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Autore Discussione: EUGENIO SCALFARI.  (Letto 319062 volte)
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« Risposta #690 inserito:: Febbraio 12, 2018, 06:07:36 pm »

Eugenio Scalfari
Vetro soffiato

Perché Berlusconi somiglia a Mussolini
L'ex Cavaliere non è mai stato fascista.

Ma come il Duce si è sempre rivelato abilissimo a cambiare posizioni politiche

Silvio Berlusconi non è mai stato fascista, e non ha mai pensato ad ispirare la vita del popolo a ideologie come quella della antica Roma, della capitale imperiale, del Fascio Littorio e a conquistare un impero. Il fascismo è venuto da questa mitologia, era gestito da un Duce e attribuì al Re e quindi a se stesso il titolo di Imperatore.

Quindi niente fascismo per Berlusconi il quale tuttavia somiglia molto a Benito Mussolini, al punto d’essere una sorta di controfigura. Potrà sembrare assurdo sostenere una somiglianza che è quasi un’identificazione, ma questa è la realtà: un secolo dopo Mussolini è di nuovo con noi.

In che cosa consiste questa così forte somiglianza? Direi nell’estrema flessibilità politica del loro comportamento, con una sola anche se importante differenza: Mussolini cambiò musica una volta diventato Duce e distrusse la democrazia. Berlusconi a questo non ha mai aspirato e forse perché sono passati cent’anni da allora, il mondo ha ormai una società globale, la tecnologia è profondamente cambiata. Vale comunque raccontare gli aspetti di fondo di quelle due vite, entrambe ancorate dal desiderio di conquista del potere avendo come strumenti la flessibilità e il fascino che ne deriva in un popolo come il nostro, che è assai poco interessato alla politica.

Mussolini iniziò la sua vita politica sotto l’insegna del socialista rivoluzionario e direttore del giornale del partito, l’Avanti!. All’epoca della guerra di Libia che faceva parte dell’impero turco, l’Avanti! si schierò contro quella guerra incitando con articoli di Mussolini la classe operaia a bloccare i binari ferroviari e le stazioni dove transitavano i treni militari diretti a Napoli per imbarcarsi verso Tripoli. I socialisti non volevano la guerra e cercavano di impedirla in tutti i modi. Se c’era da combattere bisognava lottare in casa contro il capitalismo dominante.

Passarono appena tre anni da allora e scoppiò la prima guerra mondiale. Mussolini cambiò profondamente: divenne favorevole all’intervento italiano, fu espulso dal Psi e fondò un proprio giornale con il titolo Il Popolo d’Italia.

A guerra scoppiata, l’Italia era rimasta neutrale. L’interventismo di Mussolini aveva come ispiratore Gabriele D’Annunzio che godeva di ben altro seguito e autorevolezza culturale e politica. Fu lui in quel periodo ad essere chiamato il “vate” dell’intervento a fianco della Francia e dell’Inghilterra e con la Russia, contro l’Austria e la Germania.

Nel 1915 l’intervento avvenne, era scoppiata anche per noi la guerra mondiale. Finì nel 1918. L’anno successivo Mussolini fondò un movimento politico i “Fasci di combattimento”. Non aveva un seguito di massa, ma il suo era un piccolo movimento con qualche presenza soprattutto a Milano e in Lombardia e alcuni nuclei anche in Veneto, in Toscana e in Puglia. Il movimento mussoliniano diventò rapidamente un partito in gran parte sostenuto dagli ex combattenti, molti dei quali tornarono alle loro modeste occupazioni e orientati a favore del partito fascista che era in buona parte mobilitato a loro favore affinché lo Stato e la classe sociale ricca li sostenesse migliorando il più possibile la loro condizione.

Il partito fascista si batteva dunque per un proletariato ex combattente nella guerra appena finita ma anche con una pronunciata venatura di nazionalismo. Il programma del fascismo inizialmente era stato quello di abolire la monarchia in favore della repubblica, ma il partito nazionalista, che pure esisteva, si orientò verso una fusione con i fascisti ponendo tuttavia come condizione che essi rinunciassero all’ideale repubblicano e aderissero invece alla monarchia cosa che avvenne e culminò nel primo congresso del Partito fascista che si svolse a Napoli nel 1921.

