Raccontarsela contro raccontarsela
19 Agosto 2020
Una breve conversazione su Twitter con Emanuele Felice ha fatto affiorare – nei commenti intorno – due letture prevalenti delle attuali difficoltà del Partito Democratico che, se da una parte sono illuminanti del livello semplificatorio e curvaiolo delle analisi della realtà in circolazione, dall’altra mi sembrano (a me, eh) bisognose di un appunto per quanto breve.
Le due letture sono queste.
È colpa di Renzi che ha affossato il partito.
È colpa dei nemici di Renzi che hanno affossato Renzi.
Ed ecco, perdonatemi la schiettezza – ma parlo davvero con sentimenti di complicità e con obiettivi comuni – ma credo vi renderete conto dell’infantilismo consolatorio di queste opinioni.
Se invece continuassero a sembrare – ad alcuni di voi – complete e convincenti, mi avventurerò in un paio di argomentazioni: brevi, ripeto, non la facciamo lunga per rispetto delle intelligenze di tutti.
Il PD stava nei guai grossi prima di Renzi. Alle elezioni del 2013 prese il 25% contro il 33% delle precedenti politiche e concedendo al prima inesistente M5S di raggiungere il 25%. Dopo quelle elezioni la segreteria del PD fu umiliata pubblicamente e notoriamente dal manipolo di scappati di casa del M5S, non riuscì a formare un governo guidato dal suo segretario, e fu costretta a un’alleanza con il centrodestra e Berlusconi pur di costruire un governo davanti al popcorn festante del M5S. Alle successive primarie del PD – indette appena un anno dopo quelle che aveva perso da candidato premier – i militanti del partito scelsero di affidare la segreteria a Matteo Renzi.
Qualunque cosa abbia fatto dopo Renzi (se chiedete a me, perché lo so che chiederete, rispondo sotto), non ha di certo peggiorato i risultati e le prospettive del Partito Democratico in quel momento (la sua stessa elezione a segretario un anno dopo la sua sconfitta precedente è figlia di un fallimento spettacolare). Anzi, come sapete, qualunque cosa abbia fatto Renzi ha portato lo stesso Renzi e il PD al governo, a un risultato alle Europee senza precedenti, e a una serie di riforme che – le si apprezzi o critichi – sono il più ricco risultato del riformismo progressista degli scorsi decenni.
E veniamo alla lettura opposta. Renzi era leader del PD con un’estesissima legittimazione e un estesissimo consenso, ed era Presidente del Consiglio. Qualunque cosa sia capitata a lui e al suo partito, è colpa sua, a meno di raccontarsela. Perché se si sostiene che il suo fallimento sia imputabile alla truffaldina opposizione interna, si rinuncia all’idea che quel partito si possa governare mai: a nessuno capiteranno più il potere e l’opportunità e la forza che ha avuto Renzi in quel momento. È un suo merito averli ottenuti, è una sua colpa averli dissipati, e avere fatto fare – dopo un passo avanti – tre passi indietro al riformismo e al rinnovamento della politica progressista italiana. Passeranno anni e anni, ora: come si sta vedendo. Sul dettaglio dei suoi sbagli (trascurata attenzione al partito “sul territorio”, pessima scelta di yesmen intorno a sé e allontanamento di tutte le figure capaci a disposizione, arrogante ingenuità con le opposizioni interne, inversione di comunicazione verso i potenziali sostenitori con il passaggio dall’inclusione al grillorenzismo e a “gufi!”, adeguamento alla politica traffichina fin dal suo insediamento al governo) ho scritto altre volte, ma starei alla larga dall’ennesima capricciosa discussione tra odiatori di Renzi e adoratori di Renzi.
Il suo fallimento è colpa sua, e l’unica cosa che suggerisce di non infierire oltre è l’osservazione di quanto la stia pagando per primo nel frustrante e insignificante cul-de-sac in cui si è cacciato (però anche noi, nel nostro piccolo, la stiamo pagando).
Quello che è oggi la leadership del PD e la sua anacronistica pigrizia sono una sorta di prosecuzione di quello che erano sette anni fa: come le avevamo lasciate ce le siamo ritrovate. Passò un treno di ambizioni nuove, e deragliò, tutto da solo.
La differenza è che allora il M5S prese a sputi il PD in streaming mentre adesso ha deciso di accoglierlo come amico, nella sfigata sventura dei simili destini. Ma questo è un altro paio di maniche e non voglio allargare il discorso: le ragioni di chi usa come argomento il rinvio della vittoria delle destre esistono, per quanto non le condivida e pensi che queste ragioni – turarsi il naso, l’uovo oggi e mai la gallina domani – abbiano portato alla sterile stasi di pensiero e progetto attuale dentro quel partito.
Quello che volevo dire è solo di non raccontarsela, nessuno: chi ha il potere ha la responsabilità di cosa ne fa e dei risultati che ottiene. Chiunque sia, sette anni fa, quattro anni fa o oggi.
