LA-U dell'OLIVO
Novembre 25, 2024, 08:20:24 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Sergio MATTARELLA.  (Letto 10513 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Gennaio 30, 2015, 05:00:31 pm »

Politico, uomo di governo, giudice della Consulta: chi è Sergio Mattarella

29 gennaio 2015

Palermitano, classe 1941 (compirà 74 anni il prossimo 23 luglio), il giudice della Corte costituzionale Sergio Mattarella è da poche ore il candidato ufficiale del Pd per la carica di presidente della Repubblica. Avvocato e professore universitario, Mattarella appartiene ad una famiglia di solida tradizione democristiana: il padre, Bernardo, è stato più volte ministro nella Prima Repubblica; suo fratello Piersanti, presidente della Regione Sicilia, è stato ucciso dalla mafia nel 1980.

Le dimissioni da ministro contro la legge Mammì
Nel suo curriculum politico anche delle dimissioni “pesanti”: nel 1990, ministro della Pubblica istruzione nel IV governo Andreotti, lasciò l'incarico (con altri colleghi di corrente) in polemica con il via libera alla legge Mammi, la disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato che ha confermato il ruolo di Berlusconi nell'assetto del sistema televisivo italiano.

Il ruolo centrale in Dc, Popolari, Ulivo e Pd
Di primo piano anche il suo ruolo nella Dc, culminata nell'elezione a vicesegretario del partito (1990-1992) e la direzione del “Popolo”, organo del partito. Mattarella, esponente di primo piano della cosiddetta sinistra democristiana, figura tra i fondatori dell'Ulivo di Romano Prodi e, prima ancora, del Partito popolare. Poi l'approdo al Partito democratico, che lo vede tra gli estensori del manifesto fondativo con Veltroni, nel 2007.

Il Mattarellum, la legge elettorale che porta il suo nome
Continuamente citata, nel corso dell'attuale stagione di riforme, anche la legge elettorale in senso maggioritario di cui fu relatore e che porta il suo nome (Mattarellum). Il “sistema Mattarella” è molto semplice: il 75 percento dei seggi parlamentari assegnati con il sistema maggioritario, il 25 con il proporzionale. Il massimo della governabilità possibile con il massino della garanzia di rappresentanza di tutte le forze politiche in Parlamento.

Gli incarichi di governo: vicepremier e ministro
Tra i molti incarichi di governo assunti in 25 anni di carriera politica (la sua prima elezione alla Camera dei Deputati, dove siederà ininterrottamente fino al 2008, risale al 1983), anche la vicepresidenza del Consiglio (con Massimo D'Alema premier), e la guida del ministero della Difesa. Durante quest'ultimo incarico abolì la leva obbligatoria, aprendo la strada al nuovo servizio civile. In elenco anche la cura e dei Rapporti con il Parlamento nel governo Goria (1987) e nell'esecutivo De Mita (1988). Da registrare anche la presenza di Mattarella nelle due commissioni bicamerali per le riforme costituzionali del 1992 (con la presidenza De Mita-Iotti) e nel 1996 (presidenza D'Alema).

L’addio alla politica attiva e la nomina alla Consulta
Nell'aprile del 2008 Mattarella ha quindi lasciato la vita politica attiva. E il 5 ottobre 2011 è stato eletto giudice della Corte costituzionale dal Parlamento riunito in seduta comune. Gli attriti maturati più volte con il centrodestra in generale e il leader di Forza Italia in particolare spiegano l'avversità di Forza Italia per la sua candidatura al Colle, vissuta come una provocazione di Renzi e del Pd.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-01-29/politico-uomo-governo-giudice-consulta-chi-e-sergio-mattarella-163256.shtml
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Gennaio 30, 2015, 05:07:21 pm »

CONSULTAZIONI PER IL QUIRINALE

Mattarella, l’ex Dc che si scontrò con Berlusconi sulla legge Mammì
Ministro della Prima Repubblica, è tornato nel governo con D’Alema.
Fondatore del Partito Popolare e dell’Ulivo ha «prestato» il nome alla legge elettorale «Mattarellum»

