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Autore Discussione: BRUNO QUARANTA - Giovanni Arpino era nato a Pola nel 1927, ma tutta la sua ...  (Letto 2744 volte)
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« inserito:: Dicembre 09, 2007, 05:10:22 pm »

9/12/2007 (9:48) - IL RICORDO
 
Il fuorigioco di Arpino "La vita è stile..."
 
Giovanni Arpino era nato a Pola nel 1927, ma tutta la sua vita si svolse tra Bra e Torino
 
Vent'anni fa moriva il grande scrittore.

Su La Stampa raccontò l'epica del calcio

BRUNO QUARANTA


Vent’anni fa il commiato di Giovanni Arpino. Il 10 dicembre, lo stesso giorno in cui - subalpina ironia della sorte - esordisce La suora giovane, il suo capolavoro. Fu, di questa città, il testimone poetico nella seconda metà del Novecento. Risaltando come «un piemontese in Italia, un italiano in Piemonte, un europeo di Torino». Arpino sapeva - la lezione dei maestri ottocenteschi - che l’autentica «parola» discende dal vis-à-vis con l’umana condizione. Sarà naturalmente - ulteriore contributo all’identificazione di sé - «vittima di ogni attualità possibile».

Dal romanzo all’articolo di giornale. Da Un delitto d’onore a Passo d’addio, un estremo sussulto di dignità dilagando la malattia, ossia la necessità di vivere morendo. Da un ring (il match del secolo Clay-Foreman) a uno sferisterio (inchinandosi al re delle Langhe, Augusto Manzo), a uno stadio (tra campionati, coppe, tornei mondiali). Al calcio - Torino e Juventus in primis - Arpino dedicherà cure speciali, infine meditando sulle illusioni perdute. Qui sotto un florilegio della sua prosa «in campo», ma sempre in «fuorigioco», coltivando, del football, un’idea platonica, sorda alla creatina, al nandrolone, agli aurei rolex, ai fischietti truccati, a sua divinità la tattica che umilia il genio. Testimoniando ovunque che «la vita o è stile o è errore».

GIOVANNI ARPINO
Juventus
«Si scrive Juventus si pronuncia scudetto. “Vincere sempre, e con classe” è l’imperativo categorico della Signora. Nata come “seleçao” della borghesia torinese, via via è assurta a modello: una riserva dov’è vietato illudersi, dove giocare fa rima con lavorare, dove la vocazione ha il sigillo della professione. E’ un carattere di ferro la “fidanzata d’Italia”. Dentro lo stile, c’è lo stiletto».

Torino
«Da Superga a Meroni a Ferrini, la storia del Toro obbedisce a un copione drammatico. Di rappresentazione in rappresentazione, società tifosi, giocatori si sono cuciti addosso una divisa mentale ormai indelebile come la maglia granata: è più importante soffrire che non vincere».

Juventus e Torino
«La Juventus è universale, il Torino è un dialetto. La Madama è un “esperanto” anche calcistico, il Toro è gergo».

Football
«Il gioco di palla, la sferomachia, è sempre stato poetico: un atto puro, che attraverso decine di machiavellismi conserva dal principio un che di casuale, di fatale, e proprio per la sua imponderabilità fa ridere, fa piangere, sia chi guarda sia chi officia. I giocatori che fanno mucchio e si abbracciano e si rotolano per le terre dopo un gol (latini e anglosassoni, non esiste differenza) e i vinti che disperano, anche in questo obbediscono al rito, che vuole la vittoria, e cioè il Bene, subito plausibile, comunicato a tutti».

Dino Zoff
«San Dino ha le gote color borotalco, lo sguardo ridotto a una fessura, raggrinzisce le mani nei guanti, pare assente, chiuso nel vetro d’una sfera lontana, come i suoi antichi paesani che risalgono il greto del Tagliamento e portano pietre al nuovo muro da costruire intorno al podere: la sua solitudine d’uomo».

Pallone e verità
«...il pallone permette di dire il novanta per cento della verità, rise Arp. - E il dieci restante? - Carità umana. Solo carità, - ammise Arp».

Tifoso
«Non è bizzarro ritenere che uno dei primi tifosi sia stato Nerone. Poi, lo sport di stampo anglosassone cercò di plasmare un nuovo tipo di estimatore, leale, contenuto nei trasporti emozionali. Oggi Nerone prende la sua rivincita. Dove passano i tifosi, Attila può tranquillamente essere assunto come giardiniere».

L'addio al calcio
«A questo sport io mi sottraggo, e nemmeno lo guardo. Giocatori che si mettono a correre solo se sono inquadrati da un regista durante le “notturne” di coppa, gente che si vende per un gelato o un frigorifero, altra gente che non si sacrifica per scudetti o traguardi, ma per usare scudetti e traguardi a fini monetari, non sono i “miei” sportivi. Li ho salutati senza rancore, e non possiamo più rivolgerci un fraterno “tu”, ma un vecchio e più pulito “lei”».

da lastampa.it
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