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Autore Discussione: Dieci ragioni contro il cosmopolitismo - Di Moreno Pasquinelli  (Letto 4140 volte)
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« inserito:: Febbraio 20, 2019, 11:25:14 pm »

Dieci ragioni contro il cosmopolitismo
Di Moreno Pasquinelli

Umanità nazione
Dobbiamo occuparci di Carlo Rovelli, fisico teorico e blasonato divulgatore scientifico — in gioventù, come molti, militante d'estrema sinistra. [1] Ma non è di filosofia della scienza che vogliamo parlare bensì di filosofia della storia, quindi politica. Parliamo di un articolo pubblicato per l'inglese The guardian, e che il CORRIERE DELLA SERA ha pubblicato il 31 luglio scorso dandogli un grande risalto. Il titolo è programmatico e apodittico: L'UNICA NAZIONE È L'UMANITÀ. Un trattatello in quattro teoremi nel quale egli ricapitola in modo esemplare la visione cosmopolitica dell'ultima borghesia.

Primo teorema
    «Politiche nazionaliste o sovraniste stanno dilagando nel mondo, aumentando tensioni, seminando conflitti, minacciando tutti e ciascuno di noi. Il mio Paese è appena ricaduto preda di questa insensatezza».

In poche righe tre proposizioni.
(1) La prima proposizione è che l'Europa avrebbe conosciuto un cinquantennio di pace grazie al processo che è sfociato nella nascita dell'Unione europea. In verità l'assenza di conflitti — il nostro non prende nemmeno in considerazione quelli sociali e di classe — è stata dovuta all'equilibrio del terrore tra le due superpotenze (USA e URSS), e quindi al fatto che l'Europa occidentale è stata incapsulata nella NATO (che è la piattaforma su cui è nata la Comunità europea prima e la Ue poi).

Ed infatti, non appena crollata l'URSS e dissoltosi il Patto di Varsavia, la pace è andata a farsi benedire. Ricordiamo la guerra che ha squartato la Federazione di Iugoslavia coi suoi 250 mila morti, mezzo milione di feriti e centinaia di migliaia di sfollati — con l'Occidente che dopo aver fomentato i nazionalismi balcanici giunse nel 1999 a scatenare un attacco su grande scala contro Belgrado — prima tappa dell'accerchiamento NATO della Russia, culminata nell'appoggio alla "rivoluzione colorata" a Kiev e nella guerra contro il Donbass.

(2) La seconda proposizione suppone che prima della rinascita dei sovranismi il mondo vivesse in pace e armonia. Bugia grandissima! Il quarantennio della globalizzazione neoliberista, con i suoi meccanismi predatori (per non parlare di svariate sciagure sociali e ambientali) ha scatenato guerre in ogni dove, portandosi appresso una sterminata scia di sangue che ha riguardato tutti i continenti. Si chieda agli iracheni cosa pensino dell'esportazione della democrazia a stelle e strisce: 650mila morti, il doppio tra feriti e mutilati, milioni si sfollati. E l'elenco sarebbe lungo, fino all'inenarrabile macello in corso in Siria, anche questo alimentato da quel "faro di civiltà" che è l'Occidente. Solo "Effetti collaterali" della luminosa globalizzazione? E' vero invece quanto affermato dal Papa con efficace rappresentazione: il periodo che ci lasciamo alle spalle è stata null'altro che “Una terza guerra combattuta a pezzi”.

(3) E veniamo dunque alla terza proposizione. Si tratta di un vero e proprio marchio di fabbrica della narrazione dell'élite globalista (e delle sue appendici sinistroidi) quella per gli stati-nazione per loro natura portano a conflitti armati tra i popoli, con l'addendum che le due guerre mondiali sarebbero il risultato della divisione in stati nazionali. Tesi ridicola quanto ingannevole l'addendum. Che forse prima che gli stati-nazione si affacciassero al proscenio della storia l'umanità non conosceva guerre? ce ne sono invece sempre state, solo che eran guerre tra imperi, tra città-stato, giù giù fino a quelle tribali e claniche. Rovelli, siccome faceva il rivoluzionario, dovrebbe poi avere contezza della categoria di IMPERIALISMO il quale, essendo per sua natura sistema predatorio e guerrafondaio, è prima e vera causa dei conflitti. Le due grandi guerre sono state conflitti tra imperialismi smaniosi di spartirsi il bottino mondiale, ed i nazionalismi erano solo maschere. Se volessimo infine andare alla radice sarebbe facile giungere alla conclusione che in regime capitalistico la pace, il mondo, non la conoscerà mai.