Di Paolo Conti

Sergio Mattarella, palermitano, classe 1941 è famoso tra i colleghi politici e gli amici per il suo carattere freddo e distaccato. Forse per questa caratteristica umana ha attraversato molti mari politici e istituzionali senza mai un’alterazione o uno scatto di nervi. Democristiano di tradizione familiare (suo padre era Bernardo, più volte ministro nella Prima Repubblica, e suo fratello era Piersanti, presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia nel 1980) ha il primo scontro diretto con Silvio Berlusconi dimettendosi da ministro della Pubblica istruzione nel 1990 (VI governo Andreotti) per protestare contro la legge Mammì, di fatto il via libera all’impero dell’allora Fininvest.

È considerato uno dei veri fondatori dell’Ulivo di Romano Prodi e, prima ancora, del Partito Popolare. Ha diretto anche «Il Popolo» tra il 1992 e il 1994 e nel 1993 ha legato il suo nome alla riforma della legge elettorale in senso maggioritario, nota con l’appellativo «Mattarellum» inventato da Giovanni Sartori sul Corriere della Sera. Con Massimo D’Alema a Palazzo Chigi è prima vicepresidente del Consiglio e poi ministro della Difesa. Un altro scontro con Berlusconi risale all’ammissione di Forza Italia nel Partito Popolare Europeo, per Mattarella «un incubo irrazionale». Dall’aprile 2008 esce dalla scena politica attiva, concludendo il suo mandato parlamentare. E il 5 ottobre 2011 viene eletto giudice della Corte costituzionale dal Parlamento riunito in seduta comune.

28 gennaio 2015 | 19:51
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2015/elezioni-presidente-repubblica/notizie/mattarella-quegli-scontri-diretti-berlusconi-legge-mammi-057a04ba-a71b-11e4-93fc-9b9679dd4aa0.shtml
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #2 inserito:: Gennaio 30, 2015, 05:09:34 pm »

Elezione del Presidente della Repubblica

Sergio Mattarella: dalla morte di Piersanti al no sulla Mammì, una carriera con la schiena dritta
Modi felpati e principi inviolabili, a Montecitorio lo conoscono in pochi.
De Mita lo mandò in Sicilia a bonificare la Dc di Lima.
Dopo il Mattarellum sostenne Prodi e l'Ulivo.
Più volte ministro, fu vicepremier di D'Alema.
È tra i fondatori del Pd

Di SEBASTIANO MESSINA
29 gennaio 2015

"Mattarella? Ma se lei va a domandare ai deputati chi è, le risponderanno: chi, il cugino dell'onorevole Mattarellum?". Forse ha ragione Pino Pisicchio, che conosce bene i suoi colleghi parlamentari: a Montecitorio lo conoscono in pochi, l'uomo che potrebbe diventare il dodicesimo presidente della Repubblica.

Perché in Transatlantico lui non si fa vedere da sette anni, e da allora qui dentro è cambiato quasi tutto: a cominciare dalle facce dei deputati. Però si fa presto a descriverlo. Avete presente Renzi? Bene, Sergio Mattarella è il suo esatto contrario. E' uno che ama il grigio, evita le telecamere, parla a bassa voce e coltiva le virtù della pacatezza, dell'equilibrio e della prudenza.

"In confronto a lui, Arnaldo Forlani è un movimentista" disse una volta Ciriaco De Mita, che lo conosce meglio di tutti perché 28 anni fa lo nominò ministro. Ma proprio De Mita sa che sotto quel vestito grigio e dietro quei modi felpati c'è un uomo con la schiena dritta, un hombre vertical capace di discutere giorni interi per trovare un compromesso con l'avversario, ma anche di diventare irremovibile se deve difendere un principio, una regola o un imperativo morale.

