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Autore Discussione: VINCENZO NIGRO. L'Iraq dopo Kirkuk riprende anche Sinjar ai curdi.  (Letto 2425 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Ottobre 18, 2017, 07:16:47 pm »

L'Iraq dopo Kirkuk riprende anche Sinjar ai curdi.
Trump: "Noi non siamo con nessuno"

L'avanzata dell'esercito federale e delle milizie nel Kurdistan.
Ripresi anche i pozzi di petrolio: minata l'autonomia del governo regionale che ha promosso il referendum per l'indipendenza

Di VINCENZO NIGRO
17 ottobre 2017

ROMA - L'esercito federale iracheno e le milizie sciite di Hashad al Shaabi (mobilitazione popolare) continuano l'avanzata nei territori del nord dell'Iraq che da mesi erano sotto controllo dei peshmerga curdi. All'alba le milizie curde si sono ritirate da Sinjar, la città yazida che era stata liberata dai curdi dopo mesi di occupazione da parte dello Stato Islamico. Masloum Shingali, il comandante di una milizia yazida locale, ha detto che i soldati curdi hanno lasciato la città prima dell'alba e che poche ore più tardi sono arrivate la milizie sciite che combattono per il governo di Bagdad.

Il sindaco della città, Mahma Khalil, dice che ormai Sinjar è sotto il controllo delle forze del governo federale, e che non ci sono stati combattimenti, quasi ci fosse stata un'intesa fra i Peshmerga e le forze di Bagdad.

L'offensiva del governo federale iracheno è iniziata nella notte di sabato innanzitutto contro Kirkuk, la grande città a 250 chilometri a nord di Bagdad che era stata occupata dai curdi, ma non fa parte della regione amministrativa del Kurdistan con popolazione curda, ma è abitata soprattutto da arabi e turcomanni. Liberata Kirkuk, le milizie dell'esercito popolare e quelle di "mobilitazione popolare" sciite hanno occupato anche tutti i maggiori campi petroliferi della zona: la tv di Bagdad sostiene che sono stati ripresi i pozzi di Havana e Bai Hassan, ad ovest di Kirkuk, dopo avere conquistato lunedì quelli di Baba Gurgur, a est.

A questo punto il governo di Bagdad avrebbe il controllo di circa 400mila dei 600mila barili di petrolio al giorno estratti nella regione del Kurdistan. Significa che il Krg, il Kurdistan regional government (che ha promosso il referendum per l'indipendenza) di fatto non ha più le risorse per mantenere la sua autonomia, e che quindi a parte la perdita di un territorio importante come quello di Kirkuk, l'autonomia sarebbe stata di fatto ridimensionata economicamente.
 
Nella notte per la prima volta il presidente americano Donald Trump ha commentato l'offensiva di Bagdad in Kurdistan: "Gli Stati Uniti non prenderanno posizione a favore dell'uno o dell'altro. Da molti anni abbiamo una relazione molto buona con i curdi e siamo anche stati dalla parte dell'Iraq, pur se non avremmo mai dovuto essere lì", dice Trump, che in passato aveva criticato l'intervento militare americano in Iraq.

Una portavoce del Dipartimento di Stato dice che Washington "è molto preoccupata per le notizie della violenza intorno a Kirkuk: sosteniamo l'esercizio pacifico dell'amministrazione congiuntamente da parte del governo centrale e del governo regionale, coerentemente con la costituzione irachena, in tutte le aree contese".
 
Gli Usa temono che lo scontro possa destabilizzare la coalizione che sta combattendo contro lo Stato islamico. Ma alcuni elementi lasciano pensare che le operazioni in Kurdistan non dovrebbero interferire in maniera negativa con l'offensiva contro lo Stato Islamico: innanzitutto il fatto che le aree ancora occupate dai terroristi del Califfato si sono molto ridotte, e che lo sforzo militare terrestre iracheno potrà essere molto più concentrato. Fra l'altro l'esercito iracheno e le milizie sciite in questi ultimi mesi hanno avuto modo di consolidarsi e rafforzarsi dopo le operazioni iniziali avviate con il sostegno degli Stati Uniti e dell'Iran che a terra ha sostenuto e organizzato soprattutto Hashad al Shaabi.
 
La provincia di Kirkuk, il cui capoluogo omonimo è situato 250 chilometri a nord-est di Bagdad e conta circa un milione di abitanti, è stata al centro di influenze e interessi contrastanti da quando, nel 1927, i britannici vi scoprirono il petrolio. Durante l'era del deposto e defunto presidente iracheno Saddam Hussein l'area era stata sottoposta a un processo di 'arabizzazione forzata, come molte altre aree miste dell'Iraq.
Ma nel 2014, quando l'esercito federale abbandonò il nord del Paese di fronte all'avanzata dei jihadisti dell'Isis, le forze della vicina regione autonoma del Kurdistan occuparono la città e i siti petroliferi più importanti.

