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« inserito:: Maggio 15, 2018, 05:50:34 pm »

Ecco l’agenda del futuro governo M5S-Lega

Riforma della previdenza e lotta all'illegalità i punti chiave dell’intesa tra Salvini e Di Maio. Più difficile il dialogo sulla politica estera e l’economia, ma l’accordo è totale sulla giustizia

Pubblicato il 10/05/2018

A cura di Paolo Baroni, Francesco Grignetti, Francesca Paci


FISCO 
Flat tax in salita: tasse ai giganti web e regole semplici 

Paolo Baroni 
Salvini dovrà ammainare la flat tax al 15% perchè ai 5 Stelle di favorire i più ricchi non ne vogliono sapere puntando invece ad una riforma progressiva delle aliquote Irpef. Negli abboccamenti delle passate settimane, in parallelo con le aperture leghiste ad un reddito di cittadinanza magari un po’ temperato, i grillini però non chiudevano del tutto le porte ad una tassa piatta, salvo il fatto di prevedere non meglio precisati «meccanismi di progressività». In apparenza una contraddizione in termini se non viene accompagnato da una dettagliata spiegazione di come si intende intervenire su detrazioni e deduzioni. Su tutto il resto però Lega e M5S parlano (quasi) la stessa lingua proponendo nei loro programmi «il ribaltamento del rapporto fisco-cittadino» (con l’inversione dell’onere della prova fiscale) e la semplificazione e la digitalizzazione dei procedimenti e di tutti gli adempimenti. Poi se da un lato entrambi puntano «a far pagare il giusto» alle imprese multinazionali, tassano di giganti di Internet, allo stesso modo entrambi hanno ben chiara la platea di contribuenti che intendono favorire coi loro piani di riforma fiscale: il ceto medio (e quindi anche le piccole imprese) a vantaggio del quale è stata promessa una «maggiore equità nella pressione fiscale». Piena identità di vedute anche sul rischio di aumenti dell’Iva: sia M5S che Lega sono favorevoli a disinnescare al più presto le famigerate salvaguardie. 

IMMIGRAZIONE E SICUREZZA 
Piano di assunzioni per i carabinieri, il nodo espulsioni 

Francesco Grignetti 
Quel che a sinistra è un’eresia, potrebbe essere invece il collante di una maggioranza grillo-leghista: il binomio immigrazione&sicurezza. Al di là della scontata promessa di assumere un congruo numero di nuovi carabinieri e poliziotti, non si contano le esternazioni di Matteo Salvini contro la criminalità straniera e l’immigrazione incontrollata. Ma anche Di Maio si è messo in luce con la campagna sui «taxi del mare», contro le navi umanitarie che raccolgono naufraghi in mare davanti alla Libia. Non è un caso se l’unico ministro uscente che entrambi hanno sempre rispettato è Marco Minniti, l’uomo che ha invertito la china dei flussi dell’immigrazione dall’Africa.

E poi, come dimenticare i propositi battaglieri di Salvini sui seicentomila clandestini da espellere? Ancora qualche giorno fa, quando ancora sperava di andare lui a Palazzo Chigi, scandiva: «Non vedo l’ora di riportare un po’ di ordine in questo Paese: certezza della pena ed espulsione di tutti i criminali, senza se e senza ma!». 

Anche i grillini puntano sulle espulsioni. Era sottinteso quando hanno annunciato che avrebbero assunto migliaia di funzionari di prefettura per velocizzare oltremodo le istruttorie per la richiesta di asilo politico, nel giro di 6 mesi, dopodiché lo sbocco sarebbe il ritorno forzoso di chi s’è visto respinta la domanda.

POLITICA ESTERA 
Resta l’incognita sul dialogo con Mosca o la Nato 

Francesca Paci 
La politica estera è la grande incognita di chi teme che un governo leghista-pentastellato possa portare l’Italia nell’orbita del gruppo dei Paesi di Visegrad, vale a dire su posizioni nazionaliste e di chiusura verso Bruxelles, su rigidi arroccamenti anti migranti e su pericolose aperture alla Orban nei confronti della Russia. 

Il rapporto con il Cremlino è la cartina di tornasole della geopolitica che verrà. Su questo la Lega di Salvini è da sempre adamantina: dialogo con Mosca e fine delle sanzioni. Più altalenante il Movimento 5 Stelle che, dopo essere passato dalla simpatia delle origini per le Pussy Riot al putinismo spinto, ha visto Di Maio impegnarsi in una vera e propria professione di fede atlantista culminata nel discorso del 6 febbraio alla Link Campus University: poca Russia, tanta Nato e l’Europa come «casa». Certo, ieri è tornato a farsi vedere in tv Manlio Di Stefano, il più simpatizzante per il Cremlino e il meno outspoken durante i mesi dei due forni. Ma l’umore è tanto mobile quanto post-ideologico. Specialmente sull’Ue (non a caso oltremodo agitata). Se è vero infatti che in campagna elettorale l’idea del referendum sull’euro era stata del tutto abbandonata da Di Maio e assai ridimensionata da Salvini, gli ultimi giorni hanno registrato un risveglio degli antichi spiriti soprattutto da parte pentastellata, con Beppe Grillo a riesumare il diritto del popolo italiano a pronunciarsi sulla moneta unica. 

