulteriori risvolti. Fatto sta che i cittadini di Pianura (che nei giorni scorsi hanno occupato in segno di protesta i binari della ferrovia) proprio non ne vogliono sapere di veder riaperta la bocca del mostro. Anche perché le discariche, stando a quando deciso nel 1994, non dovrebbero nemmeno più esistere, in Campania come altrove. Eppure il progetto esiste. I tecnici del commissariato hanno sorvolato la zona in elicottero e hanno visto che c’è spazio. Giorgio indica: “Quella collinetta di rifiuti è scesa di venti metri negli ultimi anni, loro diranno che si può mettere ancora immondizia per quei venti metri”. Ma la vera “vena” è più a valle, un fosso di centinaia di metri, un imbuto dentro cui, calcola Domenico, fatti i lavori di impermeabilizzazione, si potrebbe “mettere rifiuti per tre anni”. Mentre si è lì a discutere davanti all’ex capannone industriale (un tempo cuore della discarica, oggi occupato da una serie di piccole industrie a minimo impatto ambientale) fa la sua comparsa un pavone.

Eccolo il secondo paradosso. Attorno alla discarica, negli ultimi anni, sono sorti maneggi, ristoranti, campi e scuole calcio. E lì, sul cucuzzolo, fa belle mostra di sé il pavone, simbolo di questa natura che pare incontaminata ma non lo è. A ben vedere, infatti, tra la vegetazione spuntano dei tubi di ferro: sono gli sfiatatoi dei gas presenti sotto le colline dei rifiuti coperte di verde. L’immondizia produce gas, ma la bonifica dell’area, che richiede diversi decenni, è partita immediatamente su impulso di privati cittadini. Forte della promessa che nessuno avrebbe mai portato più immondizia in contrada Pisani e dell’occasione geografica di avere, di là della montagna, il parco Astroni, riserva naturale. Per adesso la situazione appare comunque bloccata: Antonio Bassolino, presidente della Regione, e il neo commissario, sarebbero per riaprire il sito. Il sindaco di Napoli si oppone. Il tempo stringe. I cittadini di Pianura lo sanno, e per questa mattina alle dieci hanno organizzato una nuova manifestazione di protesta.

L’ultimo paradosso di contrada Pisani lo si incontra però uscendo da Napoli: cumuli di spazzatura costeggiano la strada, spesso rendendola a una sola corsia di marcia. L’immondizia lambisce le case, è molto più presente che se fosse in discarica. A Pianura esce ancora il fumo di un rogo da un cassonetto. Ma è più in là, verso via Campana, la strada che collega Pozzuoli a Quarto, che la situazione sembra essere ormai fuori controllo. Cumuli di rifiuti di un metro e mezzo costeggiano entrambi i sensi di marcia, distanti gli uni dagli altri uno o due metri. Un signore che esce con una carriola di immondizia da casa spiega che non vengono a raccoglierla da 20 giorni. In realtà, ci dicono, in mattinata sarebbe già stata fatta una raccolta straordinaria.

E qui viene un altro corno del problema. Per levare l’immondizia dalle strade i sindaci (e anche i Commissari di governo) da 14 anni si arrangiano come possono. Nascono così delle “micro-discariche” autorizzate dove stoccare il materiale impacchettato nella sua forma di “ecoballa”, e si spendono una valanga di soldi. Solo per fare un esempio l’affitto di un camion scarrabile per il trasporto dei rifiuti costa 600 euro al giorno. Il sindaco che si vede l’immondizia per strada lo affitta e poi continua a pagarlo fino a quando quest’immondizia non viene “lavorata”. Da quando i rifiuti vengono raccolti a quando vengono portati in un sito adatto, possono anche passare mesi. E qui siamo all’ultimo problema. Per chiudere il ciclo, così come è stato pensato, occorre un inceneritore. Il piano regionale rifiuti originario indicava in Acerra uno dei siti destinati ad accoglierne. Acerra, assieme a Nola e a Marcigliano è uno dei luoghi che la camorra utilizza da anni per i propri “inceneritori” artigianali, composti da pneumatici alla base, vestiti in mezzo (usati come detonatore) e materiale pericoloso da bruciare in cima. E’ probabilmente anche per questo che la zona risulta avere uno dei tassi di tumore al fegato maggiore che nel resto d’Italia. E che la gente si domanda: perché qui?


Pubblicato il: 02.01.08
Modificato il: 02.01.08 alle ore 8.25   
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« Ultima modifica: Gennaio 10, 2008, 07:25:31 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 06, 2008, 11:48:55 pm »

Copertoni, residui tossici e depositi abusivi: le favelas di «Monnezza City»

Enrico FIerro


Vivere con la mondezza. Condividerne il lezzo ammorbante e abituarsi. Allo scenario di montagne di rifiuti, neri vulcani di ecoballe, discariche. Rassegnarsi ai segni che l'aria avvelenata lascerà sul tuo corpo e su quello dei tuo figli. Si vive così a Napoli e in molte aree della Campania. Per capire basta imboccare l'Asse Mediano, l'arteria che dalla città porta verso il Casertano: la strada che ti conduce nell'inferno di «Monnezza City».

