Flat tax e reddito cittadinanza, avvio senza aumentare il deficit
Il vertice.
Tria dopo il confronto con Conte, Savona, Moavero, Giorgetti e Di Maio: «Soddisfatto per l’accordo, c’è compatibilità tra obiettivi di bilancio e riforme» -
Niente riferimenti alle pensioni
ROMA
Dopo la nuova fiammata mattutina dello spread, dal vertice di Palazzo Chigi sui conti arrivano messaggi animati da intenzioni rassicuranti. E il ministro dell’Economia Giovanni Tria può commentare con «soddisfazione» un accordo sulle linee del quadro programmatico che «conferma le compatibilità tra gli obiettivi di bilancio già illustrati in Parlamento e l’avvio delle riforme su flat tax e reddito di cittadinanza». Tradotto: prima si fissano i confini della manovra, che non deve aumentare il deficit né mettere in discussione la discesa del debito, e su questa base si calibra «l’avvio» delle riforme su fisco e welfare. Esclusa, ufficialmente, la strada contraria, che partirebbe dal programma per misurarne poi le ricadute sull’indebitamento. Puntuale arriva però il contraltare dal leader della Lega, il vicepremier Salvini, che in un colloquio con Il Foglio in edicola oggi conferma che «la crescita viene prima dei parametri» e che «solo la morte è irreversibile» a differenza dell’Euro.
Le due ore abbondanti dell’incontro, che con il premier Conte e Tria ha riunito il ministro agli Affari europei Savona, il titolare degli Esteri Moavero Milanesi (esponente della linea europeista più “ortodossa” nel governo) il vicepremier Di Maio e il sottosegretario alla presidenza Giorgetti, sono servite a definire «la programmazione economico-finanziaria che sarà presentata a settembre», come spiegato dal presidente del Consiglio in una nota. Si tratta degli obiettivi di deficit e debito che secondo la linea tracciata dallo stesso Tria in Parlamento, e richiamata nel comunicato di ieri, devono evitare una correzione troppo pro-ciclica in un’economia che già sta frenando senza però fermare la discesa del debito. Dentro questi confini possono trovare spazio alcune bandiere del contratto di governo ma solo, appunto, nella loro forma iniziale. Sembra più complicata la sorte del terzo pilastro del contratto, lo stop alla legge Fornero, che muove costi importanti e impatta direttamente sulle sorti del debito vigilate da Bruxelles e mercati. E non a caso di pensioni nei comunicati di ieri non si parla.
Gli interventi fiscali per partite Iva e Pmi, invece, potrebbero viaggiare intorno al miliardo di euro, rimandando al futuro gli interventi multimiliardari sull’Ires e soprattutto sull’Irpef delle famiglie. Per fare di più si potrebbe sfoltire la giungla degli sconti fiscali. Ma finora la complessità politica della questione ha sempre fermato i progetti dei diversi governi.
Sul reddito di cittadinanza i conti sono più articolati. Il costo lordo dell’ipotesi a Cinque Stelle è intorno ai 17 miliardi, ma lo stesso Tria ha sottolineato a più riprese che i calcoli vanno fatti sul «differenziale» rispetto alle spese di welfare attuali che sarebbero inglobate dal nuovo strumento. Quali? Il reddito d’inclusione avviato dai governi Renzi-Gentiloni costa 2,5 miliardi l’anno prossimo e 2,8 dal 2020, ma nel capitolo welfare ci sono 3,5-4 miliardi all’anno di trasferimenti assistenziali (per esempio integrazioni al minimo, assegni sociali e così via) che potrebbero essere della partita. Per interessare tutti i «poveri assoluti» servirebbero 6-7 miliardi strutturali, calcola l’Alleanza contro la povertà, per cui in quest’ottica il traguardo non è irraggiungibile. Non va dimenticato, però, che nel programma di governo ci sarebbe anche un rafforzamento dei fondi per la non autosufficienza e gli aiuti pro-natalità per le famiglie, oggetto delle deleghe del ministro leghista Lorenzo Fontana.
La ricerca dell’equilibrio, insomma, rimane complicata e deve tener conto che fra aumenti Iva da evitare, spese obbligatorie, frenata della crescita e aumento dei rendimenti dei titoli di Stato il rispetto degli obiettivi già concordati con Bruxelles ipotecherebbe almeno 22 miliardi. Il peggioramento della congiuntura ha un ovvio effetto trascinamento sui conti del 2019, e secondo calcoli sui tavoli del governo porterebbero oltre quota 1% il deficit tendenziale (cioè con aumenti dell’Iva compresi) che il Def colloca allo 0,8%. In ogni caso il confronto con la Commissione è partito, e il rallentamento del Pil certificato martedì dall’Istat (1,1% di crescita tendenziale per quest’anno invece dell’1,5% previsto nel Def scritto dal governo Gentiloni) può offrire qualche argomento in più per rivederli. L’obiettivo di «non peggiorare» il deficit strutturale (oggi calcolato all’1%) senza ridurlo di sei decimali l’anno prossimo si tradurrebbe in uno “sconto” intorno agli 11 miliardi.
Prima della pausa estiva potrebbe esserci un nuovo vertice, ma i conti finali si faranno a settembre sulla base dell’unica casella oggi impossibile da riempire: quella sui rendimenti dei titoli di Stato che ieri sono andati ancora una volta in netta controtendenza con un’Eurozona tutta al ribasso con l’unica eccezione dei tranquillissimi titoli finlandesi.
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Gianni Trovati
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