Un anno dopo quel congresso, esattamente il 28 ottobre del 1922, ci fu la marcia su Roma dei fascisti provenienti da tutta Italia. Il re, Vittorio Emanuele III, si rese conto della loro forza e assegnò a Mussolini il compito di fare il governo. Naturalmente un governo democratico poiché i deputati fascisti rappresentavano soltanto il 30 per cento del Parlamento ma l’opinione pubblica era largamente con loro.

Fu un governo democratico con forti tinte autoritarie. C’era comunque una rappresentanza consistente del Partito popolare mentre il Senato di nomina regia era in larga misura antifascista. Così quel governo andò avanti a direzione mussoliniana fino al 1924, quando il leader socialista Matteotti fu ucciso da un gruppo di fascisti. A quel punto Mussolini aveva due strade: o dimettersi o rilanciare il governo trasformandolo da semidemocratico in dittatoriale. Scelse questa seconda strada e con le “leggi fascistissime” nel 1925 creò il regime. Da allora nasce il Duce e l’ideologia della Roma antica che sarà l’ancora culturale del fascismo.

Berlusconi non ha nessuna velleità di imitare il fascismo imperiale. La sua somiglianza con Mussolini riguarda il primo periodo del fascista, quello durante il quale Mussolini cambiò veste, linea, alleanze, cultura politica in continuazione e cioè dal 1911 fino al 1921. Da questo punto di vista tra quei due personaggi esiste, come abbiamo già detto, una pronunciata somiglianza.

Berlusconi fin da ragazzo si interessò di affari. Maestri e professori con modesti stipendi facevano un certo commercio attraverso ragazzi svegli tra i quali il più sveglio di tutti era per l’appunto Silvio. Quando c’era un compito in classe di matematica o anche di storia quegli insegnanti davano diverse versioni ma tutte degne di buoni voti a qualche ragazzo abbastanza intelligente e interessato, il quale vendeva quei compiti in classe trattenendo per sé una piccola ma interessante percentuale.

Man mano che il tempo passava l’affarismo di Berlusconi diventava per lui più conveniente. Fece traffici con banche private di dubbia moralità e ne ricavò risultati notevoli. Poi dopo la nascita delle televisioni locali (esisteva ancora il monopolio nazionale della Rai) si interessò alla pubblicità televisiva e decise di acquistare alcune televisioni locali. A Milano ne comprò due e poi una terza dalla Mondadori. A quel punto collegò tra loro le locali coprendo attraverso di esse una buona parte dell’Italia settentrionale e centrale. Aveva nel frattempo sviluppato i suoi interessi nell’edilizia e costruì la cosiddetta Milano 2 dove alloggiavano una parte dei tecnici televisivi alle sue dipendenze ottenendo le necessarie concessioni edilizie dal comune interessato.

Il possesso di un network non più locale ma seminazionale attirò naturalmente l’attenzione degli uomini politici alla guida dei partiti. Berlusconi aveva molti interessi a esserne amico usando a tal fine i poteri televisivi con i quali appoggiò soprattutto la Democrazia cristiana e il socialismo più moderato. Questa sua politica gli consentì di ottenere lavori rilevanti e gli ispirò infine il desiderio di essere anche lui direttamente il capo d’un partito. Poi arrivò la tempesta di Tangentopoli che distrusse totalmente la Democrazia cristiana. Berlusconi fondò Forza Italia mettendo alla guida della sua costruzione alcuni dei dirigenti d’una sua agenzia pubblicitaria, i quali tuttavia non avevano alcuna competenza politica ma soltanto organizzativa. La politica la faceva lui.

Per Berlusconi Tangentopoli fu una manna perché parte dei dirigenti della Dc e gran parte degli elettori democristiani affluirono al partito berlusconiano di Forza Italia. A questo punto incombevano le elezioni, era il 1994 quando Berlusconi si presentò per il battesimo elettorale. Le sue televisioni avevano appoggiato senza alcuna remora i giudici di Tangentopoli, e le elezioni andarono molto bene anche perché aveva contratto delle strane alleanze: da un lato la Lega Nord di Bossi e dall’altro il neofascismo di Fini. Bossi e Fini tra loro non si parlavano né si salutavano ma tutti e due venivano consultati da Berlusconi. Naturalmente le consultazioni erano puramente teoriche perché era solo Silvio che decideva il da farsi. Nel frattempo, ad elezioni avvenute, Berlusconi fu incaricato di formare il governo.