Primo cavalcavia. Irritante. Perché tra gli altri segnali ce n'è uno che sembra uscire da un libro di pessime barzellette. Segnale di pericolo per attraversamento mucche. Sì, come se fossimo in Valtellina c'è il pericolo che delle vacche bianche e con i capezzoli grondanti latte possano tagliarti la strada su un viadotto. E invece siamo all'altezza dell'inferno di Scampia, il quartiere-stato della camorra. E qui la prima scena. Ci sono cinque mezzi dell'Asia, la società pubblica per la raccolta dei rifiuti, sono fermi, gli autisti fumano e chiacchierano. Forse anche loro filosofeggiano sulle responsabilità. A pochi metri un gruppo di uomini, donne e bambini, sono intenti a dar fuoco ad un cumulo di copertoni. Controllano le fiamme, respirano i miasmi di quel piccolo rogo che serve ad estrarre ferro e rame dai vecchi tubi elettrici e dai copertoni consunti. A pochi metri dagli operatori ecologici. Che guardano ma non vedono. Chi sa ti racconta che quelli al lavoro sono i rom della baraccopoli di Scampia, prendono 20 euro per quintale di materiale bruciato. Una filiera: qualcuno scarica camion di rifiuti pericolosi, le famiglie di rom si mettono al lavoro, guadagnano un po' di soldi e di prezioso rame da rivendere al mercato nero. Stessa scena a Giugliano, nell'area industriale, all'altezza dei campi rom 2 e 5 (così c'è scritto davanti alle baracche), dove al lavoro sono soprattutto bambini piccoli. Fiamme, roghi, fumi e veleni: termodistruttori a cielo aperto.

Queste terre che si allungano fino ai comuni del Casertano, ti raccontano le ferite che il fallimento della gestione dei rifiuti ha provocato in Campania. Uno scempio che non è solo ambientale, ma sociale, civile. In questa enorme pianura vedi il vecchio e il nuovo, quello che era e che è stato ucciso per sempre dalla monnezza. I campi di verdissimi spinaci e di broccoli della zona (i friarielli) a ridosso di discariche abusive. Vecchie masserie di tufo dove per secoli sono cresciuti il lavoro e la cultura contadina, ora sono distrutte, diventate depositi di rifiuti, scassi per le auto da demolire. Un amico di Legambiente ci ha detto di andare alla Strada 3 Ponti. «Stanotte hanno fatto uno scarico abusivo». Ci andiamo ed è vero. La strada è piena di rifiuti. Mondezza in genere, ma sotto i cumuli qualcuno ha scaricato quintali di residui di lavorazione di una fonderia. E poi ci sono copertoni, bidoni dalla scritta illeggibile, plastiche. Un cumulo è stato già preparato per il rogo di questa notte: sopra ci sono frasche secche, basta un po' di benzina e il gioco è fatto. A pochi metri da questa discarica a cielo aperto campi coltivati. Sono alberi di pesche piccoli, con i rami aperti al cielo come le stecche di un ombrello capovolto, così il frutto prende il sole da tutte le parti e matura bene. Più in là c'è una piccola foresta di alberi piantati alla stessa distanza uno dall'altro e avvinti da un reticolo di piccoli rami, serve a coltivare la vite «maritata», una specialità unica, l'uva che si ricava dà un vino asprigno da favola. È una bella masseria. Sui campi c'è un contadino al lavoro. «Coltivate broccoli, frutta e viti, ma non avete paura della diossina?». «Dottò, ma quando mai qua la roba è buona. Certo, più avanti le piante sono seccate, ma noi qui dobbiamo vivere». Sì, più avanti, dove tra la massa di rifiuti notiamo vecchi tetti di eternit (fuorilegge da anni per colpa dell'amianto) bruciati insieme a batterie di auto arrugginite, televisori sfasciati e schermi di computer, le piante sono bruciate. Nere, i rami rinsecchiti, il terreno arido. Qui si scarica abusivamente ogni notte, ma nessuno vede, nessuno controlla.

Altro giro, altro scempio. Arriviamo all'altezza di una delle discariche dove è interrato il «percolato», in pratica il liquido che fuoriesce dalle cosiddette ecoballe, ci sono i tubi di raccolta, ma uno scarica i liquami dentro una cunetta sulla strada. Già, le ecoballe, la tragedia nella tragedia. Dovevano essere la soluzione del problema ma lo hanno aggravato, reso infinito e forse eterno. A Taverna del Re c'è una troupe della tv per uno speciale, la vigilanza è impegnata e non controlla tutti i varchi. Una distrazione che consente al cronista di entrare fino a sotto le montagne formate dall'accatastamento delle balle. I teloni neri in alcuni punti sono spaccati e si vedono questi enormi pacchi di monnezza, dentro c'è di tutto. Ferro e plastica, secco e umido. La puzza insopportabile che ci prende il naso e la gola ci dice che fermentano. Non osiamo immaginare cosa accadrà ad agosto quando il nero e la plastica dei teloni faranno aumentare la temperatura là sotto. In molti punti di questa enorme distesa non ci sono misure antincendio adeguate, non vediamo cumuli di sabbia da utilizzare per eventuali spegnimenti, né tantissime bocche per le prese dell'acqua. Attorno molti terreni sono abbandonati, c'è chi ha venduto alla Fibe e ai padroni del territorio che hanno comprato a poco prezzo e rivenduto a peso d'oro ed è andato via. E c'è chi resiste. Un solo contadino, una sola masseria ormai cadente. Dicono che il proprietario non ha voluto vendere i suoi pochi «moggi» di terra. Lo hanno circondato di filo spinato e montagne di monnezza.


