Facebook deve informare gli utenti che utilizza i loro dati a fini commerciali. Il social rischia un'altra sanzione
Dopo la conferma della sanzione per pratica commerciale scorretta da parte del Tar, ora Facebook rischia un'ulteriore sanzione per non aver ottemperato all'obbligo di pubblicare la rettifica e di informare gli utenti che i loro dati vengono utilizzati a fini commerciali. Partecipa alla nostra class action.
23 marzo 2020
Di Luca Cartapatti
ATTENZIONE: a causa dell’emergenza del coronavirus, l’attività dei tribunali è stata temporaneamente sospesa e quindi anche la nostra class action. Monitoriamo costantemente la situazione: puoi seguire gli aggiornamenti visitando la pagina dell'azione.
La storica sentenza del Tar di qualche settimana fa, che ha confermato la sanzione per pratica commerciale scorretta inflitta alla piattaforma di Zuckerberg dall'Antitrust, ha riconosciuto che i dati degli utenti raccolti e utilizzati da Facebook per fini commerciali hanno un valore economico e che il social network non ha informato correttamente di questo i suoi iscritti.
Oltre a sanzionare Facebook per 5 milioni di euro, l’Autorità aveva infatti vietato a Facebook di proseguire con questa pratica ingannevole e disposto che il social pubblicasse una rettifica sulla propria homepage italiana, sull’app di Facebook e sulla pagina personale di ciascun utente italiano registrato. Nonché di rimuovere il claim “è gratis e lo sarà per sempre” dalla home page.
Nonostante il claim si stato effettivamente rimosso, il consumatore che si voglia registrare al social network tuttavia continua a non essere informato dalla società, con chiarezza e immediatezza, quanto alla raccolta e all’utilizzo dei propri dati con finalità remunerative. Inoltre ad oggi Facebook non ha ancora pubblicato la dichiarazione di rettifica come richiesto dall'Autorità.
Per queste ragioni l'Antitrust ha aperto un procedimento per inottemperanza nei confronti del social network che potrebbe portare a un'ulteriore sanzione di altri 5 milioni di euro. Questo ulteriore passaggio dimostra che abbiamo ragione: i comportamenti adottati in passato da Facebook sono stati scorretti e sanzionabili. Aspetto che conferisce ulteriore forza alla nostra class action con cui chiediamo un risarcimento di 285 euro per ogni anno di iscrizione al social network. Aderisci anche tu, siamo già oltre 125.000.
Partecipa alla class action
La sentenza del Tar: i dati hanno un valore
Nella sentenza con la quale il Tar ha confermato la sanzione a Facebook per pratica commerciale scorretta, si legge che i dati personali possono "costituire un asset disponibile in senso negoziale, suscettibile di sfruttamento economico e, quindi, idoneo ad assurgere alla funzione di controprestazione in senso tecnico di un contratto". Ovvero, tradotto in soldoni, il giudice ha decretato che i dati degli utenti che Facebook ha raccolto e utilizzato hanno un valore economico. Il social network, però, non ha informato di questo i suoi iscritti al momento dell'iscrizione, né li ha informati sul modo in cui ha tratto profitto da questi dati.
Secondo il giudice amministrativo, gli operatori che traggono profitto dai dati degli utenti devono rispettare quegli obblighi di chiarezza, completezza e non ingannevolezza delle informazioni nel momento in cui acquisiscono i dati. Il consumatore deve essere informato dello scambio di prestazioni che avviene a seguito della sua iscrizione al social network.
Dicembre 2018: la multa di Antitrust
Ma facciamo un passo indietro. Nel dicembre del 2018 l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva multato il social network di Zuckerberg per un totale di 10 milioni di euro. Tra le altre cose, a Facebook era stata contestata dal Garante soprattutto la pratica commerciale scorretta nel momento in cui acquisisce i dati degli utenti. Era stata la prima sanzione in Europa contro la scarsa trasparenza di Facebook sull’uso dei dati degli iscritti al social e il loro sfruttamento economico senza adeguata informazione e consenso. Facebook si è rivolta al Tar per chiedere l'annullamento della sanzione. Il Tar, però, nell'ultima udienza ha deciso di confermare la sanzione almeno nella parte che riguarda la scarsa trasparenza nel momento dell'iscrizione alla piattaforma e l'abuso nell'utilizzo dei dati personali (ovvero la pratica commerciale scorretta). Ora non resta che aspettare la pronuncia del giudice sull'ammissibilità della nostra class action: abbiamo richiesto un risarcimento di 285 euro per ogni utente e per ogni anno di iscrizione al social. Ma dopo questa decisione del Tar le nostre richieste sono ancora più fondate.
Con lo zampino di Altroconsumo
La multa era arrivata grazie alla nostra segnalazione. L'Antitrust aveva aperto infatti un procedimento nei confronti di Facebook per pratiche commerciali scorrette sulla raccolta e l'utilizzo dei dati. Secondo l'AGCM, dunque, l'utente non sarebbe avvisato del fatto che, accettando di usare il social network, cede dei dati per i quali ci sarà anche un uso commerciale. Già prima di questa sanzione, avevamo inviato una lettera di diffida proprio a Facebook perché sapere quali provvedimenti sarebbero stati presi per tutelare gli utenti e i loro dati. E, sempre a Facebook, avevamo chiesto ulteriori chiarimenti insieme alle altre organizzazioni indipendenti di consumatori europee.
Il controllo dei dati in cambio di denaro
A partire dal 2016 Facebook ha messo in piedi un vero e proprio sistema di monitoraggio autorizzato dei dati attraverso cui ha tenuto sotto controllo le attività di migliaia di ragazzi tra i 13 e i 35 anni. Stando a quanto diffuso dal sito TechCrunch, è stato sufficiente installare l'app Facebook Research per permettere al social network di avere una panoramica piuttosto ampia sulle attività degli utenti online. Attraverso l'app il sistema riusciva a tenere sotto controllo tutte le piattaforme del gruppo (Facebook, Messenger, Instagram e WhatsApp) ma non solo: monitorava anche altre attività come la cronologia degli acquisti Amazon. Abbiamo inviato una lettera a Facebook, per chiedere che venga fatta ulteriore chiarezza sulla vicenda. L'inchiesta di TechCrunch ha evidenziato che l'intento di tutta l'operazione era quello di migliorare l'offerta e studiare il comportamento degli utenti online. Un'attività che ha portato nelle tasche degli utenti circa 20 dollari al mese: segnale che per l'azienda i dati un valore lo hanno eccome. Lo stesso valore che reclamiamo con la nostra class action contro Facebook.
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Da - https://www.altroconsumo.it/hi-tech/internet-telefono/news/facebook-cambridge-analytica