Come fece la sera del 26 luglio 1990, quando -  con un gesto che ancora oggi Berlusconi ricorda -  si dimise da ministro della Pubblica Istruzione perché Andreotti aveva posto la fiducia sulla legge Mammì, quella che sanava definitivamente le tre reti televisive del Cavaliere. Si dimisero in cinque (c'erano anche Martinazzoli, Fracanzani, Misasi e Mannino) ma fu lui a spiegare quel gesto di rottura senza precedenti, e lo fece a bassa voce e senza usare un solo aggettivo polemico: "Riteniamo che porre la fiducia per violare una direttiva comunitaria sia, in linea di principio, inammissibile...".

Poi, quella sera, incrociò Martinazzoli e gli chiese: "Hai consegnato la lettera di dimissioni?". "Certo, l'ho appena fatto". "E hai fatto una fotocopia?". "No, perché?". "Perché Andreotti è capace di mangiarsela, la tua lettera, pur di farla scomparire...".

Nato settantaquattro anni fa a Palermo, figlio di Bernardo che era stato ministro, deputato e potente democristiano in Sicilia, Sergio Mattarella voleva fare il professore di diritto pubblico. L'eredità politica del padre era stata raccolta dal fratello maggiore, Piersanti, che era rapidamente arrivato alla poltrona più potente dell'isola: la presidenza della Regione.

Ma quando la mafia capì che quel politico quarantacinquenne non si sarebbe piegato alle sue regole, decise di toglierlo di mezzo con il piombo di una pistola. Sergio vide morire il fratello tra le sue braccia -  era il 6 gennaio 1980 -  e fu forse in quel momento che fece la sua scelta: avrebbe fatto politica per non darla vinta a chi aveva ordinato l'assassinio.

Così tre anni dopo fu eletto deputato (in quota Zaccagnini), e l'anno dopo De Mita -  diventato segretario -  scelse proprio lui come plenipotenziario del partito in Sicilia. La missione era chiara: doveva bonificare la Dc di Lima e Ciancimino. La mossa di Mattarella arrivò quando si trattò di scegliere il nuovo sindaco di Palermo. Lui scelse, e riuscì a far eleggere, un giovane professore che era stato tra i consiglieri del fratello: Leoluca Orlando.

Poi De Mita, quando arrivò a Palazzo Chigi, lo richiamò a Roma. Ministro dei Rapporti col Parlamento. Andreotti lo nominò alla Pubblica Istruzione, e finì come sappiamo. Mattarella tornò a fare il deputato. Ripensarono a lui quando si trattò di riscrivere la legge elettorale per adeguarla all'esito del referendum di Mario Segni.

Così nacque quell'incastro tra collegi uninominali e quote proporzionali che fu poi battezzato da Giovanni Sartori con il nome del suo autore: Mattarellum. Il destino volle che fosse proprio quella legge, sotto il ciclone di Tangentopoli, a far crollare il partito di Mattarella, la Dc. Ma lui fu uno dei pochi che sopravvissero alla Prima Repubblica, perché l'unica macchia che erano riusciti a trovargli era una vecchia storia di buoni benzina regalatigli da un costruttore siciliano (assoluzione piena, "il fatto non sussiste").

Nel Partito popolare che prende il posto della Dc, Mattarella fu uno degli oppositori della linea filo-berlusconiana di Buttiglione ("Vuole uccidere il partito" disse) e anche uno dei sottoscrittori della candidatura a premier di Romano Prodi, schierando il partito con il centro-sinistra. Poi vennero l'Ulivo, la Margherita e infine il Partito democratico, del quale Mattarella scrisse (con Pietro Scoppola e altri quattro) il manifesto fondativo.