Pubblicato il: 06.01.08
Modificato il: 06.01.08 alle ore 15.08   
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 08, 2008, 10:38:39 pm »

IL CASO BASSOLINO

Il Pd e quel feudo inviolabile

Il fatto è che, per il centrosinistra, la Campania è diventata un elemento di grave disturbo


Di fronte a una città sommersa dai rifiuti, era prevedibile che partisse la caccia alle responsabilità politiche. E che l'attenzione si concentrasse su chi, nell'ultimo quindicennio, ha ricoperto le cariche di sindaco di Napoli, presidente della Campania e commissario per la gestione dei rifiuti.

Di Antonio Bassolino oggi sono in molti a chiedere le dimissioni, dalla grande stampa all'intero centrodestra. Nella consapevolezza che si tratti di un nodo di estrema importanza, pratica e simbolica. E tuttavia rimane una buona metà del quadro politico che, sulle sorti del leader, ha scelto il silenzio. Inutile dire, assordante.

Non ha ritenuto di proferire parola, eccezion fatta per il battitore libero Antonio Di Pietro, l'intero governo. Non il ministro Amato, che pure ha da sbrogliare la matassa di un ordine pubblico diventato, nel Napoletano, pura finzione. Non quel Pecoraro Scanio che per mestiere dovrebbe dannarsi l'anima a fronte di una crisi ambientale ormai degenerata sul piano epidemiologico. Non lo stesso Prodi, il quale dichiara di voler mettere sotto tutela l'ingovernabile Campania (mostrando quanto poco ne ritenga affidabile l'amministrazione) ma evita di pronunciarsi sul punto strategico della sua leadership.

Altrettanto reticenti, d'altronde, sono i capi di quel Partito Democratico a cui pure appartiene il governatore. Rispettosamente nominato, pochi mesi orsono, tra i quarantacinque saggi del comitato promotore. In questi giorni, con le prime pagine della stampa nazionale e internazionale occupate dalla guerra dell'immondizia, Walter Veltroni e Massimo D'Alema hanno continuato ad incrociare le lame sulle ipotesi di riforma elettorale. Ignorando le sorti di un pezzo da novanta del loro Pd.

 Il fatto è che, per il centrosinistra, la Campania non è più soltanto un grande serbatoio di voti, la regione che ha portato Prodi a Palazzo Chigi e che promette a Veltroni un robusto appoggio sulla strada del partito senza tessere. È diventata un elemento di grave disturbo, un luogo dove si rischia di perdere faccia e consensi. E l'imbarazzo dei Democratici, già alle prese con un quadro nazionale pieno di insidie, diventa paralisi. Significativamente, nei mesi scorsi, a ipotizzare le dimissioni del governatore della Campania erano state personalità non irregimentate come Sergio Chiamparino e Massimo Cacciari.

Il caso Bassolino, d'altronde, non è che l'ultima conferma di quanto fragile sia diventato, in Italia, il rapporto fra centro e periferia. Nella Prima Repubblica, tra Palazzo Chigi e le amministrazioni regionali e comunali i legami erano intensi: un flusso di decisioni concordate, di pratiche amministrative, di risorse finanziarie. E per quei politici che facevano la spola tra Roma e le periferie, fu usata la categoria antropologica di brokers, mediatori. Allora peraltro erano i partiti, con la loro organizzazione disseminata sul territorio ma verticistica, a garantire una omogeneità ideale e operativa tra centro e periferie.

Molte cose sono cambiate, dagli anni Novanta. Il centro politico — il governo del Paese — assomiglia sempre più a quei sovrani del Sacro Romano Impero che governavano grandi territori ma con scarsi poteri, mentre le periferie ricordano il sistema dei feudi medievali, indisciplinati, spesso inaffidabili, eppure, per il sovrano, indispensabile serbatoio di uomini armati. Il feudo bassoliniano è stato sempre fedele al centrosinistra e ai governi amici, ma ha giocato a tutto campo sul proprio territorio. Forte delle sue reti politico- amministrative e ricco, grazie ai fondi europei, di grandi risorse economiche.

Ripudiarlo, sia pure nella catastrofe, è evidentemente difficile. Ma le reticenze del governo e dell'Unione non fanno altro che segnalare il carattere acefalo e frammentato che sta assumendo, in Italia, la decisione politica.


Paolo Macry
07 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 08, 2008, 10:47:09 pm »

Questione di Stato

Enrico Fierro


Lo Stato deve vincere la sfida di Napoli e della Campania. Diversamente la civiltà del Paese farà passi indietro giganteschi.

Se il centrosinistra tutto non riuscirà a uscire dall’emergenza rifiuti e a porre le basi di una seria politica di gestione dell’intero ciclo - così come è stato fatto nelle regioni del Nord - avrà dato una manifestazione clamorosa di fallimento della sua capacità di governo. Ci sono cose da fare subito, però.

La prima è quella di liberare le città dai cumuli di rifiuti accatastati per strada. E riaprire subito le scuole, anche utilizzando - così come propone il ministro della Difesa - il genio militare. Ci sono sindaci giustamente contrari, famiglie allarmate, bisogna intervenire offrendo certezze. Se la pulizia delle città è una necessità, liberare gli ingressi delle scuole è una priorità assoluta. I cittadini della Campania hanno bisogno di sentirsi nuovamente italiani, parte di una comunità nazionale.

C’è poi la questione dell’ordine pubblico. A Napoli c’è chi soffia sul fuoco. Gruppi organizzati e soggetti che rispondono agli interessi della camorra sul ciclo dei rifiuti. La città, dice il capo della polizia, non è la Reggio Calabria della rivolta. Ed è vero, ma il rischio che l’esasperazione diventi rabbia incontrollata c’è ed è molto ravvicinato. La tutela di chi manifesta per la difesa della salute e del territorio deve essere accompagnata a una durissima repressione della violenza.

