ECONOMIA E IMPRESE
20 LUGLIO 2018
Il Sole 24 Ore
INTERVISTA OSCAR FARINETTI
«No ai bollini sul cibo buono meglio educare a mangiare»
Il fondatore di Eataly: «Su grassi e zuccheri sono basati prodotti straordinari»
Se associamo il buono alla morte, distruggiamo il senso profondo della vita
Sul valore dei prodotti della tradizione agroalimentare italiana, Eataly ha costruito il suo modello di business, esportando le eccellenze dei produttori nel mondo, con tutto il bagaglio culturale e territoriale che ogni singola eccellenza si porta dietro. Dunque, a questa nuova potenziale minaccia alla filiera produttiva italiana, che rischia di vedere “appioppati” i bollini rossi a prodotti come olio, formaggi, salumi e dolci, Oscar Farinetti non vuole credere. «L’Organizzazione mondiale della Sanità ha fatto un lavoro straordinario in questi anni sul tema della salute, contribuendo all’allungamento della vita, ma di fronte a questa prospettiva dovrebbero fare un gran respiro e fermarsi, non può passare la logica dei bollini». Con il paradosso, aggiunge, «che sulla Coca Cola dietetica non ci sarebbe il bollino rosso, sul parmigiano, sì».
Quindi se le chiedessero di mettere un bollino che avvisa il consumatore della presenza di grassi in una toma, come la prenderebbe?
Beh direi che allora servirebbero dei bollini neri su ogni bottiglia di plastica. Noi viviamo di grassi e zuccheri, che se presi in quantità eccessive fanno malissimo, il tema vero è la quantità che ingeriamo. Il punto non è dire che fa male il grasso o lo zucchero, ma che fa male mangiarne troppo. Senza dimenticare che al consumo del cibo è legato un gran piacere che garantisce la nostra sopravvivenza. Su grassi e zuccheri si sono costruiti prodotti straordinari, ma se associamo il buono alla morte, distruggiamo il senso più profondo della vita. Sarei d’accordo a indicare i limiti giornalieri, ma questa storia dei semafori deve finire.
La qualità, la tradizione, la cura, tutto quello che i prodotti italiani si portano dietro, rischierebbero di entrare in conflitto con indicatori quantitativi che possono distorcere la percezione dei consumatori, soprattutto all’estero...
Questo aspetto è evidente ad esempio per l’Italian Sounding, sento associazioni e produttori infuriati, ma questo tema lo risolviamo non facendo noi, imprenditori e produttori, i poliziotti, ma mettendo in condizione i clienti di tutto il mondo di riuscire a distinguere il parmigiano dal parmesan.
Ci sono eccellenze del Made in Italy che hanno ancora un problema di redditività, come si incide su questi fattori?
Facciamo fatica a convincere il consumatore a spendere per un olio extravergine di qualità. Dobbiamo risolvere il problema, con il vino ce l’abbiamo fatta, così come con certi salumi e formaggi, sull’olio dobbiamo lavorare per far accettare un prezzo giusto, in grado di remunerare la filiera. Questo problema si risolve con la narrazione, non con le proteste.
L’agroalimentare continua a crescere nell’export ma lei lo ha detto diverse volte, continuiamo ad essere provinciali, come si può fare di più?
Siamo partiti tardi. In Francia sono stati più rapidi di noi e grazie alla grande distribuzione hanno spinto la diffusione dei prodotti francesi nel mondo. Il tema è questo, la distribuzione, sono i mercanti a fare la differenza, a segnare il successo o l’insuccesso. Quando ho incontrato il fondatore di Alibaba, abbiamo parlato di Marco Polo. Sa cosa mi ha detto? «Lo abbiamo riempito di nostri prodotti e tradizione, peccato sia arrivato qui a mani vuote».
Eataly sta cambiando pelle, il passaggio generazionale è fatto, la società andrà in Borsa tra pochi mesi, dopo Fico si prepara a lanciare anche green Pea a Torino, cosa succederà?
Volevo tornare a fare il padre e non il capo dei miei figli, volevo che avessero un manager più bravo di me alla guida dell’azienda. Volevo avere tempo per nuovi progetti. Vogliamo che Eataly sia in ogni capitale del mondo, ce ne sono 198, non so quanto tempo sarà necessario ma lì dovremo arrivare. Quanto ai mercati, è tempo di guardare ad Oriente, siamo vicini ad aprire Eataly in Cina. Di questo ha parlato Andrea Guerra in occasione della presentazione del bilancio del 2017, stiamo cercando il partner migliore, in particolare stiamo trattando per aprire Fico in Cina in franchising con un socio cinese, non abbiamo ancora firmato ma il progetto è a buon punto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Filomena Greco
Da -
http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180720&startpage=1&displaypages=2