Non fu Prodi però a farlo tornare al governo, ma Massimo D'Alema. A Mattarella toccava la guida del gruppo dei ministri del Ppi, e dunque la vicepresidenza del Consiglio. Poi arrivò anche il ministero: la Difesa. E lui realizzò l'impresa che non era riuscita a nessuno dei suoi predecessori: l'abolizione della naja, il servizio militare obbligatorio. Restò anche con il governo Amato, poi lasciò il governo e, nel 2008, anche il Parlamento. Che però si è ricordato di lui quando, quattro anni fa, bisognava trovare il nome di un giudice costituzionale che avesse un ampio consenso. E lui fu eletto. Sembrava che non ce l'avesse fatta, che avesse mancato il quorum per un solo voto, ma quando le schede furono ricontate si scoprì che quel voto in più c'era. Era il 5 ottobre 2011. Dopo tre anni e quattro mesi, si voterà ancora una volta sul suo nome. E lui non sarà il solo ad aspettare lo spoglio con il fiato sospeso.

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-repubblica-edizione2015/2015/01/29/news/sergio_mattarella_dalla_morte_di_piersanti_al_no_sulla_mamm_una_carriera_con_la_schiena_dritta-106032107/?ref=HREA-1
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #3 inserito:: Febbraio 07, 2015, 10:13:53 am »

Il neo Capo dello Stato

Mattarella, ecco il discorso integrale di insediamento del Presidente

Il discorso integrale pronunciato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la cerimonia di insediamento a Montecitorio

Di Redazione Online

Signora Presidente della Camera dei Deputati, Signora Vice Presidente del Senato, Signori Parlamentari e Delegati regionali,

Rivolgo un saluto rispettoso a questa assemblea, ai parlamentari che interpretano la sovranità del nostro popolo e le danno voce e alle Regioni qui rappresentate. Ringrazio la Presidente Laura Boldrini e la Vice Presidente Valeria Fedeli. Ringrazio tutti coloro che hanno preso parte al voto.
 
Un pensiero deferente ai miei predecessori, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, che hanno svolto la loro funzione con impegno e dedizione esemplari.

A loro va l’affettuosa riconoscenza degli italiani. Al Presidente Napolitano che, in un momento difficile, ha accettato l’onere di un secondo mandato, un ringraziamento particolarmente intenso.

Rendo omaggio alla Corte Costituzionale organo di alta garanzia a tutela della nostra Carta fondamentale, al Consiglio Superiore della magistratura presidio dell’indipendenza e a tutte le magistrature.

Avverto pienamente la responsabilità del compito che mi è stato affidato. La responsabilità di rappresentare l’unità nazionale innanzitutto.

L’unità che lega indissolubilmente i nostri territori, dal Nord al Mezzogiorno.

Ma anche l’unità costituita dall’insieme delle attese e delle aspirazioni dei nostri concittadini.

Questa unità, rischia di essere difficile, fragile, lontana. L’impegno di tutti deve essere rivolto a superare le difficoltà degli italiani e a realizzare le loro speranze.

La lunga crisi, prolungatasi oltre ogni limite, ha inferto ferite al tessuto sociale del nostro Paese e ha messo a dura prova la tenuta del suo sistema produttivo. Ha aumentato le ingiustizie.

Ha generato nuove povertà. Ha prodotto emarginazione e solitudine.

Le angosce si annidano in tante famiglie per le difficoltà che sottraggono il futuro alle ragazze e ai ragazzi.

Il lavoro che manca per tanti giovani, specialmente nel Mezzogiorno, la perdita di occupazione, l’esclusione, le difficoltà che si incontrano nel garantire diritti e servizi sociali fondamentali.

Sono questi i punti dell’agenda esigente su cui sarà misurata la vicinanza delle istituzioni al popolo.

Dobbiamo saper scongiurare il rischio che la crisi economica intacchi il rispetto di principi e valori su cui si fonda il patto sociale sancito dalla Costituzione.

Per uscire dalla crisi, che ha fiaccato in modo grave l’economia nazionale e quella europea, va alimentata l’inversione del ciclo economico, da lungo tempo attesa.

E’ indispensabile che al consolidamento finanziario si accompagni una robusta iniziativa di crescita, da articolare innanzitutto a livello europeo.

Nel corso del semestre di Presidenza dell’Unione Europea appena conclusosi, il Governo - cui rivolgo un saluto e un augurio di buon lavoro - ha opportunamente perseguito questa strategia.

