PRIMO PIANO 16 GIUGNO 2018 Il Sole 24 Ore
Un unico punto d’approdo e accoglienza fuori dal territorio Ue
L’Unione pensa (anche) a una Ellis Island in Albania
Bruxelles alla ricerca di soluzioni efficaci come l’accordo con la Turchia
La crisi migratoria e la vicenda della nave Aquarius, tuttora in balia delle acque nel Mediterraneo occidentale, hanno preso una tale piega politica da costringere l’establishment comunitario a pensare fuori dagli schemi. Drammaticamente in bilico appare il futuro della cancelliera tedesca Angela Merkel. La crisi politica in Germania sta inducendo a riflettere su nuove possibili soluzioni a tutta prima impensabili, come per esempio l’eventuale creazione di una Ellis Island europea. «La questione dell’immigrazione è ormai una prova decisiva per il futuro e l’unità dell’Europa», ha ammesso questa settimana da Berlino una signora Merkel particolarmente provata. L'emergenza migratoria non sta mettendo a nudo solo le divisioni tra Stati membri. È anche fonte di profonde tensioni nazionali. In Germania, il governo di grande coalizione della cancelliera è alle prese con una grave spaccatura tra democristiani e cristiano-sociali (si veda l'articolo in questa stessa pagina).
L’establishment comunitario sta quindi riflettendo a soluzioni a tutta prima Impensabili. Di passaggio a Bruxelles, il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha citato l’idea di creare campi di rifugiati fuori dall’Unione europea nei quali sistemare le persone in arrivo dall’Africa o dall’Asia. Da Parigi, ieri, il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte ha parlato di «centri europei nei paesi di partenza» da cui gestire gli arrivi.
Un’altra ipotesi è quella di avere in un paese europeo ma fuori dall’Unione una specie di Ellis Island, il luogo di sbarco a New York di milioni di immigrati tra il 1892 e il 1954. Secondo le informazioni raccolte qui a Bruxelles, la Ellis Island europea potrebbe essere gestita dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), in collaborazione con il paese ospite, e avrebbe il compito di accogliere le navi di migranti, suddividendo gli arrivi tra asilanti, migranti economici ed eventuali rimpatri. Addirittura, si parla dell’Albania (il porto di Durazzo?) o della Macedonia, magari facendo leva sul loro desiderio di aderire all’Unione. Alcuni governi si interrogano sulle caratteristiche extra-territoriali e sul rispetto del diritto internazionale; altri temono di infiammare i Balcani; altri infine si chiedono come un ricollocamento verso i Ventotto possa avvenire, mentre molti Paesi sono contrari a forme di redistribuzione. In fondo, il tentativo è di riformare alla radice la gestione del diritto d’asilo che attualmente spetta al Paese di primo sbarco. Le tensioni di oggi ricordano quelle del 2015-2016 quando i Balcani furono attraversati da milioni di profughi provenienti dal Vicino Oriente. Ieri come oggi, si pensa out of the box, come dicono gli inglesi. Allora l’establishment comunitario negoziò con Ankara un’intesa fuori dagli schemi che tuttora prevede il ritorno in Turchia dei migranti irregolari arrivati in Grecia.
La speranza è di trovare una qualche soluzione entro il vertice europeo di fine mese. Non sarà facile. È evidente che in numerosi Paesi è cresciuto il desiderio di usare la mano pesante sul versante migratorio. Tuttavia, le soluzioni che appaiono più efficaci o attraenti sono spesso quelle più drastiche, più radicali, cavalcate dai partiti più nazionalisti. In questo senso, far quadrare il cerchio non sarà facile.
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Beda Romano
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