Infine i piani per il futuro. Il nuovo Commissario si faccia affiancare dal meglio delle professionalità scientifiche presenti nelle università della Campania, facendo piazza pulita in tutte le strutture delle presenze imposte dal clientelismo politico e dal sistema d’affari.

Pubblicato il: 07.01.08
Modificato il: 07.01.08 alle ore 13.42   
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 10, 2008, 10:55:57 am »

9/1/2008 (7:14) - RETROSCENA, DIFFICILE CENTRARE GLI OBIETTIVI

Per costruirli ci vorranno anni di lavori
 
Nuove proposte per risolvere l'emergenza Campania

FULVIO MILONE


ROMA
Chissà se riusciranno, i nostri eroi, a salvare la Campania dal mare di spazzatura in cui sta annegando. Al prefetto Gianni De Gennaro e al generale Franco Giannini toccherà il difficile compito mettere fine in 120 giorni all’emergenza-rifiuti che in tre lustri ha «bruciato» otto commissari straordinari e 780 milioni di euro l’anno.

Le discariche
I tempi per allestire un sito di stoccaggio non sono mediamente inferiori ai 3 mesi: occorrono i sondaggi del sottosuolo e poi i lavori di impermeabilizzazione per evitare infiltrazioni di percolato nelle falde acquifere. E bisognerà soprattutto fare i conti con le popolazioni locali che, amministratori in testa, già preannunciano battaglia. Sordi agli appelli alla collaborazione del Capo dello Stato, i sindaci di tre dei quattro Comuni indicati da Prodi non ci stanno. «Impugneremo la decisione del governo per difendere il nostro territorio», annuncia Oreste Ciasullo, primo cittadino di Savignano Irpino. La discarica dovrebbe essere fatta in una cava dismessa che, però, Ciasullo nega sia mai stata tale: «E’ troppo vicino al centro abitato». A Terzigno i rifiuti saranno stoccati in una vecchia discarica in località Taverna del Mauro, nel parco Nazionale del Vesuvio. «Non possono pensare di rimetterla in funzione», tuona Domenico Auricchio, sindaco del paese. «La nostra discarica è già in funzione, ha già accolto 370 mila tonnellate di rifiuti: quando arriverà a quota 700 mila non accetteremo più un solo grammo», fa sapere Palmiro Cornetta, che guida il Comune di Serre, in rivolta l’estate scorsa.

I termovalorizzatori
Il problema degli inceneritori è forse più spinoso di quello delle discariche. Il piano ne prevede tre. In realtà l’unica, relativa certezza è che fra un anno e mezzo ne entrerà in funzione solo uno, quello di Acerra, completato all’85 per cento. Il cantiere fu aperto nel 2004. Sarebbe dovuto entrare in funzione nel 2007. Ma le inchieste giudiziarie sull’Impregilo, la società che gestisce il ciclo dei rifiuti e che è stata colpita da un sequestro dei beni, hanno rallentato i lavori. Inoltre sono stati prorogati i termini della gara per l’affidamento della gestione dell’impianto. «E’ un vecchio catorcio costato circa 300 miliardi di vecchie lire - dice l’assessore comunale all’ambiente Andrea Piatto -. Per noi non è a norma. Abbiamo intrapreso una serie di azioni giudiziarie e la spunteremo». E gli altri due impianti annunciati da Prodi? I tempi per la realizzazione saranno lunghi, e i costi alti. Per un termoutilizzatore come quello di Brescia, in linea con Kyoto, occorrono 300 milioni di euro, un anno per il progetto e due per la costruzione.

Rifiuti fuori regione
Sulla possibilità di tamponare l’emergenza spedendo la spazzatura nelle discariche del resto d’Italia, si dovrebbe discutere oggi. Lombardia, Abruzzo, Molise, Basilicata, Umbria e Veneto hanno già detto no; Lazio, Piemonte, Calabria, Puglia e Val d’Aosta, sì.

L’esercito
Il ricorso ai militari per arginare lo tsunami dell’immondizia in Campania è minimo. I mezzi per il momento a disposizione: 5 ruspe, qualche camion ribaltabile e tre siti che fungerebbero da discariche provvisorie. C’è però una richiesta di altri cento mezzi.

La «differenziata»
Sarà difficile per i Comuni mettere in piedi in 60 giorni il sistema di raccolta differenziata che, dopo 15 anni di emergenza, in Campania non supera l’11 per cento.

da lastampa.it
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« Risposta #5 inserito:: Gennaio 10, 2008, 10:58:42 am »

Rifiuti, la vera storia

Edo Ronchi


Dall’aprile ’96 all’aprile 2000 come ministro dell’Ambiente, collaborai con i presidenti della Regione Campania, prima Antonio Rastrelli e poi, dall’inizio del 1999, con Andrea Losco, nelle iniziative per la gestione dell’emergenza rifiuti, in atto dal 1994. Il primo piano regionale di gestione dei rifiuti campani fu elaborato dal presidente-Commissario Rastrelli, pubblicato nel luglio del 1997. Ricordo che era appena stato pubblicato anche il Decreto legislativo n.22, la riforma dei rifiuti.