Sussiste oggi l’esigenza di confermare il patto costituzionale che mantiene unito il Paese e che riconosce a tutti i cittadini i diritti fondamentali e pari dignità sociale e impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’eguaglianza.

L’urgenza di riforme istituzionali, economiche e sociali deriva dal dovere di dare risposte efficaci alla nostra comunità, risposte adeguate alle sfide che abbiamo di fronte.

Esistono nel nostro Paese energie che attendono soltanto di trovare modo di esprimersi compiutamente.

Penso ai giovani che coltivano i propri talenti e che vorrebbero vedere riconosciuto il merito. Penso alle imprese, piccole medie e grandi che, tra rilevanti difficoltà, trovano il coraggio di continuare a innovare e a competere sui mercati internazionali. Penso alla Pubblica Amministrazione che possiede competenze di valore ma che deve declinare i principi costituzionali, adeguandosi alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e alle sensibilità dei cittadini, che chiedono partecipazione, trasparenza, semplicità degli adempimenti, coerenza nelle decisioni. Non servono generiche esortazioni a guardare al futuro ma piuttosto la tenace mobilitazione di tutte le risorse della società italiana.

Parlare di unità nazionale significa, allora, ridare al Paese un orizzonte di speranza. Perché questa speranza non rimanga un’evocazione astratta, occorre ricostruire quei legami che tengono insieme la società. A questa azione sono chiamate tutte le forze vive delle nostre comunità in Patria come all’estero. Ai connazionali nel mondo va il mio saluto affettuoso. Un pensiero di amicizia rivolgo alle numerose comunità straniere presenti nel nostro Paese. La strada maestra di un Paese unito è quella che indica la nostra Costituzione, quando sottolinea il ruolo delle formazioni sociali, corollario di una piena partecipazione alla vita pubblica. La crisi di rappresentanza ha reso deboli o inefficaci gli strumenti tradizionali della partecipazione, mentre dalla società emergono, con forza, nuove modalità di espressione che hanno già prodotto risultati avvertibili nella politica e nei suoi soggetti.

Questo stesso Parlamento presenta elementi di novità e di cambiamento. La più alta percentuale di donne e tanti giovani parlamentari. Un risultato prezioso che troppe volte la politica stessa finisce per oscurare dietro polemiche e conflitti. I giovani parlamentari portano in queste aule le speranze e le attese dei propri coetanei. Rappresentano anche, con la capacità di critica, e persino di indignazione, la voglia di cambiare. A loro, in particolare, chiedo di dare un contributo positivo al nostro essere davvero comunità nazionale, non dimenticando mai l’essenza del mandato parlamentare.

L’idea, cioè, che in queste aule non si è espressione di un segmento della società o di interessi particolari, ma si è rappresentanti dell’intero popolo italiano e, tutti insieme, al servizio del Paese. Tutti sono chiamati ad assumere per intero questa responsabilità. Condizione primaria per riaccostare gli italiani alle istituzioni è intendere la politica come servizio al bene comune, patrimonio di ognuno e di tutti.

E’ necessario ricollegare a esse quei tanti nostri concittadini che le avvertono lontane ed estranee. La democrazia non è una conquista definitiva ma va inverata continuamente, individuando le formule più adeguate al mutamento dei tempi. E’ significativo che il mio giuramento sia avvenuto mentre sta per completarsi il percorso di un’ampia e incisiva riforma della seconda parte della Costituzione. Senza entrare nel merito delle singole soluzioni, che competono al Parlamento, nella sua sovranità, desidero esprimere l’auspicio che questo percorso sia portato a compimento con l’obiettivo di rendere più adeguata la nostra democrazia. Riformare la Costituzione per rafforzare il processo democratico.