Non è colpa di chi c’era prima.Da -
https://www.wittgenstein.it/2020/08/19/raccontarsela-contro-raccontarsela/19 Agosto 2020
Una breve conversazione su Twitter con Emanuele Felice ha fatto affiorare – nei commenti intorno – due letture prevalenti delle attuali difficoltà del Partito Democratico che, se da una parte sono illuminanti del livello semplificatorio e curvaiolo delle analisi della realtà in circolazione, dall’altra mi sembrano (a me, eh) bisognose di un appunto per quanto breve.
Le due letture sono queste.
È colpa di Renzi che ha affossato il partito.
È colpa dei nemici di Renzi che hanno affossato Renzi.
Ed ecco, perdonatemi la schiettezza – ma parlo davvero con sentimenti di complicità e con obiettivi comuni – ma credo vi renderete conto dell’infantilismo consolatorio di queste opinioni.
Se invece continuassero a sembrare – ad alcuni di voi – complete e convincenti, mi avventurerò in un paio di argomentazioni: brevi, ripeto, non la facciamo lunga per rispetto delle intelligenze di tutti.
Il PD stava nei guai grossi prima di Renzi. Alle elezioni del 2013 prese il 25% contro il 33% delle precedenti politiche e concedendo al prima inesistente M5S di raggiungere il 25%. Dopo quelle elezioni la segreteria del PD fu umiliata pubblicamente e notoriamente dal manipolo di scappati di casa del M5S, non riuscì a formare un governo guidato dal suo segretario, e fu costretta a un’alleanza con il centrodestra e Berlusconi pur di costruire un governo davanti al popcorn festante del M5S. Alle successive primarie del PD – indette appena un anno dopo quelle che aveva perso da candidato premier – i militanti del partito scelsero di affidare la segreteria a Matteo Renzi.
Qualunque cosa abbia fatto dopo Renzi (se chiedete a me, perché lo so che chiederete, rispondo sotto), non ha di certo peggiorato i risultati e le prospettive del Partito Democratico in quel momento (la sua stessa elezione a segretario un anno dopo la sua sconfitta precedente è figlia di un fallimento spettacolare). Anzi, come sapete, qualunque cosa abbia fatto Renzi ha portato lo stesso Renzi e il PD al governo, a un risultato alle Europee senza precedenti, e a una serie di riforme che – le si apprezzi o critichi – sono il più ricco risultato del riformismo progressista degli scorsi decenni.
E veniamo alla lettura opposta. Renzi era leader del PD con un’estesissima legittimazione e un estesissimo consenso, ed era Presidente del Consiglio. Qualunque cosa sia capitata a lui e al suo partito, è colpa sua, a meno di raccontarsela. Perché se si sostiene che il suo fallimento sia imputabile alla truffaldina opposizione interna, si rinuncia all’idea che quel partito si possa governare mai: a nessuno capiteranno più il potere e l’opportunità e la forza che ha avuto Renzi in quel momento. È un suo merito averli ottenuti, è una sua colpa averli dissipati, e avere fatto fare – dopo un passo avanti – tre passi indietro al riformismo e al rinnovamento della politica progressista italiana. Passeranno anni e anni, ora: come si sta vedendo. Sul dettaglio dei suoi sbagli (trascurata attenzione al partito “sul territorio”, pessima scelta di yesmen intorno a sé e allontanamento di tutte le figure capaci a disposizione, arrogante ingenuità con le opposizioni interne, inversione di comunicazione verso i potenziali sostenitori con il passaggio dall’inclusione al grillorenzismo e a “gufi!”, adeguamento alla politica traffichina fin dal suo insediamento al governo) ho scritto altre volte, ma starei alla larga dall’ennesima capricciosa discussione tra odiatori di Renzi e adoratori di Renzi.
Il suo fallimento è colpa sua, e l’unica cosa che suggerisce di non infierire oltre è l’osservazione di quanto la stia pagando per primo nel frustrante e insignificante cul-de-sac in cui si è cacciato (però anche noi, nel nostro piccolo, la stiamo pagando).
Quello che è oggi la leadership del PD e la sua anacronistica pigrizia sono una sorta di prosecuzione di quello che erano sette anni fa: come le avevamo lasciate ce le siamo ritrovate. Passò un treno di ambizioni nuove, e deragliò, tutto da solo.
La differenza è che allora il M5S prese a sputi il PD in streaming mentre adesso ha deciso di accoglierlo come amico, nella sfigata sventura dei simili destini. Ma questo è un altro paio di maniche e non voglio allargare il discorso: le ragioni di chi usa come argomento il rinvio della vittoria delle destre esistono, per quanto non le condivida e pensi che queste ragioni – turarsi il naso, l’uovo oggi e mai la gallina domani – abbiano portato alla sterile stasi di pensiero e progetto attuale dentro quel partito.
Quello che volevo dire è solo di non raccontarsela, nessuno: chi ha il potere ha la responsabilità di cosa ne fa e dei risultati che ottiene. Chiunque sia, sette anni fa, quattro anni fa o oggi.
Non è colpa di chi c’era prima.
Da -
https://www.wittgenstein.it/2020/08/19/raccontarsela-contro-raccontarsela/