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Autore Discussione: Perché in Moby Dick c’è la storia della follia umana, della cattiveria, di ...  (Letto 1142 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Luglio 05, 2022, 05:32:04 pm »

 
Buongiorno, ecco una serie di notizie selezionate per te dalla redazione del Corriere del Veneto.
Giovanni Montanaro, editorialista del quotidiano, parla di quello che è successo domenica sulla Marmolada.
Buona lettura!
 
 
È la battaglia finale. Il capitano Achab ha finalmente scovato la balena bianca Moby Dick in mezzo all’oceano e vuole ucciderla per vendicarsi, visto che quel gigantesco animale marino gli ha strappato la gamba con un morso. Achab è impazzito, non riesce a rinsavire, a capire che l’impresa fallirà, che sta conducendo la baleniera Pequod e tutta la ciurma verso la distruzione. Ha navigato solo per quello, per andare a sfidarla.  Nel romanzo di Melville, l’unico che prova a far ragionare Achab è Starbucks, il primo ufficiale, da sempre critico nei confronti di quell’avventura diventata un’ossessione. Al terzo giorno di caccia, dopo scontri e distruzioni, Starbucks si rende conto con chiarezza che il Pequod non può tenere, che gli arpioni in dotazione non possono trapassare l’enorme corazza di Moby Dick, e così capisce davvero che tutto sta per finire, e implora un’ultima volta Achab di tornare indietro. Cerca di spiegare al capitano che quella è tutta una sua ossessione, e basta, e gli dice: «Moby Dick seeks thee not», Moby Dick non ti cerca. Quella frase di Starbucks mi ha sempre fatto riflettere.
 
Achab ne faceva una battaglia personale, che poi diventa presto la lotta di ogni uomo contro la natura, forse contro Dio, la storia del confine labile tra sopravvivenza e capriccio, tra bene e male, con continui rovesciamenti di prospettiva. Starbucks però cerca invano di fargli capire che c’è qualcosa di più terreno, meno filosofico, più animale; la balena in realtà è del tutto indifferente alla sua sorte, non si può attribuire a Moby Dick una intenzione diversa dall’istinto di difendersi da chi vuole ucciderla per ricavare dal cranio lo spermaceti, la sostanza oleosa che faceva le candele più luminose e profumate dell’Ottocento. Moby Dick, dunque, racconta molte cose, e mi pare anche qualcosa anche sulla tragedia della Marmolada.
 
Perché in Moby Dick c’è la storia della follia umana, della cattiveria, di come l’uomo guasta ciò che ha intorno, distrugge, per suo interesse, caccia, finisce per esserne travolto dalle sue stesse azioni, finisce per perdere contro la natura. Ma sarebbe sbagliato pensare che ci sia solo quello, che gli uomini siano solo quello. C’è anche la constatazione che gli uomini vanno, cercano, conquistano, rischiano, muoiono. Impazziscono per degli obiettivi folli, perché è proprio degli uomini tentare, sbagliare; la nostra unica grandezza, in fondo, è nell’inquietudine.
 
Nessuno ci ha consigliato di attraversare gli oceani, ma ce l’abbiamo fatta. Nessuno ci ha detto di incamminarci nei deserti, di conquistare la luna, o Marte. Nessuno ci ha costretto a salire sulla vetta inospitale delle montagne, eppure le abbiamo conquistate. È vero, dunque, che gli uomini rischiano di distruggersi, e mai come e adesso. Che la Marmolada è l’immagine visiva e terribile del nostro disastro, e ci ripete che siamo esseri sospesi tra incoscienza e stupidità, talento e superbia, furbizia e delirio, e che stiamo perdendo un futuro bello per un futuro brutto. E quindi è giusto oggi domandarci che cosa dobbiamo cambiare di quel che siamo diventati, perché qualcosa dobbiamo cambiare per forza, sempre più velocemente, perché il nostro modello di sviluppo saccheggia il tempo, perché siamo senza acqua dalle fontane e le montagne crollano, abbiamo avuto una pandemia e avremo forse delle carestie. Ma è anche vero che, per fortuna, che queste tragedie ci ricordano anche che non siamo onnipotenti. Che la natura è più forte di noi, è più grande di noi.
È madre, meraviglia, nutrimento. Ma è anche dolore, fatica. Ama e scaccia, abbraccia e uccide. Come la balena di Melville, ci è anche indifferente. E allora viene il destino. Perché sulle montagne sono morti alpinisti fenomenali e improvvisati della domenica, soccorritori esperti e criminali fuoripista. Per un cambio di vento, per qualcosa di imprevedibile, perché uno è stanco, perché viene giù tutta una parete, per qualcosa che ogni tanto accade, perché per fortuna nessuno è davvero signore di niente, in questa terra.



Da - Newsletter Corriere del Veneto corrieredellasera@publisher-news.com

Giovanni Montanaro, editorialista del quotidiano, parla di quello che è successo domenica sulla Marmolada.
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