Questa situazione durò poco. La Lega decise di uscire dall’alleanza e Berlusconi dovette dimettersi da presidente del Consiglio. Il presidente della Repubblica, che lui sperava avrebbe respinto le dimissioni, viceversa le accettò e chiese però a lui di indicare un successore di suo gradimento per rendere meno traumatica quella crisi. Berlusconi indicò il nome di Lamberto Dini, che era stato il direttore generale della Banca d’Italia e nel suo governo il ministro del Tesoro. Dini governò per un anno e mezzo, poi nacque il primo governo Prodi che è stato probabilmente uno dei governi migliori dell’Italia degli anni Novanta.

Forza Italia è rimasto comunque un partito importante nei vent’anni che cominciano nel ’93 ed ora siamo nel 2018 Berlusconi ha governato più volte, altre volte ha perso, restando sempre un’alternativa e concentrando sul suo nome ostilità e simpatia. Adesso ha un’alleanza con Salvini e insieme all’alleanza esiste tra i due una rivalità sempre più forte e due politiche sempre più diverse tra loro ma utili ad entrambi per ottenere una forza elettorale che attualmente nei sondaggi è la più favorita delle altre: una destra unita e divisa al tempo stesso. In passato Berlusconi ha anche appoggiato la legge elettorale proposta da Renzi e sarebbe probabilmente pronto a un’alleanza o quantomeno a una favorevole amicizia politica col medesimo Renzi, il quale finora ha negato in modo totale questa eventualità.

Da questo racconto avrete ben capito che ho sostenuto che Berlusconi somiglia molto al Mussolini quale fu dal 1911 al 1925. È una curiosità storica credo di notevole importanza per il futuro.

12 febbraio 2018© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2018/02/08/news/perche-berlusconi-somiglia-a-mussolini-1.318124?ref=RHRR-BE
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« Risposta #691 inserito:: Agosto 02, 2020, 05:34:16 pm »

Editoriale
Papa Francesco e la società moderna

01 AGOSTO 2020

Ho parlato con Bergoglio del cambiamento climatico: "La Chiesa deve occuparsene ed educare al rispetto dell'ambiente"

DI EUGENIO SCALFARI

Jorge Mario Bergoglio, che è il nostro Papa dal 13 marzo 2013 e rappresenta una colonna portante non soltanto della Chiesa cattolica, di quella cristiana, di tutte le chiese e le religioni del mondo, ha scoperto in questi ultimi mesi il problema del clima terrestre. Il Sole – la nostra stella portante – sta invecchiando. La vecchiaia – ci dicono gli studiosi di questi problemi – è abbastanza avanzata. Naturalmente ci vorranno millenni per vedere un sole ombroso e non più luminoso come ancora è nonostante il suo invecchiamento sia già da qualche tempo iniziato. Ma il clima ha già subìto notevoli mutamenti. Questo aspetto della situazione ha largamente influenzato il nostro papa Francesco e non riguarda ovviamente il meteo che ci invita a uscire con l’ombrello o con un cappello di paglia che ci riparino dal clima d’un giorno qualunque: il mutamento ha ben altro valore, incide sul futuro della nostra stella e dei pianeti che ruotano attorno ad essa a cominciare dalla Terra, dalla Luna e dalle stelle che ci circondano e illuminano il nostro cielo.

Di questi problemi non avevo mai parlato finora con papa Francesco. Siamo veramente amici e lo diventammo fin dai primi mesi del suo pontificato. Avevo scritto sull’Espresso, appena la nomina era avvenuta, che era la prima volta di un pontificato d’un Papa latino-americano. Lui mi rispose con una lettera alla quale rimandava ma prevedeva un nostro incontro in uno dei prossimi mesi. Avvenne nel settembre di quello stesso anno e si concluse con l’apertura di una amicizia che per mia fortuna dura tuttora: ci siamo incontrati giovedì scorso e siamo stati per quasi un’ora a scambiarci notizie e valutazioni su quanto sta avvenendo attualmente. La crisi climatica è il tema che in questo momento occupa il mondo intero nonostante le malattie che incombono e che del resto hanno qualche rapporto anche col clima.

Non vedevo sua santità da oltre un anno sebbene ci scambiassimo numerose lettere. Bergoglio ha ottantatré anni, io ne ho novantasei e sto viaggiando nei novantasette. Ma appunto giovedì ci siamo di nuovo incontrati a Santa Marta in Vaticano. Non potevamo farne a meno e quindi ci siamo di nuovo abbracciati fisicamente e mentalmente.

