per Filippo Barbano, a più voci
Implementare, formando, la cultura sociale
Franco Angeli
p. 132-134
https://doi.org/10.4000/qds.1249Testo | Citazione | Autore
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1Il fatto d’essere in questa sala è prova sia di come ritenga un onore avere pubblicato il volume Teoria, società e storia. Scritti in onore di Filippo Barbano, a cura di Carlo Marletti ed Emanuele Bruzzone, sia soprattutto dell’amicizia, della stima e dell’ammirazione che provo per te Filippo, per la tua, in primo luogo, profonda umanità: credo che questa sia una delle doti particolari che tutti quanti ti dobbiamo riconoscere per un insieme di ragioni.
2Sin dagli anni ’50 ho avuto rapporti con una serie di personaggi direi eccezionali che hanno favorito il rinnovamento della cultura italiana, soprattutto nell’ambito delle scienze sociali: tra loro, te in primo luogo come capofila. Mi sembra giusto riconoscerlo. Non mi soffermo sul tuo contributo fondamentale come sociologo, altri lo faranno in questa sede. Sono onorato di avere pubblicato tuoi libri importanti e ti ringrazio per l’opera che hai svolto come direttore di due collane che hanno avuto un ruolo significativo anche per la casa editrice: «Archivio italiano di sociologia» e «Scienza e Società». Intendo poi sottolineare qui molto rapidamente due punti.
3Il primo, in quanto editore: l’opera che hai svolto come Direttore dell’Istituto di Scienze Politiche «Gioele Solari», dall’inizio degli anni ’70 all’82. Attività comprovata e per così dire resa visibile dai ben 48 volumi, non uno..., pubblicati nella Collana «Saggi e Ricerche» dell’Istituto tra il 1978 e il 1983. Basta scorrere l’elenco dei titoli e degli autori per rendersi conto dell’ampiezza degli interessi coltivati, dell’importanza che aveva allora l’operare in un contesto che favoriva un approccio transdisciplinare da te incessantemente promosso, dell’abilità che hai dimostrato come direttore in quegli anni nel favorire appunto uno sviluppo senza confini delle scienze sociali. Mi sembra importante ricordare in questo senso anche l’opera, anch’essa estremamente qualificata, di colui che era allora il segretario amministrativo dell’Istituto: Angelo Giannone.
4Andandomi a documentare sulle fonti – la mia formazione di base è in Storia economica – ho riesaminato il primo libro della collana: Luciano Bonet, Gli impiegati-studenti. Il caso di Scienze Politiche (1978). Naturalmente ho subito riguardato la Prefazione, scritta dal professor Barbano, e passo al secondo aspetto – cambio cappello: non parlo più come editore ma come Presidente dell’Associazione Italiana Formatori. Vorrei sottolineare l’estrema attualità delle cose che scrivevi in quella Prefazione, che reca la data 30 aprile 1977, delineando le linee guida di una «riforma universitaria».
5Riferendoti all’organizzazione didattica della Facoltà, e cito letteralmente proprio perché non credo ci sia da aggiungere nulla (l’unica cosa che differenzia quel testo dalle analisi di oggi è che tu non usavi né abusavi mai dell’inglese, come facciamo noi esperti di management). Sostenevi che era necessario assicurare:
6Una formazione che garantisca allo studente la capacità di riprodurre autonomamente la propria cultura, riconoscendo nelle situazioni di lavoro le disparate informazioni apprese; una professionalità che sia ben qualificata nelle sue competenze tecnico-scientifiche per rispondere a domande di lavoro e bisogni culturali mobili; un senso della contemporaneità appreso come critica e verifica del presente, da fondarsi su un’analisi storico-sociale delle strutture genetiche e trasformative della situazione (p.
.
7Sono parole che sembrano scritte oggi. E proseguivi:
La prospettiva di una crisi da ingolfamento [dell’università] è capovolta dalla prospettiva del «territorio» che impetuosamente entra nell’università… Una prospettiva, che non enfatizza negativamente il momento della crescita quantitativa, ma piuttosto esalta il passaggio da una quantità a una qualità. L’università, non è vista tanto dal lato delle strutture e delle funzioni, quanto dal lato dell’attività, del lavoro, della vita e del servizio, così come essi ora, sono sollecitati dalla composizione sociale e dal movimento di chi vi entra… dal territorio…, che è poi la società civile (p. 9).
8Il tutto finalizzato intelligentemente all’acquisizione di una nuova professionalità. E concludevi:
Siamo di fronte ad una domanda di formazione posta in termini di riconversione culturale? Oppure siamo di fronte a una domanda di formazione permanente? [oggi parleremmo di education e di long life learning, n.d.a.]… Il «riciclo» nelle strutture universitarie risponde a esigenze e bisogni culturali che non sono solo quelli del mercato del lavoro, ma che, anzi, possono intervenire a forzarlo… (p. 10).
