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Autore Discussione: HomoSapiensSapiens Ciò che ci distingue e ciò che ci accomuna  (Letto 2331 volte)
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« inserito:: Giugno 11, 2021, 12:46:46 pm »

Gabriella Giudici

Une école où la vie s'ennuie n'enseigne que la barbarie

L’unità della specie umana
by gabriella

HomoSapiensSapiens Ciò che ci distingue e ciò che ci accomuna

Nonostante l’intensità crescente dei contatti tra le popolazioni del pianeta, la varietà che caratterizza l’umanità attuale resta assai grande. Questa varietà si manifesta a più livelli: sul piano fisico è attestata dalle differenze del colore della pelle, degli occhi e dei capelli, della statura, dei tratti somatici; su quello linguistico, la varietà umana si esprime in almeno cinquemila lingue parlate oggi nel mondo e in un numero infinitamente superiore di lingue “locali” chiamate “dialetti”; su quello culturale, infine, esiste una grande varietà di comportamenti e di idee. Una varietà che riguarda persino quanti condividono gli stessi modelli culturali.
Accanto a questa grande varietà abbiamo però elementi di forte unità. Alla metà de XVIII secolo uno scienziato francese, il conte di Buffon (1707-1788), stabilì che i gruppi umani fanno tutti parte di un’unica specie. Nella seconda metà dell’Ottocento gli antropologi dimostrarono che tutti i gruppi umani sono capaci di produrre cultu­ra, mentre nello stesso periodo i linguisti conclusero che le lingue parlate dalle diverse popolazioni del pianeta possiedono, al di là delle enormi differenze, strutture interne (grammatica, sintassi) ugualmente complesse.

L’aspetto fisico e il Dna
Quelle che sembrano essere le differen­ze più appariscenti tra i diversi soggetti umani, cioè le differenze d’aspetto, sono, in realtà, proprio quelle più superficiali. Le ossa di un individuo, come del resto il suo cranio, potranno per esempio rivelare molte cose sull’individuo in questione: sesso, età, malattie contratte in vita, tipo di nutrizione, ma non potranno mai rivelar­ci con sicurezza se quello stesso individuo fosse un nero o un bian­co o un asiatico, se i suoi capelli fossero biondi e lisci o ricci e neri, se i suoi occhi fossero a mandorla oppure no, chiari oppure scuri. L’unico tipo di analisi che possa dire oggi qualcosa di scientificamente valido sulle differenze tra i gruppi umani è quella che si fon­da sull’esame del codice genetico, e dei suoi componenti di base, i geni. I geni sono i portatori delle “informazioni” che so­no alla base dello sviluppo del nostro organismo.
Le ricerche di genetica (la scienza che studia appunto i geni) compiute alcuni anni fa nell’Università statunitense di Stanford da un gruppo di scienziati diretti dal genetista italiano Luigi Luca Cavalli-Sforza (1922), hanno confermato le teorie sull’unità della specie umana che erano già state espresse in precedenza.
Le origini dell’uomo “anatomicamente moderno”
Lascaux (Dordogna). Arte rupestre 17.000 anni fa
Lascaux, Arte rupestre (17.000 anni fa)

La prima conferma che viene dagli studi di genetica è quella per cui le differenze somatiche tra gli esseri umani, anche quelle più evidenti, sono superficiali e piuttosto recenti.
Le origini dell’uomo anatomicamente moderno, Homo sapiens sapiens (chiamato a volte, dal nome della località francese in cui furono ritrovati i suoi resti, Cro-Magnon), non risalgono a un’epoca anteriore ai 50.000-100.000 anni fa. Fu in quell’arco di tem­po che la nostra specie assunse caratteristiche simili a quelle attuali: statura alta, cervel­lo voluminoso, sviluppo delle abilità manuali. Tuttavia, la conquista decisiva di questo nostro progenitore fu senza dubbio il linguaggio. All’uomo di Cro-Magnon sono ri­conducibili anche le prime testimonianze artistiche, prova ulteriore del suo stadio evo­luto, come quelle ritrovate nelle grotte di Altamira, in Spagna e a Lascaux, in Francia.
I nostri diretti antenati, originari dell’Africa orientale, dapprima si diffusero in tutto il coMigrazioni homo_sapiensntinente africano, poi si spinsero nel Vicino Oriente, da dove popolarono l’Asia e l’Europa. Dall’Asia sudorientale raggiunsero la Nuova Guinea e l’Australia (dunque imparando anche a navigare), mentre la glaciazione di 20.000 anni fa facilitò il passag­gio, attraverso lo stretto di Bering, dalla Siberia all’Alaska e da lì alle Americhe.
 