E ricordo che il piano regionale campano, il cui iter era durato quasi due anni, in alcuni punti non era coerente con la riforma della gestione dei rifiuti appena avviata (in particolare sottovalutava il peso della raccolta differenziata e prevedeva un numero troppo elevato di ambiti territoriali ottimali). Ritenni, tuttavia, quel piano un passo avanti perché proponeva un progetto di gestione dei rifiuti della Regione e, data l’emergenza in corso, mi pareva prioritario sostenere quel primo passo e, poi, cercare di migliorarlo.

Sulla base di quel piano, i Presidenti-Commissari, prima Rastrelli e poi Losco, elaborarono un progetto di gestione e di impianti che fu messo a gara e si concluse con contratti per la realizzazione e la gestione degli impianti, firmati nel giugno del 2000 e nel settembre del 2001, quando io non ero più al ministero dell’Ambiente.

Quel piano prevedeva sette impianti di produzione di CDR (combustibile derivato da rifiuti) e di frazione organica stabilizzata (un po’ sovradimensionati perché avevano una capacità di pretrattare circa il 90% del rifiuto prodotto, considerando quindi molto bassa la raccolta differenziata) e due inceneritori per bruciare, con recupero energetico, di circa 1,1 milioni di tonnellate di CDR (corrispondente a circa il 40% del rifiuto prodotto).

La scelta di pretrattare i rifiuti e di recuperare energia dal CDR non era un’invenzione campana, ma una possibilità prevista dalla normativa italiana e praticata anche in altri Paesi europei.

Bruciando rifiuti urbani tal quali, non pretrattati e non preselezionati, aumenta, infatti, il rischio di avere negli inceneritori pile, apparecchiature elettroniche, barattoli con residui di vernici ed altri oggetti che possono comportare particolari emissioni pericolose e che richiedono attenzione e tecnologie per essere abbattute: producendo CDR a norma tali presenze vanno sostanzialmente eliminate.

Il rifiuto tal quale, inoltre, presenta un grado di umidità elevato e variabile: ciò riduce il suo potere calorico, ma aumenta anche i rischi di abbassamenti di temperature, o le difficoltà a mantenerle costanti ed elevate; l’abbassamento, non controllato, delle temperature nel forno di combustione può favorire la formazione di diossine.

In una Regione dove risultava particolarmente difficoltoso collocare impianti di incenerimento, ritenni positiva la scelta di puntare sul CDR che poteva essere bruciato con minori rischi ambientali e, se di buona qualità, essere, almeno in parte, bruciato, oltre che negli inceneritori dedicati, anche in centrali termoelettriche e nei cementifici.

Il fatto che le «ecoballe» prodotte dagli impianti campani siano risultate,per deficienze gestionali e impiantistiche, non conformi alle caratteristiche che dovrebbe avere un buon CDR, significa che non si doveva puntare su tale pretrattamento? Non credo proprio: quegli impianti vanno sistemati e anche in Campania si deve fare un buon CDR.

Il problema delle «ecoballe» non smaltite e accumulate in siti provvisori non dipende dalla decisione di fare del CDR, ma dal ritardo nella costruzione degli impianti di utilizzo: dell’impianto di Acerra (dopo 7 anni dalla decisione, ancora è in costruzione, quando il tempo medio per costruire un inceneritore è intorno ai tre anni!), e dalla mancata costruzione di un altro impianto di incenerimento (o di due più piccoli come sarebbe preferibile, per ragioni funzionali) per completare il ciclo, e dalla cattiva qualità di quel CDR, che ha finora impedito il suo, anche parziale, utilizzo fuori regione e in impianti non dedicati. Ad un certo punto, visto che non si riusciva ad utilizzarle, chi aveva la responsabilità per prendere tale decisione, avrebbe potuto anche sospendere la produzione di «ecoballe», fino all’apertura dell’impianto di Acerra. Ho l’impressione che non l’abbia fatto perché smaltire i rifiuti urbani tal quali, non come «ecoballe» stoccabili in depositi provvisori, sarebbe stato ancora più difficile, data la carenza di discariche.

Ma mentre si fanno gli impianti e si rafforza la raccolta differenziata, occorre non lasciare, in nessun caso, i rifiuti per strada. In quei quattro anni, ricordo, che quella fu la prima preoccupazione: trovare siti, allestire discariche pubbliche per evitare le infiltrazioni camorriste, trovare siti provvisori per lo stoccaggio ecc. Da questo punto di vista, non so se per buona sorte o per l’impegno di molti, in quei quattro anni non vi furono rifiuti abbandonati per le strade campane. Questa è la priorità, per la salute dei cittadini e per l’ambiente, anche di questi giorni: trovare, allestire e rendere agibili discariche sufficienti per liberare le strade e tenerle libere dai rifiuti, mentre ci si dà da fare per aumentare la raccolta differenziata, e per migliorare e completare gli impianti.

Pubblicato il: 09.01.08
Modificato il: 09.01.08 alle ore 14.30   
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« Risposta #6 inserito:: Gennaio 10, 2008, 07:23:13 pm »

Differenziata ed ecoballe.

La «road map» impossibile

Pietro Greco

Non ha un campito facile, Gianni De Gennaro.


Ha poche ore per togliere l’immondizia dalle strade di Napoli e della Campania e pochi giorni, 120 al massimo, per avviare verso una soluzione finalmente stabile e ordinaria il problema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti nella regione. Il groviglio è costituito da una serie di nodi. Alcuni vanno sciolti immediatamente, altri hanno bisogno di tempo per dipanarsi del tutto. Ma De Gennaro dovrà evitare con cura di commettere l’errore che, in un modo o nell’altro, hanno commesso tutti i commissari che lo hanno preceduto. Non dovrà adottare la politica dei «due tempi». Deve cominciare a sciogliere insieme tutti i nodi. I principali sono cinque.