Il tema era appunto quello del clima, ma detto in questo modo sembrerebbe una sciocchezza. Non è questo naturalmente. Ricordo ancora che papa Francesco quando fu eletto ebbe immediatamente il sentimento del suo compito religioso: la società europea e mondiale era profondamente cambiata, la modernità aveva capovolto la cultura europea, americana, orientale e quindi la Chiesa doveva anch’essa adeguarsi a quei mutamenti per poter continuare con efficacia la sua opera. Papa Francesco mi informò di questa necessità che il Concilio Vaticano II aveva indicato e che non era però ancora stato espletato. Il nuovo Pontefice avrebbe quindi dovuto occuparsi di questo e me lo disse e in qualche modo me lo chiese in quei primissimi incontri.

Decidemmo insieme dove cominciava per noi la modernità: l’illuminismo e tutto quello che ne venne nei secoli successivi. Questi furono i contenuti principali dei nostri argomenti che sua santità affrontò con molto interesse: Papi che hanno avuto questa funzione io non ne conosco: la Chiesa naturalmente si è aggiornata ma quasi sempre questo è avvenuto come risultato della società laica e prima ancora di quella medioevale da Gesù Cristo in poi. Gli Dei di un tempo erano di tutt’altra manica, la Chiesa ha duemila anni di esistenza e i mutamenti nel suo interno sono avvenuti tre o quattro volte, non di più.

Quella di Francesco è una novità cui ora se ne sovrappone un’altra: il Sole se ne va ma la profonda modifica della nostra stella e del cielo che ci sovrasta è decisiva e di questo si parla: l’impatto e i cambiamenti climatici si ripercuotono su quanti vivono poveramente in ogni angolo del globo.
Il nostro dovere a usare responsabilmente i beni della terra implica il riconoscimento e il rispetto di ogni persona e di tutte le creature viventi. Siamo convinti che non ci possa essere soluzione genuina e duratura alla sfida della crisi ecologica e dei cambiamenti climatici senza una risposta concertata e collettiva, senza una responsabilità condivisa e in grado di render conto di quanto operato. Questo mi ha detto Francesco e questo è il tema che in questa fase gli preme più di ogni altro. «Ricordiamo – mi ha detto il Papa – quei luoghi del paese colmi di biodiversità che sono l’Amazzonia e il bacino fluviale del Congo con le grandi falde acquifere. L’importanza di luoghi come questi per l’insieme del Pianeta e per il futuro dell’umanità sono di grande importanza. In realtà stanno cambiando anche gli oceani e i fiumi. I tecnici se ne occupano ma la politica è presa da altri problemi. Compete alla Chiesa gran parte di questo lavoro. Tutte le comunità cristiane hanno un ruolo importante da compiere in questa educazione».

Francesco ha scritto un libro su questi problemi e l’ha concluso con questa frase: la Casa Comune di tutti noi viene saccheggiata, devastata, umiliata impunemente. La codardia nel difenderla è un peccato grave. Abbiate molta cura della Madre Terra. Questo è il tema e su questo l’ho ancora una volta abbracciato e promesso che avrei fatto per quanto mi riguardava il possibile per aiutarlo nel suo impegno.

***
Conte e il socialismo liberale

La politica italiana si occupa di questi problemi? A me non pare, tuttalpiù se ne occupa Conte. Salvini, Meloni, Renzi, i Cinque Stelle: alcuni di questi gruppi sono addirittura contro il tema del sole e della terra; altri se ne infischiano. Fino a qualche tempo fa mi sembrava che Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio, se ne occupasse moltissimo e mi sembrava questo uno dei motivi per appoggiarlo. Libero e socialista: questo era il compito che sembrava essersi assunto, un centrosinistra che poteva oscillare tra quei due valori abbracciandoli entrambi o favorendone almeno uno senza dimenticarsi dell’altro.

In queste ultime settimane tuttavia Conte ha perso molto della sua efficacia o almeno così sembra. Usa molto poco le personalità importanti del nostro quadro politico che potrebbero sostenerlo con notevole efficacia: Conte va avanti a tentoni; si sperava meglio e di più. Una personalità che sta tornando in linea è quella di Paolo Gentiloni, se Conte con Gentiloni, Fassino, Franceschini, Zingaretti, creasse un drappello d’alleanza e consensi credo che il Paese ne beneficerebbe. La Chiesa opera al meglio della modernità religiosa. La modernità laica dovrebbe cercare di eguagliarla. Ci riuscirà?

