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Autore Discussione: Stupidità politica non si può pensare, ma cattiveria e settarismo, SI!  (Letto 2269 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Luglio 23, 2018, 02:03:40 pm »

W MARCHIONNE

Lo scriverei sui muri quel W che ormai ha perso il suo significato. E lo scriverei (possibilmente) sul muro di via Bergoni a Roma, la sede del Manifesto che oggi ha fatto un titolo fuori dal vaso.
Marchionne è stato colui che ha salvato la Fiat portandola ad essere il sesto gruppo nel mondo attraverso una coraggiosa rivoluzione economica e industriale.
Ha stoppato perdite, rinegoziato debiti e migliorato i conti. Esattamente come deve fare un grande e capace Amministratore Delegato.
Durante la più grande crisi economica mondiale (quella del 2008) Fiom e supporter balbettavano di nazionalizzazione, protezionismo e assistenza (le stesse usurate litanie che si risentono oggi su Ilva e Alitalia). Marchionne invece scommette su un piano coraggioso di ristrutturazione dei costi, modernizza gli stabilimenti, li specializza su nuovi modelli, internazionalizza il gruppo.
Da azienda che doveva essere venduta, la Fiat si trasforma in azienda che compra e diventa, per la prima volta, un player mondiale. Rilancia la missione degli stabilimenti meridionali (Napoli, Melfi, Cassino) e lo fa in aperto scontro con una Fiom velleitaria, primitiva, sempre più piccola e autoreferenziale, inutile e aliena agli stessi lavoratori che non comprendono il senso della vecchie parole d'ordine, mentre i competitor globali assorbono nuove quote di mercato.
Marchionne ha anche rinnegato un modo di fare impresa fossile, consociativo ed abituato a concertare. Ha scosso l’immobilismo delle imprese, la perdita di competitività e produttività e gli accordi a spese dello Stato e del debito pubblico. Ha rinnegato il modo "classico" e comodo di privatizzare utili e nazionalizzare le perdite che gli Agnelli conoscevano bene.
Per questi motivi Marchionne è stato tra i più odiati nell'Italia del pensiero unico statalista.
Per capire il perchè di questo elogio in apparenza sperticato, bisogna innanzitutto conoscere il settore con il quale si è andato a confrontare e un minimo di storia economica del bel paese.

1) il settore automobilistico già negli anni '80 1986 era dal punto di vista economico “maturo”. Aveva raggiunto la massima estensione possibile del mercato, con un livello elevato di concorrenza.
In questo contesto la profittabilità di una azienda cade come sostiene Massimo Fontana da cui prendo questa analisi sintetica e precisa.
La Profittabilità cade a meno di:
- cambiare prodotto, (molto...troppo costoso)
- delocalizzare la produzione in paesi a basso costo del lavoro
- costruire un marchio esclusivo per poche auto di alta gamma, quindi ripercorrere la via intrapresa dal settore tessile, nel mobile e da tutti i settori nelle stesse condizioni.
Cosa però difficile da realizzare perché...
2) Il break-even del settore auto è devastante per i conti, a causa dell'alto costo relativo di produzione di ogni singola auto e dell'elevato numero di queste venduto e quindi prodotto, basta essere poco sotto il break-even per perdere una quantità enorme di denaro.
3) Con l'arrivo negli anni '80 dei giapponesi, negli anni '90 dei coreani, l'ombra delle case cinesi e indiane già all'orizzonte e della delocalizzazione produttiva in Cina operata dalle grandi case occidentali, in primis Volkswagen e Renault, bastava sbagliare un prodotto e non riuscire a contenere i costi, che scattava subito il problema del break-even. E dalla DUNA in poi qualche prodotto (in effetti) Fiat lo aveva ciccato.

Nel 2002 i nodi vennero al pettine e malgrado un feroce contenimento dei costi non bastavano più i pannelli caldi e sì penso a liquidare l'azienda con il solito spezzatino.
A quel punto però comparve Marchionne con un vero lampo di genio...Chrysler che era nel mentre fallita miseramente.

Marchionne acquista per un “tozzo di pane” la terza società automobilistica statunitense, dai costi di produzione ridotti di almeno il 30% e con alcuni impianti, quelli meno redditizi, comunque chiusi. E tutto questo grazie al governo Usa stesso.
Acquistando Chrysler al 100% infatti non solo acquistava una società già risanata, ma riusciva anche a fare ciò che la Fiat non è mai riuscita a fare, ovvero entrare nel mercato statunitense. Ottimizzò tagliando la produzione in Italia degli impianti meno produttivi fin dove la politica permetteva e integrando il tutto in un nuovo gruppo, di fatto annacquava il vero problema dei conti, ovvero la produzione delle auto di fascia bassa in Italia, in una azienda mondiale dove l'Italia risultava talmente piccola da non essere più un pericolo per i conti.
Se a questo ci aggiungiamo lo scorporo della Ferrari, e il trasferimento della sede all'estero ecco che torniamo a grandi linee all'integrazione di ciò che vale in un nuovo gruppo: la ricerca della massima redditività.

Solo così infatti un sistema economico non consumerà più risorse economiche di quante ne produce. Ha fatto esattamente quanto un ottimo amministratore delegato deve fare.
L'unica cosa certa è che prima di lui Fiat era quasi morta, oggi è viva, vegeta e redditizia e mentre aziende dal marchio più blasonato e dalla forza economica più grande come GM e Chrysler, fallivano miseramente, lui aveva la forza di comprarne una e di farne un nuovo cavallo di razza.
Più di così era impossibile fare...
Quindi W Marchionne!