 Secondo teorema
    «L'identità nazionale è falsa, è solo uno strato sottile, uno tra tanti altri, assai più importanti. L’identità nazionale è un veleno, mentre noi siamo una combinazione di strati, incroci, in una rete di scambi che tesse l’umanità intera nella sua multiforme e mutevole cultura. Ognuno di noi è un crocevia di identità molteplici e stratificate. Mettere la nazione in primo luogo significa tradire tutte le altre. Non è il potere che si costruisce attorno a identità nazionali; è viceversa: le identità nazionali sono create dalle strutture di potere. Sono narrazioni create consapevolmente per generare un senso di appartenenza a famiglie fittizie, chiamate nazioni. Le identità nazionali non sono altro che teatro politico».

Anche qui abbiamo tre proposizioni.
(4) La prima proposizione consiste in un vero e proprio imbroglio ideologico, per cui tutti i nazionalismi sarebbero maligni, mettendo nello stesso sacco il nazionalismo di un popolo oppresso e quello di un popolo oppressore, i patriottismi di matrice democratica e universalistica coi nazionalismi sciovinisti. Che ogni popolo sia "una combinazione di strati, incroci" ecc, è un'ovvietà. Ma questo che c'entra? Smentisce solo l'idea razzista della nazione e/o la sua versione tedesca di völkisch, della nazione fondata sull'idea della "purezza etnica". Accanto e contro questa concezione, c'è quella democratica della nazione, fondata sul demos includente e non sull'etnos escludente. La concezione propria dei padri nobili e dei martiri del Risorgimento italiano, che con le armi in pugno combatterono per unificare il Paese liberandolo del giogo straniero. Se andasse fino in fondo signor Rovelli dovrebbe condannare, col Risorgimento, tutte le guerre di liberazione dei popoli oppressi per diventare nazioni in quanto fenomeni separatisti "dell'unica famiglia umana", in quanto conflittivi e "velenosamente" identitari. Qualcuno potrà pensare che qui riecheggia il pacifismo irenico di Immanuel Kant, in verità è il suo sporco delle unghie, dato che Kant non si sarebbe sognato di sostenere che "l'identità nazionale è falsa", che sarebbe "solo uno strato sottile, uno tra tanti altri, assai più importanti" — che se poi quella nazionale è uno "strato sottile", figuriamoci quanto è fino quello cosmopolitico.

(5) Ma veniamo alla seconda proposizione, quella per cui "le identità nazionali sarebbero false, fittizie, velenose, teatro politico". Qui dal cielo di Kant si scende alla palude dei filosofi postmoderni per i quali tutto si ridurrebbe a "discorso", a "narrazione", ad ingannevole artifizio ideologico. Vivendo in Francia Rovelli potrebbe dire ad un francese che la Francia è solo una "invenzione", una "famiglia fittizia", che dovrebbe quindi dileguarsi... nell'umanità. Nel migliore dei casi riceverebbe una sonora pernacchia. Le identità nazionali, non solo in Europa, hanno invece profonde radici storiche e, come la storia recente dimostra, compresa la crisi ineluttabile dell'Unione europea, sono dure a morire. E' un fatto oggettivo ed i fatti non solo hanno la testa dura, vanno finalmente spazzando via le teorie per cui i fatti non esisterebbero ma solo "discorsi" e "narrazioni", che tutto quindi sarebbe mera sovrastruttura.

