LA-U dell'OLIVO
Novembre 23, 2024, 07:55:11 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: STEFANO BARTEZZAGHI. L'eterno dilemma di Matteo il rottamatore alla battaglia...  (Letto 2534 volte)
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« inserito:: Novembre 18, 2017, 05:42:40 pm »

- 4 giorni alla nuova Repubblica.

L'eterno dilemma di Matteo il rottamatore alla battaglia finale- 4 giorni alla nuova Repubblica. L'eterno dilemma di Matteo il rottamatore alla battaglia finale
E' un vero e proprio ritratto dell'Italia e del Mondo quello che emerge dalla campagna pubblicitaria che lancia la nuova Repubblica: il ritratto di un Paese bifronte, sospeso in un tempo indefinito, prigioniero dell'eterno ritorno del passato; guidato da partiti nati per unire e che invece sono più lacerati che mai; tentato da facili scorciatoie populiste; incerto davanti a diritti che dovrebbero essere fondamentali e che invece sono ancora assenti. Ma in una realtà sempre più complessa c'è sempre una possibilità di scelta, c'è sempre un bivio di fronte al quale il cittadino può decidere: quale strada imboccherà dipenderà dalla sua storia, dai suoi valori e soprattutto dalla conoscenza. Il primo atto per scegliere, dunque, è scegliere il giornale che sappia informarlo con libertà, accuratezza, spregiudicatezza. Un giornale tutto nuovo, come Repubblica in edicola dal 22 novembre. Stefano Bartezzaghi racconta una delle foto scelte per il lancio: Renzi, unire o dividere?

Di STEFANO BARTEZZAGHI
18 novembre 2017

Unire o dividere? Qualcosa vorrà pur dire se, nella retorica corrente, chi divide viene detto «divisivo», quando invece chi unisce non viene affatto chiamato «unitivo». Non è che uno dei due aggettivi sia «bello» e l’altro «brutto»: oltretutto, chi potrebbe deciderlo? È che «Unità» sarà anche stato un valore in passato, ma a tutt’oggi è un ricordo imbarazzante per gli eredi del Partito Comunista Italiano (che essendo nato da una storica Scissione, intitolò all’«Unità» il suo organo di stampa, poiché la lingua batte sempre dove il dente duole).

Per non parlare dell’«Unione», l’aggregazione che riportò Romano Prodi al successo nel 2006 per poi disgregarsi due anni dopo. In ogni «sforzo unitario» delle Sinistre o di centrosinistra muniti o meno di trattino, lo «sforzo», con la relativa fatica, è sempre sembrato più decisivo e molto meno provvisorio dell’esito «unitario».

Se chi divide è divisivo, la retorica corrente un aggettivo lo prevede anche per chi unisce, in realtà. Questo aggettivo è: «inclusivo», ciò che se possibile sembra ancora più sinistro (nel senso orrendo). Un’inclusione è un conglobamento, un’ingestione: tu mi hai provocato e io ti mangio.

Forse uno dei meriti del primo Renzi è stato proprio quello di porsi come nettamente divisivo. A questo mondo si fa successo così: proclamando la propria differenza, rendendo necessarie scelte di campo — o di qui o di là — , con modi la cui crudeltà è un necessario effetto collaterale della nettezza. Se la chiamate «divisione», pare una brutta cosa. Se la chiamate «discontinuità» va invece molto meglio: è tracciare la linea di un disegno, la distinzione tra una figura e il suo sfondo, il contorno di un carattere e di un’identità, l’implicita promessa del «nuovo». La discontinuità avviene però sul piano temporale: è il voltare pagina, il cambiare musica.

La divisione è invece un fenomeno del presente, come dire che il problema sorge quando l’operazione ha successo e da lì in poi non bisogna più distinguersi da quelli di prima bensì dagli altri di adesso. È molto difficile farlo senza perderli. Allora ci si propone come «inclusivi», ma è inevitabile il sospetto di volerli fagocitare.

Nel 2013, quando la sua ascesa al vertice del Pd sembrava ormai ineluttabile (infatti avvenne), Matteo Renzi pubblicò un libro intitolato Oltre la rottamazione (Mondadori, 2013). C’era da chiedersi se «oltre» significasse un superamento e un cambio di rotta o piuttosto un accanimento; rispetto a una semplice rottamazione, qualcosa di diverso o al contrario qualcosa di più. Era la seconda opzione quella che parve rivelarsi dominante, almeno a giudicare da certe scelte comunicative che arrivarono subito: i famosi «gufi», i famosi «rosiconi», per non parlare dei «professoroni» e del correlativo «non accettare lezioni da nessuno». Di conseguenza, tutti a parlare della persona (a partire dall’interessato) e del suo carattere: dinamico e antipatico, comunicativo e opaco, scostante e attrattivo. Le persone, si sa, sono contraddittorie.

Lo stesso Enrico Berlinguer fu aperto e chiuso, popolare e inarrivabile, radicale e moderato, avanzato e timoroso. Ma Berlinguer tenne unito il suo partito. Renzi no. Forse voleva e non ce l’ha fatta, forse erano gli altri che non volevano ce la facesse, forse al mondo d’oggi all’ecumenismo è sempre preferibile quella forma di chiarezza apparente che è l’assertività. Ditemi sì o ditemi no (anche se furono proprio i referendum a decidere le sorti politiche di personalità dai nomi di Fanfani, Berlinguer, Craxi). In definitiva non si può escludere che dividere, anziché unire, sia stato inevitabile. Ma certamente attribuire gli aggettivi «divisivo» e «inclusivo» alle persone anziché alle proposte, alle scelte e in una parola alla politica è il modo giusto per uscirne, dalla politica, ed entrare direttamente nello show.

La disinvoltura con cui la sinistra e i suoi paraggi, parlando genericamente, non avvertono questo rischio è più che sintomatico: pensano forse che siano i loro cognomi — Renzi, Minniti, Delrio, Bersani, Fassino, Orlando, Franceschini, Speranza, Gentiloni — a poter unire alcunché? Nomina nuda tenemus, e basta la parola? Delle recenti elezioni siciliane, almeno stando fuori dalla Sicilia, ha per esempio impressionato soprattutto un dato: non potersi ricordare neppure una proposta, un’idea, una linea di governo, un motivo per votare l’uno più convintamente dell’altro.

Se alla politica-spettacolo lo show conviene ed è anzi necessario, allora bisogna decidere preliminarmente se costruire lo show sulla convinzione nelle scelte oppure operare le scelte a partire dall’efficacia dello show. A memoria d’uomo, la seconda strategia è venuta sempre meglio alla Destra, dove la forma di unità può essere il karaoke, e le stonature si coprono. La Sinistra è stata finora divisa sulle scelte, senza le quali non esiste. Ancor prima di chi le ha fatte, il problema è stato, ed è, questo.

© Riproduzione riservata 18 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/18/news/-_4_giorni_alla_nuova_repubblica_l_eterno_dilemma_di_matteo_il_rottamatore_alla_battaglia_finale-181399673/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P8-S1.8-T1
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!