1. La scelta dei siti
Ha la possibilità di usare le discariche già scelte in precedenza: Terzigno (Napoli), Serre (Salerno), Savignano Irpino (Avellino), Sant’Arcangelo Trimonte ed eventualmente la stessa Pianura. Ne potrà utilizzare altri, magari su suoli demaniali messi a disposizione dalla Forze Armate. Ma dovrà predisporre una dettagliata mappa nello spazio e nel tempo, perché ciascuno dei siti che sceglierà dovrà essere messo in sicurezza. Nessuno, attualmente, lo è. Mettere in sicurezza una discarica comporta operazioni prima, durante e dopo la collocazione dei rifiuti per garantire la sua impermeabilità secondo precisi standard definiti per legge sia impedire che il percolato prodotto inquini il sottosuolo e le falde acquifere sia per impedire che i rifiuti producano gas nauseabondi e/o tossici.

Le operazioni preliminari per mettere in sicurezza una discarica comportano alcune settimane di lavoro. Un tempo incompatibile con l’esigenza di togliere, immediatamente, i rifiuti dalla strade. De Gennaro avrà a disposizione decine di camion dell’esercito, oltre quelli civili. Ma deve risolvere un’equazione a molte incognite: dove portare le decine di migliaia di tonnellate che oggi sono per strada? Alcune andranno nelle discariche delle regioni più solidali. Altre, forse, nelle discariche già in sicurezza presenti in Campania ma ormai chiuse. Ne riaprirà - pro tempore - alcune? Farà bene, nell’adottare a tambur battente tutte queste scelte, a prendere in esame non solo le soluzioni dei tecnici del Commissariato che ha ereditato. Ma anche quelle proposte da altri esperti, purché scientificamente accreditati e svincolati da interessi ambigui.

2. I termovalorizzatori
Esistono paesi in Europa che hanno risolto il problema rifiuti sia con l’aiuto massivo degli inceneritori (per esempio la Svezia) sia senza ricorrere agli inceneritori (per esempio la Finlandia). Ma in Campania non c’è soluzione possibile - non nei prossimi anni, almeno - senza termovalorizzatori. Il governo ne ha definitivamente preso atto, decidendo che dovrà essere completato al più presto, in pochi mesi, quello di Acerra e dovrà essere avviata la costruzione di altri due inceneritori, quello di Santa Maria la Fossa e quello di Salerno (per il quale il sindaco ha avuto un mandato commissariale).

Ad Acerra dovranno essere risolti alcuni problemi di tipo giuridico, visto che la realizzazione definitiva del termovalorizzatore - prevista da Bertolaso per la fine del 2007 - è slittata a tempo indefinito (si parla di un anno o anche più). Bisognerà accorciare i tempi ad Acerra, senza rinunciare in alcun modo a ottenere il meglio delle tecnologie disponibili. Lo stesso principio, il meglio delle tecnologie disponibili, dovrà valere per gli altri due impianti. Gli esempi, anche in Italia, non mancano. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Il termovalorizzatore di Brescia è considerato tra i più affidabili del pianeta. A Venezia un’impresa di Bolzano, la «Ladurner» ne ha costruito uno in appena 12 mesi con un sistema di abbattimento delle polveri e delle emissioni dannose di assoluta avanguardia. Certo, occorre evitare di fare quello che è stato fatto in passato. Affidare a un’unica società la gestione dell’intero ciclo dei rifiuti, scelta dei siti compresa. Perché si entrerebbe di nuovo in un circuito devastante di conflitti di interesse. Chi costruisce l’impianto non sceglie i siti e non organizza la raccolta differenziata.

3. La raccolta differenziata
Il governo ha dato ottime indicazioni. I responsabili siano i comuni. E se, in breve, non sono capaci di redigere un piano (prossimi 60 giorni) e di realizzarlo (successivi 60 giorni), i consigli comunali siano sciolti. Tra 120 gironi la raccolta differenziata dovrà smaltire almeno un terzo dei rifiuti campani, alleggerendo la pressione su discariche e termovalorizzatori. Naturalmente occorre che Gianni de Gennaro faccia (o faccia fare) nei prossimi 120 gironi ciò che non è stato fatto in 14 anni di gestione commissariale: dotare la Campania di strutture per il riciclaggio delle «materia seconde» raccolte e selezionate. E iniziare un altro percorso, che sembra una fuga in avanti, ma è straordinariamente pratico: iniziare a produrre meno rifiuti, attraverso l’educazione al consumo.

4. Gli impianti Cdr
Allo stesso modo dovranno essere riattivati i siti per la produzione dei Cdr (combustibile derivato dai rifiuti), oggi bloccati dal sovraccarico di immondizia ed ecoballe che non si riesce a smaltire, e per la produzione della Frazione Organica Stabilizzata. De Gennaro dovrà procurare che, questa volta, il Cdr prodotto sia vero Cdr e non solo monnezza tal quale impacchettata. Perché se il Cdr contiene la frazione umida non può essere «termovalorizzato» in sicurezza ed economia. Il che rimanda all’altro problema: che fare dei 7 milioni e più di ecoballe costituiti da Cdr, per così dire, anomalo che costellano il territorio campano? De Gennaro dovrà approntare un piano realistico per risolvere questa ennesima eredità negativa lasciata da 14 incredibili anni di commissariamento. Occorreranno, certo, anni per smaltire quelle montagne di rifiuti confezionati. Ma è necessario partire da subito e non rimandare ancora la soluzione del titanico problema.