E tutto il bene possibile per lui in questi momenti duri

Da - https://www.facebook.com/
« Ultima modifica: Luglio 23, 2018, 05:46:48 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 29, 2018, 01:54:48 pm »

L’altro volto di Marchionne: il racconto di un operaio della Maserati

Se negli scorsi giorni in molti hanno lodato le indubbie capacità manageriali di Sergio Marchionne, c'è anche un altro lato, quello degli operai, da ascoltare con attenzione

globalist
24 luglio 2018
 
Negli scorsi giorni in molti hanno sottolineato le indubbie capacità manageriali di Marchionne, del suo salvataggio della Fiat e della nascita della Fca, che ha dato un volto internazionale allo storico marchio italiano.

Ma questa trasformazione ha comportato una grande durezza sia nei rapporti dei lavoratori che con i sindacati, ben raccontata in questa lettera di un operaio della Maserati, pubblicata su InfoAut, che riportiamo:

"Lavoro alla Maserati di Grugliasco Torino, ex officina Bertone, annessa dalla Fiat per produrre la nuova vettura. Ci lavorano circa 1000 operai su due turni (per adesso). Nel turno di notte ci sono pochi operai per recuperare qualche vettura e mettere a posto le postazioni e i magazzini. Si producono 35 vetture al giorno, ma molto probabilmente la produzione è destinata a salire fino a 50 vetture per turno.
Le condizioni lavorative sono da caserma, per noi della logistica (riforniamo le linee di produzione con il materiale) i carichi di lavoro sono a dir poco asfissianti. Nel turno di lavoro non si smette mai di lavorare, non esistono tempi morti, ci sono tre pause di 10 minuti, ma la gran parte degli operai della logistica le sfrutta per mettere a posto le postazioni per non rimanere indietro quando riparte la produzione. C’è mezzora di pausa mensa, ma tra lavarsi le mani, raggiungere la mensa e la lunga coda per prendere il vassoio e farsi servire dagli addetti… ci si gioca la metà del tempo, quindi si mangia di corsa. I primi tempi ho visto anche operai che iniziavano a mangiare in piedi prima di sistemarsi nei tavoli.
Varcato il cancello, prima di entrare in officina, hanno messo un tabellone digitale dove c'è scritta la data dell’ultimo infortunio (che se non erro è dicembre 2012) e sotto la data corrente con il numero zero _infortuni_, però anche lì ci sono forzature da parte dei capi e direttori sugli operai. In pratica, chi si fa male non deve denunciare l’infortunio, altrimenti finisce in cassa integrazione. Per l’azienda quel tabellone deve rimanere sullo zero per la bella figura del marchio FIAT.
In officina, durante le ore lavorative ci sono parecchie visite esterne di gentaglia vestita come manichini che osserva le lavorazioni e ci sono tantissime riunioni tra capi capetti ecc. ecc. per far funzionare meglio la lavorazione del prodotto.
Sono stato addetto alla meccanica. Il personale è carente e andando alla velocità' che vogliono loro si rischiava di farsi male o, peggio, di far male a qualcuno. I capi fanno pressione per andare più veloce, per non rischiare di fermare la produzione. Praticamente, uscendo dal magazzino, per entrare in officina, bisogna attraversare una strada dove passano tir e furgoni che hanno lo stop, ma che raramente osservano: si rischia spesso di esser investiti. Ci sarebbe bisogno di semafori, ma, a quanto pare, l’azienda non vuole affrontare questa spesa, per il momento, sostiene che ci sono altre priorità! Quali, se l'azienda fa tanta pubblicità sia con il tabellone elettronico e sulle continue raccomandazioni per evitare gli infortuni?! Tutta ipocrisia! Esiste una vera e propria contraddizione: se si va a 6 chilometri orari sei a norma ma fermi la produzione, mentre se vai a 12 km orari non sei più a norma e superi la velocità consentita in officina, quello che fanno tutti, per non rischiare di fermare e prendere richiami dai capi.
Non esistono organizzazioni sindacali che si occupano veramente delle nostre condizioni. Fim Uil e Fismic sono latitanti e la Fiom che, aveva la maggioranza dei consensi, anzi praticamente erano tutti iscritti alla Fiom, è stata sfrattata; con essa sono rimasti fuori i delegati e molti operai loro simpatizzanti. D'altronde, la stessa Fiom, quando era presente in fabbrica, non ha mai portato avanti forme reali di lotta.
Molti operai sono rientrati dopo 10 anni di cassa integrazione, in officina ci sono molti operai e capi di Mirafiori che sostituiscono quelli del ex Bertone.
Questo è il sistema e il metodo Marchionne degli stabilimenti Fiat in Italia e all’estero. Chi si ribella veramente, chi fa mutua o va in infortunio dopo che si è fatto male lavorando, viene parcheggiato in cassa integrazione a disposizione dell’azienda per un eventuale prossima chiamata per rientrare a lavorare".

Da - https://www.globalist.it/news/2018/07/24/l-altro-volto-di-marchionne-il-racconto-di-un-operaio-della-maserati-2028432.html
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