Distanza e vicinanza genetica
Un’altra conferma che proviene dalle ricerche dei ge­netisti è che sul piano genetico due individui ritenuti normalmente appartenenti allo stesso gruppo (per esempio, due “bianchi”, due “gialli” ecc.) presentano differenze ge­netiche statisticamente sei-sette volte superiori a quelle rilevabili tra due individui scel­ti a caso tra tutte le popolazioni del pianeta.
Per fare un esempio: come mai, sul piano genetico, un abitante di Roma e uno di Torino possono essere tra loro “più lontani” di quanto non lo siano da un abitante della Nuova Guinea? La ragione è che vi sono alcuni elementi del DNA che sono più antichi di altri. E che questi elementi si sono sparpagliati in seguito alle migrazioni più antiche. Così, un abitante di Roma o di Torino può avere ereditato dai nostri predecessori alcuni elementi del DNA che sono gli stessi di un abitante del Tibet. Mentre un altro abitante di Roma o di Torino potrebbe avere nel suo DNA gli stessi elementi presenti nel DNA di qualche Inuit della Groenlandia. C’è sempre, insomma, la possibilità che ciascuno di voi possa assomigliare, sul piano genetico e non per l’aspetto, più a un indigeno della Nuova Guinea che al suo compa­gno o compagna di banco.
 
Le razze umane non esistono
Queste scoperte confermano che non è possibile parlare di “razze umane”. Gli studiosi hanno d’altra parte già dimostrato da tempo che non si può, nel caso degli esseri umani, parlare di razze come nel caso dei cani e dei cavalli. Infatti, nel caso dell’uomo non esiste alcun criterio che consenta di individuare delle razze sulla base di criteri scientifici. La ragione di ciò è molto semplice. Quando si parla di razze canine, bovine, equine ecc. si fa riferimento a “tipi” frutto di una selezione operata dagli esseri umani su certi animali per ottenerne determinati vantaggi: cani più robusti o più affettuosi di altri; buoi più forti o produttori di mag­giori quantità di latte; cavalli più agili o più eleganti.
Cani, cavalli, buoi, pecore, maiali, polli sono tutte specie animali da cui gli esseri umani, attraverso incroci, hanno ricavato “razze” più utili agli uomini stessi. Ma nella specie umana tutto questo non è avvenuto, sebbene l’idea di creare una razza superiore facendo accoppiare individui con determinate caratteristiche (alti, biondi, belli e con gli occhi azzurri) sia stata, tra il 1930 e il 1945, il sogno di alcuni scienziati nazisti [eugenetica].

Quante sono le razze? I tentativi di classificare l’umanità in razze hanno d’altra par­te visto fissare il loro numero fra un estremo di tre e un estremo di sessanta. L’enorme differenza fra i due estremi, che può destare stupore, dipende dal fatto che i criteri utilizzati per tali classificazioni, prevalentemente basati sull’aspetto fisico, erano scienti­ficamente infondati.
In una classificazione “minima”, per esempio, gli europei sono assimilati agli asiatici e contrapposti agii “africani”, da un lato, e agli “australiani”, dall’altro. Come se europei, indiani, cinesi, da una parte, fossero una razza distinta rispetto a tutti i neri della Terra e agli Aborigeni australiani, dall’altra. In una classificazione massima, invece, gli italiani potrebbero essere considerati una “razza” a sé stante diversa dai francesi; i siciliani come appartenenti a una razza diversa dai toscani; i bolognesi come una razza diversa dai modenesi.

La razza come costruzione culturale
Nel caso degli esseri umani, dunque, la “razza” è solo una costruzione culturale. Ciò è evidente se consideriamo, per esempio, gli Stati Uniti e il Brasile di oggi.
Negli Stati Uniti i gruppi razziali sono ufficialmente riconosciuti per distinguere i bianchi dai neri, i neri dai nativi (i nativi sono i discendenti dei popoli che abitavano lì prima dell’arrivo degli europei), i nativi dagli asiatici ecc. In questo Paese un individuo non è “classificato” però sulla base del suo aspetto ma in relazione ai suoi ascendenti (genitori, nonni ecc.), anche se è libero di dichiararsi di ascendenza mista. Così una persona può essere “bianca” oppure “nera” a seconda che i suoi genitori, nonni, bisnonni ecc. siano considerati a loro volta “bianchi”, “neri”, “asiatici” ecc.
In Brasile, invece, vale il contrario; un individuo appartiene a un tipo sulla base del suo aspetto. Se per esempio una persona è bianca d’aspetto, è branca (“bianca”), indipendentemente dal fatto che i suoi ascendenti fossero neri, bianchi o morenos, cioè bruni di carnagione. E invece preto, “nero”, per le stesse ragioni. Così la stessa persona che negli Stati Uniti è “nera” può essere “bianca” in Brasile e viceversa. Quale migliore prova di questa che la nozione di razza è una nozione “culturale” e non un dato naturale?


https://gabriellagiudici.it/lunita-della-specie-umana/
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