5. La logica-dialogo
Ma l’ex capo della polizia dovrà fare molto di più che dare risposte alle quattro questioni tecniche che abbiamo sollevato. Dovrà rendere la questione dei rifiuti in Campania «normale», come lo è in tutta Europa e nella gran parte d’Italia. Per fare questo dovrà operare su due pani. Da un lato lottare con grande determinazione le infiltrazioni della camorra, che ha occupato gli enormi spazi lasciati vuoti dalle incapacità delle istituzioni. E dall’altro dare senso piano al concetto di «democrazia partecipata», senza la quale nessun problema ecologico nelle nostre complesse società. Per fare l’una e l’altra cosa - combattere la camorra e iniziare (sì, iniziare) un dialogo vero (magari teso, ma vero) con la popolazione - converrà a De Gennaro smantellare rapidamente le strutture commissariali e chiedere aiuto alla società civile, oltre che alle istituzioni. Dovrà chiedere la partecipazione attiva e reale dei comuni, delle province, della Regione, del Governo nazionale. Ma anche dei movimenti e delle associazioni. Delle università e delle scuole. Solo se la «cultura dei rifiuti» e (come sostiene giustamente Ermanno Rea) la «cultura della legalità» diventano, a ogni livello, cultura diffusa, la Campania potrà uscire in maniera dall’emergenza. De Gennaro lo ricordi, non si lasci prendere dall’ansia di trovare la soluzione ai problemi imminenti e guardi sempre alla soluzione del problema rifiuti nel suo insieme. La società civile campana - una larga parte della società civile campana - è la più grande risorsa di cui dispone. La sua più grande alleata. La chiami e ne sarà ripagato.

Pubblicato il: 10.01.08
Modificato il: 10.01.08 alle ore 16.40   
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« Risposta #7 inserito:: Gennaio 10, 2008, 07:26:30 pm »

La mia gente di Pianura

Lina Tamburrino


Ho sempre invidiato quelli che hanno ricordi magnifici della loro infanzia: paesaggi, odori, persone, luoghi e affetti. I miei sono da incubo e ancora oggi mi affliggono, nei sogni, immagini di degrado e di miseria.

Perché la mia infanzia e i primi anni della mia adolescenza li ho passati a Pianura, allora un piccolo centro di campagna, un quartiere alla periferia occidentale di Napoli, con una popolazione di qualche migliaia di persone, circondata da ampi spazi verdi, lontana da tutto. Il quartiere-paese aveva un certo ordine edilizio basato su grosse case a due piani che si affacciavano, con balconi a ringhiera, su cortili dove razzolavano galline, abbaiavano cani, sedevano donne a cucire e fare pettegolezzi. Erano case senza acqua, senza riscaldamento, senza gas: si cucinava con il carbone.

Ricordo la guerra: il corpo di un soldato nero in fondo a un pozzo; il rifugio costituito dalla enorme pancia di un monte, dove si restava anche giornate intere; le ragazze che per fame lavavano la biancheria dei soldati americani e che- una volta partiti questi- sono rimaste segnate per sempre da quella vicinanza. C’era un cinema, ma non una scuola media e ai ragazzi toccava arrivare fino a Bagnoli, puzzolente per il fumo e i granelli di carbone della mitica Italsider. Era lontano ma molto utile quel quartiere contadino dove la discarica della spazzatura- per la città di Napoli e per il resto della regione campana- era già in funzione negli anni cinquanta. Correvano leggende metropolitane: sotto quei mucchi maleodoranti venivano nascosti i cadaveri degli assassinati nelle rese di conti camorristiche. Addirittura si vociferava della carcassa di una balena.

Il destino di Pianura è cambiato improvvisamente dopo gli anni sessanta grazie a un paradosso e cioè alla combinazione di una iniziativa di classe e di un abusivismo indecoroso. Le vecchie case a ringhiera si sono afflosciate, sono andate in malora, quelle che hanno resistito sono state risistemate in qualche modo e messe in affitto per quelli che arrivavano dal centro cittadino affamati di abitazione. Negli anni 70 e 80 Napoli ha un enorme bisogno di case: il centro storico è indisponibile anche perché è stato disastrato dal terremoto del 1980, non si costruisce da nessuna parte.

Allora chi ha soldi a disposizione si sposta sulla costa, a Baia, a Licola (da cui oggi scappa per ragioni di sicurezza e di infrastrutture). Chi invece i soldi non ce l’ha, si riversa a Pianura dove è possibile acquistare suoli ancora a poco prezzo dai contadini ed edificare una abitazione. Si delinea un affare enorme e la camorra vi si getta sopra: si comincia a costruire senza licenza edilizia, in una notte si è capaci di tirare su il primo piano di una abitazione per la quale era stato autorizzato soltanto il piano terra.

Pianura balza ai quasi settantamila abitanti di oggi: sono famiglie di pensionati appena al di sopra del minimo, di lavoratori i cui salari non superano i 1200 euro al mese, metà dei quali vanno in affitti al nero, senza nessuna protezione o garanzia, di professionisti che si sentono disperati e vengono considerati e si considerano cittadini di serie b. L’ex quartiere contadino diventa un agglomerato residenziale caotico, dove le uniche case in regola sono quelle del villaggio Italsider e quelle messe su per i terremotati. Il resto, è abusivo. Pianura si sviluppa in direzione di Soccavo e Fuorigrotta e qui le sue case arrivano quasi a lambire il grande complesso della nuova città universitaria. Che cosa hanno detto della discarica i professori che arrivano da ogni parte del mondo?