(6) E siamo alla terza proposizione. "Non è il potere che si costruisce attorno a identità nazionali; è viceversa: le identità nazionali sono create dalle strutture di potere". Una tesi, quella per cui le identità nazionali sarebbero tutte mere invenzioni dei dominanti, anche questa falsa, frutto avvelenato di certo filosofare postmodernista e poststrutturalista —da Lyotard a Foucault. Le nazioni possono essere effettivamente creazioni artificiali, è il caso ad esempio di molti stati sorti con la cosiddetta "decolonizzazione". Ciò riguarda senza dubbio il mondo arabo-islamico e l'Africa, dove l'imperialismo occidentale ha tracciato spesso confini e barriere del tutto arbitrarie. Si può dire la stessa cosa della Cina, del Giappone o della Persia? Si può dire, per venire a noi, degli stati nazionali europei? No, non si può dire. In questi casi le identità nazionali dei popoli non sono affatto un prodotto artificiale delle classi dominanti, risultano invece dalla combinazione di numerosi e profondi fattori storico-sociali: economici, linguistici, culturali, religiosi. E ammesso e non concesso che le nazioni siano forme create dai dominanti che vuol dire? Tanti sono i frutti che le classi dominanti ci hanno lasciato in eredità, le arti e le scienze ad esempio; la stessa democrazia moderna e il diritto; dovremmo forse gettarli nel cesso perché non prodotti dalle classi subalterne? Il cosmopolitismo che Rovelli abbraccia con tanta sicumera non è forse un prodotto ideologico della borghesia?

Terzo teorema
    «Le intenzioni dei padri fondatori del mio Paese erano buone nel promuovere un’identità nazionale italiana, ma solo pochi decenni dopo questa è sfociata nel fascismo, estrema glorificazione di identità nazionale. Il fascismo ha ispirato il nazismo di Hitler. La passionale identificazione emotiva dei tedeschi in un singolo Volk ha finito per devastare la Germania e il mondo».

(7) Qui abbiamo una proposizione che stabilisce un filo rosso di conseguenzialità tra il patriottismo democratico risorgimentale ed il nazionalismo imperialista del fascismo, quindi col nazismo. Affermazione gravissima, non solo perché mostra una seria ignoranza della storia italiana (il nazionalismo italiano, a partire da Crispi, sorse sulle ceneri del patriottismo democratico sconfitto, che venne parassitato per giustificare l'avventurismo colonialistico), anche perché accoglie e legittima la rappresentazione che il fascismo ha dato della storia d'Italia.

Quarto teorema
    «Ma localismo e nazionalismo non sono solo errori di calcolo; traggono forza dal loro appello emotivo: l’offerta di una identità. La politica gioca con il nostro istintivo insaziabile desiderio di appartenenza. Offrire una casa fittizia, la nazione, è risposta fasulla, ma costa poco e paga politicamente. Per questo la risposta alla perniciosa ideologia nazionale non può essere solo un appello alla ragionevolezza, ma deve trovare l’anelito morale e ideologico che merita: glorificare identità locali o nazionali e usarle per ridurre la cooperazione su scala più ampia non è solo un calcolo sbagliato, è anche miserabile, degradante, e moralmente riprovevole. Abbiamo un posto meraviglioso da chiamare «casa»: la Terra, e una meravigliosa, variegata tribù di fratelli e sorelle con i quali sentirci a casa e con i quali identificarci: l’umanità»

Qui, a parte le solite patetiche contumelie contro la nazione, abbiamo tre proposizioni.
(Fico La prima proposizione riconosce che i nazionalismi fanno leva sul "nostro istintivo insaziabile desiderio di appartenenza". Quindi Rovelli, pur odiando la forma stato-nazionale ammette che tra le diverse cause storiche che l'han determinata ce n'è una di natura addirittura antropologica. Come diceva Aristotele l'uomo un un animale politico, più precisamente, per dirla con Marx, un essere sociale, per sua stessa natura comunitario.