Da allora Kirkuk è rimasta sotto il controllo dei Peshmerga, e le autorità del Kurdistan avevano avviato un lento processo di integrazione che ha comportato la diffusione della lingua curda e la nomina di rappresentanti di questa etnia in posti chiave dell'amministrazione, compresa la polizia.

A Kirkuk vivono 850 mila abitanti, di cui un terzo curdi e un venti per cento turcomanni; nella sua area vengono estratti ogni giorno 400.000 barili di petrolio, quasi il 70% dei 600.000 che Erbil invia fino al terminal turco sul Mediterraneo di Cehyan, sbocco dell'oleodotto che parte proprio da Kirkuk. La crisi è precipitata con il referendum del 25 settembre per l'indipendenza voluto dal presidente del Governo regionale del Kurdistan, Massoud Barzani

© Riproduzione riservata 17 ottobre 2017

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2017/10/17/news/iraq_kurdistan_avanzata_kirkuk_sinjar_curdi_trump-178520618/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S2.4-T1
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 25, 2017, 06:05:11 pm »

Egitto, Sinai: il nuovo Afghanistan alle porte dell'Europa
Lo Stato egiziano deve affrontare due gruppi terroristici di primissima grandezza in rivalità fra di loro. Nella penisola che arriva fino ai confini di Israele è esploso lo scontro fra al-Qaeda e una milizia che fa riferimento all'Islamic State e che starebbe accogliendo i combattenti in fuga da Siria e Iraq

Di VINCENZO NIGRO
24 novembre 2017

IL SINAI, il grande deserto egiziano, si è trasformato ormai nel nuovo Afghanistan alle porte dell'Europa. Soltanto giovedì, intervenendo davanti al parlamento egiziano, il ministro degli Interni Magdy Abdel Ghaffar aveva rassicurato: "La situazione della sicurezza nel Sinai è stabile, i cittadini che vivono nella penisola adesso sono più sicuri, stiamo riorganizzando la presenza della polizia e dell'esercito".

Ai deputati Ghaffar aveva perfino annunciato che 3 membri dei Fratelli Musulmani erano stati appena uccisi durante un'operazione di sicurezza della polizia, mentre altri 9 sono stati arrestati.

Ma nel Sinai i Fratelli sono i "terroristi" sbagliati, o forse non sono neppure terroristi, ma soltanto oppositori che il governo tratta da jihadisti per ragioni politiche. Nella penisola Sinai lo Stato egiziano ormai da anni è in difficoltà sempre maggiori perché deve affrontare non uno ma almeno due gruppi terroristici di primissima grandezza in rivalità fra di loro. Nella penisola che arriva fino ai confini di Israele è esploso lo scontro fra al-Qaeda e una milizia che fa riferimento all'Islamic State e che starebbe accogliendo i combattenti in fuga dal teatro siriano ed iracheno

Nelle scorse settimane il capo terrorista Abu Muhammad Al-Salafi Al-Sinawi, un jihadista che segue la corrente fondata da Osama bin Laden, ha lanciato la sua sfida all'Islamic State con un messaggio tv. Il titolo del messaggio è La verità sul Kharigismo di al-Baghdadi nel Sinai. Il "karigismo" era una branca dell'Islam che si distaccò dall'ortodossia ai tempi del quarto califfo, e da allora il movimento, la parola stessa, sono diventati sinonimo di eresia, di dissidenza da stroncare anche con la violenza.

Per questo l'uomo di al-Qaeda nel Sinai ha accusato i seguaci dell'Isis soprattutto di una cosa: di aver attaccato altri musulmani nel Sinai, non solo di azioni contro il comune nemico rappresentato dal regime egiziano.

Secondo gli analisti il messaggio di Al Sinawi (l'uomo del Sinai) formalizza uno scontro che ormai era sotto gli occhi di tutti da quando l'Isis ha provato a passare nella penisola. Aqsp (Al Qaeda nella Penisola del Sinai) si è trovata di fronte allo stesso scenario che sta fronteggiando Al Qaeda in Afghanistan insieme ai talebani, ovvero l'ingresso di una nuova formazione terroristica islamista che cerca uno spazio vitale sul territorio di uno stato musulmano incapace di controllare il territorio come quello egiziano.

Per tornare alla capacità dell'esercito e della polizia del Cairo di controllare il terrorismo nel deserto, soltanto un mese fa il presidente Abdel Fatah el Sisi era stato costretto a reagire al più sanguinoso assalto mai condotto dai terroristi contro la polizia egiziana. In un'imboscata a Ovest del Cairo, quindi nel deserto occidentale, un gruppo islamista era riuscito ad uccidere 80 poliziotti, fra cui almeno 2 generali e alcuni colonnelli. Sisi aveva reagito ordinando la sostituzione del capo di stato maggiore della Difesa, il generale Mohammed Farid Hegazy, che tra l'altro è suo consuocero, e promuovendo il generale Mahmoud Hegazy (i due non sono parenti).

© Riproduzione riservata 24 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2017/11/24/news/sinai_egitto_analisi-182012549/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P8-S1.8-T2
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