ATTENTI AL LUPO
Almeno tre cose che non sapete sul lupo.
Lo zoologo Boitani smonta i luoghi comuni
FRANCESCO GRIGNETTI
Professor Luigi Boitani, lei è il massimo esperto di lupi in Italia. Cominciamo a demolire qualche balla?
«La più estesa e persistente, assolutamente falsa, è la storia che il lupo sia stato reintrodotto dall’uomo. La sento ripetere da anni, dalla Calabria alle Alpi. Non è vero. Mai successo in Italia, e mai in Europa. Il lupo, se ci sono le condizioni, si riproduce e i giovani poi viaggiano, trotterellando come un cane anche su lunghe distanze. Abbiamo molti dati che lo confermano. Un lupo della popolazione alpina è andato a morire vicino Bonn, in Germania. Una coppia di lupi italiani si è installata nei Pirenei, dietro Barcellona; i due hanno attraversato tutta la Francia meridionale chissà come, attraversando strade e ferrovie. Un altro lupo è partito da Parma, dove gli era stato messo un radio collare, ha fatto 1300 chilometri, è arrivato a Nizza, quindi è tornato indietro ed è morto ucciso da altri lupi in Piemonte. Questo è un secondo luogo comune: che i lupi vivano solo sui monti. No, i lupi che seguiamo con i radio collari vengono regolarmente alle porte dei centri abitati, la notte si aggirano fuori Grosseto come a Sulmona o Avezzano. I lupi stanno spesso tra noi, ma ce ne accorgiamo solo quando nevica e vediamo le impronte».
Si dice: è una razza misteriosa di cui voi scienziati non sapete niente.
«Falso anche questo. Il lupo è una delle specie animali più studiate. Sappiamo che erano sull’orlo dell’estinzione e ora non più. A fine Anni Settanta sopravvivevano a malapena 100-200 lupi in tutto l’Appennino. Dopo anni di protezione legale, complici una serie di fattori tra cui lo spopolamento delle montagne, lo sviluppo dei boschi, la ricchissima disponibilità di prede, dato che l’Italia è strapiena di animali selvatici, siamo passati a una popolazione che stimiamo tra i 1000 e i 2000 esemplari. Sono diffusi su tutto l’Appennino e il pre-Appennino, in espansione anche sulle Alpi. Può sembrare una forchetta eccessiva della stima, ma così non è. I lupi non si contano come cioccolatini nella scatola. Per essere più precisi, dovremmo passare a metodi di studio che hanno costi astronomici e poco senso. Il punto è che la conservazione del lupo è stata una storia di successo; ora si tratta di gestire la fase della coesistenza».
È un altro luogo comune anche quello di chi si ostina a non voler vedere i numeri?
«Sì, è un po’ troppo facile arroccarsi su posizioni intransigenti quando si sta nel proprio salotto in città. Altro è convivere con i lupi, specie se si ha il bestiame. Io capisco il conflitto. Dico che va gestito in maniera razionale».
Ecco, il conflitto. Parliamone.
«Paradossalmente, proprio ora che abbiamo vinto la sfida per la conservazione della specie, si apre la fase più difficile. Dobbiamo assolutamente proteggere una popolazione sana e vitale di lupi, ma dobbiamo anche porci il problema di come farla coesistere con 60 milioni di cristiani e con l’allevamento di ovini e bovini. Visto che la popolazione di lupi è in aumento, qualche domanda è d’obbligo: quanti ne vogliamo? Dove? Lasciamo fare solo alla natura o interveniamo?».
Domande scomode. Che peraltro suscitano risposte radicali di qua e di là.
«Ci provo io, allora. Punto primo, non negoziabile: la specie è protetta, è un principio sia etico che legale. La stessa Direttiva europea Habitat fissa il principio che gli Stati devono garantire l’esistenza di popolazioni di lupi che siano sane e vitali. Raggiunto quel traguardo, si può discutere di come meglio gestire il compromesso necessario alla coesistenza».
Intende gli abbattimenti controllati?