REDDITO DI CITTADINANZA 
Progetto ridimensionato: più sostegno alle famiglie e lotta contro la povertà 

Paolo Baroni 
Se Salvini rinuncia alla bandiera della flat tax Di Maio può tranquillamente sfumare il progetto di reddito di cittadinanza. L’importante è dare un sostegno alle famiglie, ai giovani, e ridurre le sacche di povertà che stando anche agli ultimi dati resta pur sempre una grande emergenza del nostro Paese. A Salvini il progetto di Di Maio non convince perchè, per come è strutturato (oltre a costare oltre 30 miliardi di euro, come sostiene il presidente dell’Inps Tito Boeri), si configura con una misura puramente assistenziale. Addirittura il responsabile economico della Lega Armando Siri lo ha definito uno strumento «ontologicamente sbagliato». Anche in questo caso però una mediazione è a portata di mano trasformando rinunciando al brand «reddito di cittadinanza» e puntando magari su un «reddito di inclusione» come quello che la Lega ha già sperimentato in Lombardia. Nello studiare le possibili convergenze sui programmi l’esperto scelto da Di Maio, il professor Giacinto della Cananea si è mantenuto anche in questo caso sul generico suggerendo un più neutro «potenziamento dei sistemi attuali di sostegno al reddito». Di fatto dando ragione a quanti in questi mesi hanno spiegando che un sostegno ai più poveri c’era già , il reddito di inclusione introdotto dal centrosinistra, e che semmai lo si poteva potenziare aumentando gli stanziamenti. Cosa che potrebbe essere fatta abbastanza agevolmente. 

PENSIONI 
Addio legge Fornero: l’obiettivo è scendere ai 65 anni di età 

Paolo Baroni 
Sullo stop alla legge Fornero Lega e 5 Stelle, fin dalla campagna elettorale, parlano la stessa lingua. Entrambe le forze sostengono che la riforma varata dal governo Monti sia troppo penalizzante e pertanto ne propongono l’azzeramento. Sia Salvini che Di Maio la indicano come uno dei capisaldi del programma di un ipotetico nuovo governo, al pari dell’abolizione degli aumenti Iva, di un intervento radicale sulle tasse e di una nuova legge anticorruzione. Nel suo lavoro di confronto tra i vari programmi, propedeutico alla stesura di quel «contratto» che sta tanto a cuore ai 5 Stelle, il professor Giacinto della Cananea però sorvola sul questo argomento, segno che al di là degli slogan finora i due vincitori delle ultime lezioni non sono andati. L’idea di massima dovrebbe essere quella di ritornare alle vecchie regole, prevedendo la Quota 100 (ovvero la somma tra età della pensione e anni di contributi) per tutti i lavoratori, la proroga dell’Opzione donna ed una «quota 41» per i lavoratori precoci. In pratica con 40 anni di contributi si potrebbe lasciare il lavoro già a 60 anni, con 35 si andrebbe a 65, mentre oggi il requisito minimo è fissato a 66 anni e 7 mesi. Secondo alcune stime abolire la legge Fornero costerebbe all’incirca 20 miliardi all’anno, 100 nei 5 anni di legislatura. Difficile immaginare che si possano reperire tanto facilmente coperture alternative, a meno che non si voglia aumentare il deficit sfidando Ue e mercati internazionali. 

PROCESSI E CARCERE 
Leghisti e grillini uniti sul ricorso alle manette facili 

Francesco Grignetti 
La giustizia italiana, così insoddisfacente, così lenta, così tortuosa, torna di continuo nei discorsi di Matteo Salvini come in quelli di Luigi Di Maio. La premessa di entrambi è la necessità di una riforma, così come un investimento in strutture e personale. Già, ma quale riforma? È la storia dell’ultima legislatura a raccontare come leghisti e grillini si siano trovati d’accordo tante volte nel contrastare le leggi del Pd. Il filo comune è una visione molto severa del diritto penale, la chiusura verso scappatoie legali, il ricorso facile alle manette. Non per caso, i grillini pendono dalle labbra di magistrati quali Piercamillo Davigo o Nino Di Matteo, alfieri del pugno duro, in primis contro colletti bianchi e mafiosi. Un cavallo di battaglia è il blocco delle prescrizioni all’avvio dell’azione penale. Oppure il minore ricorso alle pene alternative. E nessuna limitazione alle intercettazioni (anche quelle effettuate con virus informatici). 

Leghisti e grillini sono uniti nella lotta anche contro il nuovo regolamento penitenziario, come predisposto dall’uscente Andrea Orlando, perché lo considerano lassista. Non meraviglia, di contro, che sia la Lega, sia il M5S abbiano in programma un investimento straordinario per costruire nuove carceri. Già il professor Giacinto della Cananea nel suo schema sui programmi comparati aveva segnalato il punto in comune.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/05/10/italia/ecco-lagenda-del-futuro-governo-N1vehIUVqovbCZB0BAaoTI/pagina.html
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