9Ed è indubbio che l’obiettivo che allora ponevi è ancora di particolare attualità, così come la critica al «prevalere, nei piani di studio di molte facoltà, delle nozioni e delle istituzioni, e… la scarsità o l’assenza di caratteristiche e contenuti formativi della nuova professionalità» (p. 10).
Una rilevanza decisiva era da te già allora individuata non solo nel problema dei contenuti della didattica ma anche del metodo della stessa; non solo del «che cosa studiare», ma anche del «come studiare» – ho citato solo alcuni passi ma l’estrema attualità della tua analisi caratterizza l’intera prefazione.
10Con il rifiuto di una preparazione una tantum che diventa presto obsoleta – eravamo ancora negli anni in cui il Manuale Colombo dell’ingegnere si riteneva bastasse al laureato in quella disciplina per tutta la vita professionale – si pone il problema di come le conoscenze e le informazioni possano efficacemente riprodursi nella testa di chi le ha apprese, e cioè nel lavoro e nelle attività concrete.
11Inutile parlare di «abbassamento del livello culturale» che sarebbe riscontrato nelle nuove generazioni di studenti: il nozionismo delle scuole tecnico-professionali e il classicismo retorico-letterario non possono che dare certi frutti... Direi – permettetemi di citare cose che come formatori manageriali da tempo sottolineamo – che il punto è oggi motivare lo studente all’apprendimento e quindi facilitarne le modalità. Sottolineo poi un altro elemento che era già implicito in quanto tu allora sostenevi: è necessaria non solo la formazione continua ma anche l’offerta di nuove forme d’insegnamento che integrino la lezione classica in aula. Non mi riferisco solo all’e-learning e alle varie tecniche di FAD–Formazione a distanza: tanto per intenderci, evidentemente diventerà sempre più importante che la direzione del processo d’apprendimento passi dal docente al discente. Sono ormai lontani i tempi in cui lo studente poteva considerare sufficiente, per superare con la minor fatica gli esami e arrivare alla laurea, imparare le risposte che il docente si attendeva alle domande poste, anche se adesso – il discorso si fa cattivo, ma è implicito in quanto tu dicevi – sembra purtroppo possano tornare. L’esempio credo più negativo, da cui l’Università italiana deve ben guardarsi, è quello di certe organizzazioni che portano con questo metodo diversi studenti alla laurea, dietro pagamento di alcuni milioni, riscuotendo un tale successo che stanno diventando sempre più numerose.
12Infine, proprio perché le mie non vogliono essere parole banalmente di circostanza, ma fortemente sentite, mi piace ricordare a Barbano, e Filippo non lo sa, che abbiamo in comune anche altre cose. Il primo articolo che ho personalmente pubblicato è stato in un giorno speciale, il 25 aprile 1945, su «Il Popolo dell’Ossola». Diciamo allora che lo spirito che dobbiamo avere è quello d’impegnarci nella costruzione di quel «mondo migliore» che sognavamo allora. Oggi è fondamentale e necessario porre le condizioni per realizzarlo e lo si può fare solo stimolando un forte investimento nella formazione, nel long-life-learning. Ricorro ancora qui ai termini che usiamo come formatori manageriali: investimento nello sviluppo dei talenti individuali. Diversi studiosi sostengono oggi che la ricchezza del futuro non è più nei beni «pesanti», cioè sostanzialmente i beni immobili, i beni materiali, bensì in quel tipo di beni mobili che chiamano assets invisibili e, tra questi, i «beni pensanti», cioè le risorse umane di cui un’organizzazione, un paese dispone. Investire nello sviluppo dei talenti umani è sempre più essenziale nella società che qualche anno fa chiamavamo post-industriale, post-moderna. La prima fase della new economy ha posto l’accento soprattutto sull’innovazione tecnologica, ma oggi stiamo vivendo i nuovi sviluppi della net economy e stiamo entrando nella knowledge economy o, se si preferisce, nella knowledge society. E, come sostiene Peter Drucker, la vera rivoluzione che stiamo vivendo non è quella tecnologica, che è semplicemente un’evoluzione: la vera rivoluzione è che ogni individuo deve imparare ad autogestirsi, ad affrontare criticamente un mondo dominato dal cambiamento continuo, deve sviluppare i suoi talenti individuali e realizzare il suo project-to-live, dando così il proprio contributo alla creazione di un mondo migliore. Per assicurare il futuro che auspichiamo l’elemento fondamentale è la responsabilità che abbiamo tutti noi: voi, in quanto docenti e studiosi dell’Università, noi come editori e formatori manageriali. Responsabilità di cui ci ha dato un forte insegnamento Filippo Barbano.
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Per citare questo articolo
Notizia bibliografica
Franco Angeli, «Implementare, formando, la cultura sociale», Quaderni di Sociologia, 30 | 2002, 132-134.
Notizia bibliografica digitale
Franco Angeli, «Implementare, formando, la cultura sociale», Quaderni di Sociologia [Online], 30 | 2002, online dal 30 novembre 2015, consultato il 01 septembre 2022. URL:
http://journals.openedition.org/qds/1249; DOI:
https://doi.org/10.4000/qds.1249Torna su
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