(9) Con la seconda proposizione Rovelli afferma che non la nazione bensì l'umanità, anzi la Terra, sarebbe la sola "meravigliosa" casa che abitiamo... E' il noto discorso che noi saremmo anzitutto "cittadini del mondo". Mai moralismo fu più astratto. Non c'è alcun "mondo" di cui si possa essere cittadini. Si è cittadini ove ci sia un demos, un luogo politico determinato ove cioè si esercitano diritti e si assolvono doveri civici. Ciò è possibile solo in seno a determinate comunità storico-politiche, nel caso quelle nazionali, non nel "mondo" il quale, fino a prova contraria ed in barba alla mito cosmopolitico, non è un entità politica, ma un affastellamento di demos nazionali che lungi dall'estinguersi proprio l'ultima globalizzazione spinge al rafforzamento. Una lampante riprova dell'astratto moralismo è che il nostro non tenta neppure di dirci come, rebus sic stantibus, le pie intenzioni cosmopolitiche dovrebbero materializzarsi: come l'umanità dovrebbe politicamente strutturarsi? Su quali basi sociali ed economiche? E quali forze o classi o potenze tirerebbero nella direzione cosmopolitica? Alle spalle del panegirico moralista resta solo l'apologia del presente, la difesa d'ufficio della globalizzazione che, denudata, è la distopia di un unico e totalitario impero mondiale, "meravigliosa e variegata" udite! udite!, "tribù di fratelli e sorelle". Dalla comunità di nazioni ad un consorzio di tribù. Non c'è male! [2]

(10) E quale sia la tribù alla quale il Rovelli sente di appartenere, lo dichiara senza alcun pudore:
    «Sono cresciuto all’interno di una determinata classe sociale, e condivido abitudini e preoccupazioni con le persone di questa classe in tutto il pianeta più che con i miei connazionali».

Una confessione abbagliante, che chiude il cerchio. Il Rovelli ammette che si sente anzitutto membro di una tribù, anzi di una classe, quella appunto dell'ultima borghesia globalizzata. Dichiara quindi che con i suoi compari "di tutto il pianeta" condivide "abitudini e preoccupazioni" (leggi interessi e visioni politiche), affinità che invece non sente verso gli sventurati connazionali. Non c'è solo ripugnanza per la sua Patria, qui c'è uno altezzoso disprezzo delle classi subalterne, popolino che abbraccia un sovranismo "miserabile, degradante, e moralmente riprovevole". Il nostro ammette che in questo sovranismo c'è il profondo rancore sociale contro chi sta in alto da parte di chi sta in basso. E non si sbaglia. Gettata la maschera appare quindi in tutta la sua ipocrisia e inconsistenza la pretesa dell'ultima borghesia di essere essa portatrice di un "anelito morale e ideologico" superiore a quello patriottico delle classi subalterne.

Non contrastare il rancore di chi sta in basso, ma alimentarlo e trasformarlo in coscienza politica, in carburante del mutamento, questo è il compito di chi voglia davvero cambiare l'ordine di cose esistenti.

NOTE

[1] Numerosi i suoi libri in cui Rovelli, cimentandosi con epistemologia e filosofia della scienza, tenta di spiegare al lettore i misteri, le diavolerie, ed i veri e propri sortilegi della fisica quantistica e postquantistica. Noi abbiamo letto le sue Sette lezioni di fisica e L'ordine del tempo, e tanto ci è bastato: un ritorno, per quanto camuffato, all'immaterialismo teologico del vescovo anglicano George Berkeley, nominalista radicale per il quale la materia non esiste, è solo un'illusione, al pari dei concetti di universale e di sostanza.
[2] Qui, vale la pena ricordarlo a chi fa confusione, vien fuori la distanza siderale tra l'utopismo cosmopolitico e l'internazionalismo di matrice marxista. Certo, anche Marx propugnava una futura repubblica socialista mondiale ma, primo, riteneva che essa sarebbe potuta sorgere solo sulle ceneri del capitalismo e, secondo, non si è mai sognato di sottovalutare la centralità dei fattori nazionali nella lotta rivoluzionaria. "Proletari di tutto il mondo unitevi" non è la medesima cosa che "cittadini di tutto il mondo amatevi".

Da - https://www.sinistrainrete.info/teoria/13536-moreno-pasquinelli-dieci-ragioni-contro-il-cosmopolitismo.html
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