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EditorialeDiritti Civili

Il coraggio del Papa e la società moderna

22 OTTOBRE 2020

Nei nostri incontri è nata un’amicizia e adesso credo che se la Chiesa diventerà come lui la vuole cambierà la storia

DI EUGENIO SCALFARI

Ho incontrato papa Francesco molte volte: lo conobbi poiché il mio giornale, Repubblica, mi aveva incaricato di incontrarlo ed io ci riuscii con relativa facilità: anche il Papa aveva voglia di parlare con persone interessate a conoscere il Papa e quindi fu abbastanza semplice. Sua Santità mi invitò al palazzo di Santa Marta. Io ci arrivai senza difficoltà e fui rapidamente introdotto in una sala al piano terreno di quel palazzo e lì il nostro rapporto iniziò con molta amicizia fin dal primo momento. Io ne fui molto stupito, mentre papa Francesco ne era davvero interessato; e così cominciò. Sono perfettamente in grado di fare il resoconto di quello che ci siamo detti in decine di incontri a Santa Marta.

È da quegli incontri che ho tratto un libro che ne racconta i contenuti ed anche il rapporto personale che si instaurò tra noi molto velocemente. L'insieme di questi incontri, discorsi tra noi, di carattere storico, religioso, giuridico e personale soprattutto. È cominciato nelle prime settimane dall'elezione di papa Francesco ed è proseguito dal 2013 fino ad oggi: telefonate, incontri in Vaticano, lettere scambievoli ed anche e soprattutto la compilazione da parte mia delle conversazioni che avevamo e che io pubblicavo due giorni dopo sul nostro giornale che io inviavo al Papa non appena pubblicate. È nata in questo modo un'amicizia che addirittura culminò quando fui portato in clinica per un malessere che per fortuna passò presto e il Papa chiese notizie alla caposala della clinica dove ero. Lei mi portò il telefono della sala d'aspetto e nella camera in cui ero ricoverato. Capite bene, cari lettori, che un rapporto di questo tipo non credo sia avvenuto in altre occasioni tra un capo della Chiesa e un giornalista che non è mai stato neppure cattolico.
Avendo io pubblicato un anno fa, aggiornandolo poi fino allo scorso settembre, il mio rapporto è addirittura ormai parentale con questa aggiunta: la pensiamo in modo profondamente diverso. Io non sono credente e lui è il Pontefice da ormai otto anni. E questo è quanto. Stiamo attraversando una fase molto complessa della vita collettiva del mondo intero e quindi essere amico del Papa da parte di uno come me si può definire una situazione storica. Per me vale veramente molto, per lui abbastanza, per i miei lettori credo e spero moltissimo. Grazie.

"In un periodo in cui frequentavo il liceo di Sanremo (la mia famiglia viveva da qualche tempo in quella città) studiando filosofia mi soffermai con notevole interesse su Descartes che aveva lanciato un motto la cui celebrità diventò europea; erano tre parole: penso dunque sono. Santità qual è il suo pensiero su un filosofo come quello?"
"È certamente interessante ma non è completo. L'Io diventò in questo modo il centro dell'esistenza umana, la sede autonoma del pensiero. Descartes tuttavia non ha mai rinnegato la fede del Dio trascendente". Rispose il papa. "Da quanto ho capito lei è un non credente ma non un anticlericale. Sono due cose molto diverse".
"È vero, non sono anticlericale ma lo divento quando incontro un clericale".
Lui sorride e mi dice: "Capita anche a me. Quando ho di fronte un clericale, divento improvvisamente anticlericale. Il clericalismo non dovrebbe aver niente a vedere con il Cristianesimo; San Paolo che parlò ai gentili, ai pagani, ai credenti in altre religioni, fu il primo a insegnarcelo".
A questo punto chiesi in uno dei colloqui con Sua Santità a quale dei Santi lui si sentiva più vicino e su quali si era formata la sua esperienza religiosa. La risposta fu questa: "San Paolo è quello che mise i cardini della nostra religione. Non si può essere cristiani consapevoli senza San Paolo. Tradusse la predicazione di Cristo in una struttura dottrinaria che resiste da duemila anni. E poi Agostino, Benedetto e Tommaso e Ignazio. E naturalmente Francesco. Debbo spiegarle il perché?".

