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Autore Discussione: La Flat Tax e le tre “flat tax” della Destra. - CASTRONATE per CREDULONI.  (Letto 1223 volte)
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« inserito:: Agosto 23, 2022, 04:17:14 pm »

Ugo Colombino
 
La Flat Tax e le tre “flat tax” della Destra.
Sulle tre “flat tax” (FT) proposte dalla destra si è già detto e scritto molto. Forse qualcosa di interessante si può ancora osservare.
Per quanto riguarda la FT incrementale proposta da FdI, sono condivisibili le critiche di Boeri e Perotti. Più che un incentivo allo sviluppo, è un aiuto a vari comportamenti opportunistici. Complica inutilmente l’amministrazione, sia per i cittadini che per il Governo. Aumenta i costi (ma anche le rendite) di tanti fiscalisti il cui tempo potrebbe essere allocato in modo socialmente più utile. Aggiungo che potrebbe essere incostituzionale: due individui oggi con lo stesso reddito si troverebbero a dover pagare tasse diverse a seconda dei redditi percepiti ieri.
La proposta della Lega, a parte l’insostenibilità finanziaria, è quanto di più distante dallo spirito originario della FT. Quest’ultima promette universalità, semplicità e incentivi allo sviluppo (promette: che poi mantenga è altro discorso, ci torno dopo). Il punto è che la FT della Lega – sia nella versione, ahimè, già realizzata, sia nella versione estesa proposta – è corporativa (si rivolge a categorie professionali specifiche), è complicata (le 18 aliquote marginali diverse elencate da Marattin), garantisce una rendita alla scelta di NON svilupparsi e premia uno dei disastrosi difetti della nostra struttura produttiva: il nanismo.
Vengo infine alla proposta da FI. In questo caso si tratta di una vera FT. L’aliquota proposta (23%), tuttavia, è improponibile. Qualche anno fa, è stato pubblicato uno studio promosso dall’Istituto Bruno Leoni (Venticinque % per tutti, N. Rossi (a cura di), IBL Libri, 2017). Proponeva un FT al 25% con una no-tax area e un reddito minimo garantito mensile intorno a 500-600 euro mensili. Ma, insieme a questo, proponeva anche un piano dettagliato di riforma di tutto il welfare che rendeva finanziariamente sostenibile la FT. D’accordo o meno che si fosse con la proposta, era uno degli studi più seri e interessanti fatti negli ultimi decenni. Meritava maggiore attenzione a livello sia accademico che politico. Questo per dire che se si vuole davvero proporre una FT ci vuole ben altro che un numero (23%), tanto più se questo numero è sbagliato. Ma quale sarebbe il numero giusto? Se non si vogliono affrontare le riforme a suo tempo proposte dal Bruno Leoni (pensioni, sanità, ecc.), per l’Italia si tratterebbe oggi di una FT intorno al 40%, un reddito minimo garantito intorno ai 350 euro mensili e una no-tax area (con imposta negativa) fino a circa 12000 euro annuali. Forse uno scenario poco attraente (vedi ad esempio: https://liser.elsevierpure.com/.../combining...). Il problema di fondo è la produttività. Se la produttività, e quindi il salario, e quindi la capacità contributiva, non crescono non possiamo permetterci scenari migliori.
Torniamo un momento a quelle che potrebbero essere le caratteristiche desiderabili della FT. Sulla universalità e semplicità non si può obiettare. La semplicità potrebbe anche implicare minori costi amministrativi, minore manipolabilità politica, forse anche minore evasione. Il punto più critico riguarda gli incentivi alla crescita. L’evidenza empirica è ambigua. In qualche caso ci sono, in altri no. Nel breve periodo, direi comunque poco, certo non tanto da rendere la FT auto-finanziata. Potrebbe essere più interessante la prospettiva di lungo periodo. Aliquote meno progressive possono incentivare la formazione di “capitale umano” (studiare di più, scelte educative e occupazionali più lungimiranti ecc.). Su questo, l’evidenza empirica non manca. Ma si parla appunto di lungo periodo, e quanto lungo non si sa. C’è anche la ricerca teorica, i modelli di “tassazione ottimale”. La linea Saez-Piketty prescrive aliquote marginali molto progressive. Ma c’è anche un’altra linea, meno “de sinistra” ma forse più di sinistra, che affida la progressività ad un reddito di base universale abbastanza generoso accoppiato con aliquote, se non proprio piatte, almeno non troppo crescenti. Personalmente mi sento più vicino a questa seconda posizione. Naturalmente sono modelli basati su assunzioni e metodi diversi, con risultati diversi. Succede nella fisica, figuriamoci se non deve succedere in economia.
Poi c’è il tema dell’equità. C’è chi è molto sensibile alle differenze (statiche) tra ricchi e poveri, cioè diciamo alle misure tradizionali (statiche) di disuguaglianza. È un tema rilevante ma personalmente sono più interessato ad una prospettiva dinamica, e cioè alle opportunità che vengono date ai poveri di diventare meno poveri o più ricchi, e da questo punto di vista dinamico diventa meno rilevante quanto ricchi siano i molto ricchi.
Torniamo infine alla produttività. Questo è centrale. Quand’anche ci sembrasse desiderabile la FT, una sua versione attraente e sostenibile diventerebbe possibile solo dopo un consistente aumento della produttività (e quindi dei salari e della capacità contributiva). A quel punto, anche alcune versioni della FT, o anche solo aliquote marginali molto meno progressive, potrebbero a loro volta – nel lungo periodo – dare un ulteriore contributo alla produttività stessa

da Fb del 22 agosto 2022
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