In qualche modo vengono trattati come abusivi gli stessi abitanti del quartiere. Le promesse di riqualificazione fatte dopo la chiusura della discarica nel 1996, non vengono rispettate. I settantamila non hanno a disposizione un cinema (quello del 1950 è stato chiuso decenni fa), un negozio di libri, una biblioteca pubblica o privata che sia. Anche il sistema fognario è incompleto perché, essendo abusivo, buona parte del quartiere non risulta sui documenti del comune.

Oggi c’è la scuola media ed è intitolata a Giovanni Falcone, ma nessun insegnante si è mai preoccupato di spiegare agli alunni chi fosse il personaggio in questione e che cosa sia la mafia. Dai racconti dei miei nipoti che vivono a Pianura ricavo un tasso di assenteismo di insegnanti sorprendente e una altrettanto sorprendente tolleranza nei confronti della indisciplina degli studenti che spesso decidono lunghi ponti oppure il prolungamento delle vacanze di Natale e di Pasqua. E mi convinco che nelle scuole di zone cosi degradate, con ragazzi cosi poco motivati, vengano spediti insegnanti a loro volta molto poco motivati, capaci di raccontare agli studenti che durante la seconda guerra mondiale l’Italia combatteva al fianco degli alleati.

È un circolo vizioso dal quale non si sa come uscire perché la discarica è il simbolo perfetto della realtà delle periferie napoletane, del loro degrado mai affrontato. Senza alcuna distinzione politica: sono di sinistra a Pianura, cosi come nella quasi totalità dei quartieri napoletani, gli amministratori della municipalità.


Pubblicato il: 10.01.08
Modificato il: 10.01.08 alle ore 13.11   
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« Risposta #8 inserito:: Gennaio 11, 2008, 10:00:24 am »

I vescovi campani: appoggiando proteste abbiamo «offeso verità»

Sulla questione dei rifiuti i vescovi campani invitano la comunità cattolica all'autocritica.


Dopo che nei giorni scorsi il Governatore Antonio Bassolino aveva denunciato che, tra le opposizioni alle sue iniziative, ci sono stati «comitati civici, ambientalisti fondamentalisti, vescovi che predicavano contro i rifiuti-demonio», la Conferenza dei dell'episcopato campano pubblica una nota nella quale esortano: «Non possiamo non riconoscere di aver offeso, a volte, la verità, la retta ragione, l'amore; di aver commesso peccato».

«Quando, come accade in questi giorni, certe emergenze si mostrano in tutta la loro drammaticità non soltanto come effetti di mancate o errate scelte, o di precise responsabilità - si legge nel documento - ma anche come il frutto dei nostri stili di vita iperconsumistici; quando emerge tragicamente il risultato non soltanto di determinate pratiche sociali inadeguate o di omissioni colpevoli, ma anche di peccati da noi commessi; quando i nostri occhi e i nostri sensi sono costretti a vedere e percepire tutto questo, noi non possiamo, comunque, perdere la speranza e la fiducia».

Ma, proseguono i vescovi campani, «non possiamo neppure fingere di non vedere e interpretare quelli che appaiono dei segnali concreti ed evidenti, non soltanto di un inquinamento ambientale, bensì di un più profondo inquinamento interiore e, forse, di un possibile e deprecabile degrado morale». Se, in questo momento diventa «ancora più vivo e forte il legame al nostro territorio», dall'altra, «non possiamo non riconoscere di aver offeso, a volte, la verità, la retta ragione, l'amore; di aver commesso peccato». Infatti, «i tanti errori individuali - sottolineano i vescovi campani - stanno purtroppo diventando delle vere e proprie strutture di peccato, di cui siamo singolarmente responsabili, allorché prendiamo drammaticamente atto: di aver cooperato agli errori degli altri, prendendovi parte direttamente e volontariamente; di non averli denunciati o non impediti, quando invece saremmo stati tenuti a farlo; o infine, addirittura quando abbiamo protetto coloro che commettono il male».

Insomma, «solo se riconosciamo l'errore consapevolmente commesso, ci viene riaperta la strada della conversione e del cambiamento».

Malgrado le difficoltà, «quello che si va facendo per assumere giuste soluzioni, le decise prese di distanza della popolazione sana da atti di violenza o di sopraffazione, l'isolamento netto nei confronti di delinquenti singoli ed organizzati, che non mancano di soffiare sul fuoco dell'odio per loschi fini - osservano i presuli - tutto questo ravviva la nostra speranza».

Alcuni territori, ricordano i vescovi, «sono stati ancora una volta umiliati» nel paesaggio e nella loro immagine e Napoli è sommersa da «spaventosi cumuli di rifiuti non raccolti, che fanno da sfregio non soltanto all'ambiente, ma prima di tutto alla dignità delle persone». Per i vescovi è necessario «non interrompere un dialogo con la popolazione» e coinvolgerla circa «il modo più idoneo di progettare i consumi e la sostenibilità alimentare, la corretta fruizione dei beni paesaggistici e culturali, la differenziazione, lo smaltimento, il trattamento, il ri-uso, la riqualificazione e le possibili, e più avanzate e sicure, soluzioni tecniche per il ciclo dei rifiuti».


Pubblicato il: 10.01.08
Modificato il: 10.01.08 alle ore 18.02   
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