"Lei ha una vocazione mistica?".
"A lei cosa sembra?".
"A me sembra di no".
"Probabilmente ha ragione. Adoro i mistici, anche Francesco per molti aspetti della sua vita lo fu, ma io non credo di avere quella vocazione. Poi bisogna intendersi sul significato profondo di quella parola, il mistico riesce a spogliarsi del fare, dei fatti, degli obiettivi e perfino della pastoralità missionaria e s'innalza fino a raggiungere la comunione con le beatitudini. Brevi momenti che però riempiono l'intera vita".
"A lei è mai capitato?".
"Raramente. Per esempio quando il conclave mi elesse Papa. Prima dell'accettazione chiesi di potermi ritirare per qualche minuto nella stanza accanto a quella con il balcone sulla piazza. La mia testa era completamente vuota e una grande ansia mi aveva invaso. Per farla passare e rilassarmi chiusi gli occhi e scomparve ogni pensiero, anche quello di rifiutarmi di accettare la carica come del resto la procedura consente. Chiusi gli occhi e non ebbi più alcuna ansia o emotività. Ad un certo punto una grande luce mi invase, durò un attimo, ma a me sembrò lunghissimo. Poi la luce si dissipò, io mi alzai di scatto e mi diressi nella stanza dove mi attendevano i cardinali e il tavolo su cui era l'atto di accettazione. Lo firmai, il cardinale camerlengo lo controfirmò e poi sul balcone ci fu l'Habemus Papam".

Ci vedemmo ancora varie volte nella stanza di Santa Marta e in una di queste occasioni si riaprì il discorso su Sant'Agostino. Cambiò molte volte opinione, anche politica su quanto riguardava gli ebrei e altre minoranze politiche e spirituali ma ad un certo punto Agostino scelse un cristianesimo molto intenso, fu nominato vescovo di Ippona e pensò profondamente al tema della Grazia. A quell'epoca ancora si trattava di un tema non chiaro. Chi ti dava la Grazia e che cosa significava essere in possesso di quel sentimento? La Grazia la ottiene un credente che smarrisce la sua esistenza e si identifica per brevissimo tempo nel Dio creatore. Agostino fu intensamente colpito dalla Grazia e ne indicò anche le posizioni: Dio poteva riconoscerti in alcuni momenti estremamente brevi la Grazia, oppure Dio dava la Grazia ad alcuni cristiani e non ad altri; nel corso della loro esistenza molti che avevano ricevuto la Grazia l'avrebbero perduta per comportamenti non adatti e molti altri che non l'avevano avuta riuscivano ad acquistarla e conservarla per opposte ragioni. C'erano infine altre posizioni pensate da Agostino che davano al popolo cristiano e a ciascuno dei suoi membri una grazia che mai li avrebbe abbandonati. L'opposto di questa situazione sarebbe stato il fatto che il dio creatore ad alcune persone non concedeva assolutamente la grazia in nessun momento della vita. Con le conseguenze che ne risultavano.

Questo fu Agostino e non a caso Sua Santità Francesco ha scelto Agostino tra i santi più importanti e soprattutto gli ha conferito il ruolo che la Grazia si conquista: il Bene o il Male possono cambiare durante la propria esistenza e le conseguenze si avranno sulla Grazia in positivo. Così pure possono cambiare al contrario e la grazia ottenuta scompare definitivamente. Queste non è Agostino ma è Francesco. Io gli ho chiesto il suo atteggiamento su questo problema agostiniano e la risposta è stata: "È Dio che mi giudica; io ho la mia responsabilità".

Il Papa quando sono andato a trovarlo e poi dopo un'ora e anche più me ne son tornato via, mi ha sempre accompagnato all'uscita di Santa Marta. Ci vedremo presto spero, ho detto io salutandolo. "Certo - mi ha risposto lui, che mi ha sempre accompagnato al portone di uscita - dovremo anche parlare del ruolo delle donne nella Chiesa. Le ricordo che la Chiesa è femminile".
E parleremo, se lei vuole, anche di Pascal, mi piacerebbe sapere come la pensa su quella grande anima.
"Porti a tutti i suoi familiari la mia benedizione e chieda che preghino per me. Lei mi pensi, mi pensi spesso". Ci stringiamo la mano e lui resta fermo mentre salgo in auto. Io lo saluto dal finestrino mentre lui mi saluta con le due dita in segno di benedizione. Se la Chiesa diventerà come lui la vuole sarà cambiata un'epoca.

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« Risposta #698 inserito:: Gennaio 18, 2021, 07:23:34 pm »

Scalfari, dialogo sul riformismo | Rep

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