«Intendo una strategia complessiva e condivisa per l’intero territorio nazionale che usi tutte le conoscenze e gli strumenti disponibili. La rimozione in deroga alla protezione è una opzione prevista dalla direttiva Habitat, ma non è certo una soluzione per gestire una popolazione di lupi. È attuabile con molte difficili condizioni e solo su singoli individui di lupo in rare situazioni di conflitto. Oggi in italia nessuna amministrazione pubblica sarebbe in grado di rispettare quelle condizioni. Intanto in Italia lasciamo fare ipocritamente ai bracconieri. Ma il bracconaggio non soltanto è un crimine, è anche un intervento tecnicamente inaccettabile. Il bracconiere uccide quando e dove può, spesso con i micidiali bocconi avvelenati, non sulla base di un progetto tecnico».
Quale dovrebbe essere, dunque, una strategia razionale di coesistenza con il lupo nel Terzo Millennio?
«Basandosi su tre pilastri: la prevenzione, il risarcimento del danno e anche, se ritenuta utile, l’eventuale rimozione di qualche esemplare eseguita in maniera chirurgica in ben definite condizioni. La prevenzione è lo strumento principe e, su questo, noi italiani siamo stati e siamo ancora maestri nel mondo. Il cane da pastore maremmano-abruzzese è una razza eccezionale, risalente a epoca pre-romana, perfetto per contrastare gli attacchi se gestito bene con la presenza del pastore. Si pensi che gli Stati Uniti, dove il problema principale degli allevamenti è rappresentato dal coyote e non dal lupo, hanno dapprima importato massicciamente i nostri cani maremmano-abruzzese e ora li allevano. Il risarcimento del danno è una seconda misura indispensabile per alleviare le tensioni sociali. Infine il prelievo: i “lupari” da noi ci sono sempre stati; in genere erano pastori che intervenivano quando i conflitti locali diventavano eccessivi».
Il problema della prevenzione è che si chiede agli allevatori un gravoso ritorno alle origini, non trova?
«Come dicevo prima, è facile dire loro che devono vivere giorno e notte con il bestiame mentre noi siamo al caldo in città. Nelle Alpi, dove l’ultimo lupo fu ucciso nel 1921, la zootecnia si è evoluta. Ed è considerato normale, nella bella stagione, il pascolo brado. È tanto se l’allevatore dà un’occhiata alle bestie una volta ogni 15 giorni. Ma è anche vero che tutto il comparto zootecnico italiano è in profonda sofferenza per motivi ben maggiori del lupo e sopravvive anche grazie al sostegno economico di tutta la società».
Molte Regioni e parchi stanno aiutando i pastori a installare recinzioni adeguate. A Grosseto, chi lo ha fatto, almeno la notte ha risultati eccellenti.
«Sicuro. I recinti elettrici funzionano benissimo per aree piccole e comunque guardate da cani e dal pastore. Con i pastori sardi che hanno colonizzato la Toscana meridionale, c’è poi un problema culturale: non hanno la memoria ancestrale del lupo».
Quando lei insiste sulla necessità di salvaguardare una comunità sana e vitale allude al problema dell’ibridazione tra cane e lupo? Ovvero non soltanto quanti, ma anche quali lupi vogliamo proteggere?
«L’ibridazione è un problema drammatico, assolutamente sottovalutato. Anche la Commissione europea si è espressa sostenendo che gli ibridi vadano eliminati perché mettono in pericolo l’identità genetica della specie. Purtroppo in alcune aree appenniniche, sono ibridi anche il 30-40% degli esemplari ed è una realtà di non-ritorno. Ma è un’altra balla che gli ibridi siano più aggressivi del lupo, che attacchino di giorno e che siano più pericolosi per l’uomo. Se una lupa solitaria in calore incontra un cane maschio vagante, si accoppia. Abbiamo un filmato eccezionale, ripreso nel Vulture, in Basilicata, di una lupa in calore con un lupo e due cani al seguito. Ma qui dovremmo ora parlare di randagismo, ed è un altro problema immenso…».
Da -
http://www.origamisettimanale.it/2017/11/22/speciali/origami/linalienabile-diritto-di-essere-lupo-PP5FEJdOjRhubPZvg8BTIJ/pagina.html