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« Risposta #1 inserito:: Novembre 07, 2007, 12:24:28 am » |
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Strategia Marchionne
Di Stefano Livadiotti
Aumentando i salari, la Fiat fa da apripista a Montezemolo. Che vuole riformare la contrattazione
Non si è fatto attendere l'appoggio pieno del falco Alberto Bombassei, vicepresidente per le relazioni industriali di Confindustria e titolare della Brembo. Seguito a ruota dal numero uno degli irrequieti industriali veneti Andrea Riello, da grandi gruppi come Ilva e Alenia, ma anche da molti piccoli imprenditori. La Fiat s'è ritrovata in buona compagnia nella sfida lanciata mercoledì 24 ottobre quando, forte del miglior risultato raggiunto in 109 anni di storia, ha deciso di versare nella busta paga di 75 mila dipendenti un anticipo di 30 euro in attesa della conclusione della trattative per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Un gesto che ha chiuso nell'angolo i vertici di Cgil, Cisl e Uil: furiosi per essere stati scavalcati dall'azienda, ma anche consapevoli di non poter sparare su chi mette dei soldi nelle tasche degli operai, i signor no del sindacato italiano si sono dovuti rifugiare in un balbettìo.
A lanciare l'idea è stato Paolo Rebaudengo. Il responsabile delle relazioni industriali della Fiat ne ha parlato a quattr'occhi con l'amministratore delegato, Sergio Marchionne. Poi, a meta ottobre, c'è stato un vertice a tre con il presidente, e leader degli industriali, Luca di Montezemolo, che oggi spiega: "I piccoli imprenditori hanno sempre seguito questa strada; la novità è che ora lo fa anche la più grande azienda industriale del paese".
Dietro l'operazione, definitivamente approvata dal consiglio di amministrazione riunito a Maranello per festeggiare il doppio titolo mondiale dell'azienda del Cavallino rampante (costruttori e piloti), si riconosce netto il profilo di Marchionne. Il manager italo-svizzero-canadese, autore di un manifesto che inneggiando alla competizione e alla meritocrazia ha raccolto il plauso dei leader politici del centro-sinistra, ama gli effetti speciali. Soprattutto quando, come in questo caso, sono a costo ridotto per l'azienda (solo 3 milioni al mese, secondo gli ultimi calcoli): annunciati come riconoscimento ai dipendenti per i risultati conseguiti dall'azienda, i 30 euro infatti non sono stati corrisposti come premio, ma solo a titolo di acconto sull'aumento contrattuale. Una brillante mossa di marketing, scattata all'indomani del referendum sul protocollo per il welfare che negli stabilimenti della Fiat è stato sommerso dai voti contrari.
Ma c'è, dietro la sortita della Fiat, soprattutto la visione di Montezemolo. L'uomo con il doppio cappello di presidente della Fiat e della Confindustria la sfida l'aveva lanciata già prima dell'estate. "Le nostre proposte sono più popolari tra i lavoratori che nel sindacato", aveva attaccato il 21 giugno scorso, facendo venire giù il teatro dove erano riuniti gli industriali di Reggio Emilia: "Se continua a non tenere conto dei problemi veri di competitività delle imprese, che interessano anche i lavoratori, il sindacato rischia di rappresentare solo i pubblici dipendenti, i pensionati e qualche fannullone". Dalla sinistra radicale gli avevano dato del black bloc.
Oggi, con il contratto pilota dell'industria italiana scaduto da mesi e finito come al solito nelle sabbie mobili di una trattativa infinita, Montezemolo ha deciso di spingere sull'acceleratore. Con un messaggio chiaro: quando in azienda ci sono i risultati, allora arrivano anche i soldi. "Quello del sindacato è un atteggiamento culturale superato: bisogna riportare i lavoratori al centro del confronto", dice oggi il presidente degli industriali. L'obiettivo è quello di arrivare a ridiscutere l'intero sistema delle relazioni industriali così come è stato disegnato ormai quasi 15 anni fa. La direzione di marcia è il potenziamento della contrattazione decentrata. Un passaggio indispensabile anche per il disboscamento della giungla degli oltre 400 contratti nazionali di categoria. "Il contratto nazionale resta un punto di riferimento", ha assicurato Montezemolo il 27 ottobre dalla tribuna del convegno della piccola industria a Caserta, "ma non basta: è nella sede aziendale che si tiene conto dei risultati e delle specificità del mercato".
Un primo tentativo di avviare una discussione il numero uno di viale dell'Astronomia l'aveva fatto appena insediato al vertice della Confindustria. Il grande capo della Cgil, Guglielmo Epifani, gli aveva platealmente sbattuto la porta in faccia, abbandonando il tavolo dove sedeva con gli altri sindacalisti prima ancora che si presentasse la delegazione imprenditoriale. Ora, però, nell'incalzare Cgil, Cisl e Uil, il numero uno degli industriali ha qualche arma in più. Intanto, proprio il protocollo sul welfare sul quale i sindacati hanno chiamato al voto i loro iscritti prevede un ampliamento della detassazione del salario contrattato a livello territoriale. Ma non solo. Prima ancora di incassare, da Caserta, l'approvazione della base confindustriale, a sole quarantott'ore dall'annuncio di Maranello Montezemolo ha trovato un fiancheggiatore nel governatore della Banca d'Italia. I dati snocciolati da Mario Draghi sull'andamento delle buste paga suonano come un atto d'accusa nei confronti del sindacato, tanto occupato nei suoi riti quanto assente sul fronte della tutela del potere d'acquisto degli iscritti.
I numeri di via Nazionale parlano chiaro. E dicono che, a parità di specializzazione, i salari italiani sono inferiori del 10 per cento a quelli tedeschi, del 20 a quelli britannici e del 25 a quelli francesi. La retribuzione media oraria è più bassa del 30-40 per cento e tende a salire solo per le fasce di età più alte, a dimostrazione del fatto che in Italia l'anzianità continua ad avere la prevalenza sul merito.
Per i lavoratori, in ogni caso, il piatto piange. Ma se il costo del lavoro continua a calare gli imprenditori non ne traggono alcun vantaggio. Perché a scendere ancora più velocemente delle buste paga è la produttività. Con il risultato che il costo del lavoro per unità di prodotto aumenta in Italia mentre scende in Francia e Germania. Come a dire che nell'intero sistema industriale italiano si sta facendo largo la logica imposta dal sindacato nella sua riserva di caccia della pubblica amministrazione: guadagnare poco, lavorare meno.
Abituato a un sapiente gioco di squadra al termine del quale, quasi a turno, uno dei tre leader pronuncia il solito no, questa volta il sindacato sembra non sapere che pesci pigliare. "Vedremo se si sbloccherà la trattativa o se, invece, altre aziende cercheranno soluzioni unilaterali: allora si rischia il caos", ha minacciato il duro della Fiom, Gianni Rinaldini. Ma lo sciopero del 30 ottobre non ha spostato nulla e la Federmeccanica non appare disposta a cedere. Sulla sua tenuta scommettono gli imprenditori che, dopo aver seguito la Fiat pagando un primo anticipo, si sono già dichiarati pronti a versare una seconda tranche. A febbraio 2008.
(05 novembre 2007) da espresso.repubblica.it
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