Vi è anche la necessità di superare la logica della deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo, bilanciando l’esigenza di governo con il rispetto delle garanzie procedurali di una corretta dialettica parlamentare. Come è stato più volte sollecitato dal Presidente Napolitano, un’altra priorità è costituita dall’approvazione di una nuova legge elettorale, tema sul quale è impegnato il Parlamento. Nel linguaggio corrente si è soliti tradurre il compito del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della Costituzione.

E’ una immagine efficace. All’arbitro compete la puntuale applicazione delle regole. L’arbitro deve essere - e sarà - imparziale. I giocatori lo aiutino con la loro correttezza. Il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione.

La garanzia più forte della nostra Costituzione consiste, peraltro, nella sua applicazione. Nel viverla giorno per giorno. Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro.

Significa riconoscere e rendere effettivo il diritto al lavoro.

Significa promuovere la cultura diffusa e la ricerca di eccellenza, anche utilizzando le nuove tecnologie e superando il divario digitale. Significa amare i nostri tesori ambientali e artistici.

Significa ripudiare la guerra e promuovere la pace. Significa garantire i diritti dei malati. Significa che ciascuno concorra, con lealtà, alle spese della comunità nazionale. Significa che si possa ottenere giustizia in tempi rapidi.

Significa fare in modo che le donne non debbano avere paura di violenze e discriminazioni. Significa rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità. Significa sostenere la famiglia, risorsa della società.

Significa garantire l’autonomia ed il pluralismo dell’informazione, presidio di democrazia.

Significa ricordare la Resistenza e il sacrificio di tanti che settanta anni fa liberarono l’Italia dal nazifascismo.

Significa libertà. Libertà come pieno sviluppo dei diritti civili, nella sfera sociale come in quella economica, nella sfera personale e affettiva.

Garantire la Costituzione significa affermare e diffondere un senso forte della legalità.

La lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute. La corruzione ha raggiunto un livello inaccettabile.

Divora risorse che potrebbero essere destinate ai cittadini. Impedisce la corretta esplicazione delle regole del mercato. Favorisce le consorterie e penalizza gli onesti e i capaci.

L’attuale Pontefice, Francesco, che ringrazio per il messaggio di auguri che ha voluto inviarmi, ha usato parole severe contro i corrotti: «Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini».

E’ allarmante la diffusione delle mafie, antiche e nuove, anche in aree geografiche storicamente immuni. Un cancro pervasivo, che distrugge speranze, impone gioghi e sopraffazioni, calpesta diritti.

Dobbiamo incoraggiare l’azione determinata della magistratura e delle forze dell’ordine che, spesso a rischio della vita, si battono per contrastare la criminalità organizzata. Nella lotta alle mafie abbiamo avuto molti eroi. Penso tra gli altri a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Per sconfiggere la mafia occorre una moltitudine di persone oneste, competenti, tenaci. E una dirigenza politica e amministrativa capace di compiere il proprio dovere.

Altri rischi minacciano la nostra convivenza. Il terrorismo internazionale ha lanciato la sua sfida sanguinosa, seminando lutti e tragedie in ogni parte del mondo e facendo vittime innocenti. Siamo inorriditi dalle barbare decapitazioni di ostaggi, dalle guerre e dagli eccidi in Medio Oriente e in Africa, fino ai tragici fatti di Parigi. Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza.

Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano. La pratica della violenza in nome della religione sembrava un capitolo da tempo chiuso dalla storia.

Va condannato e combattuto chi strumentalizza a fini di dominio il proprio credo, violando il diritto fondamentale alla libertà religiosa.

Considerare la sfida terribile del terrorismo fondamentalista nell’ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà sarebbe un grave errore. La minaccia è molto più profonda e più vasta. L’attacco è ai fondamenti di libertà, di democrazia, di tolleranza e di convivenza.

Per minacce globali servono risposte globali. Un fenomeno così grave non si può combattere rinchiudendosi nel fortino degli Stati nazionali. I predicatori d’odio e coloro che reclutano assassini utilizzano internet e i mezzi di comunicazione più sofisticati, che sfuggono, per la loro stessa natura, a una dimensione territoriale. La comunità internazionale deve mettere in campo tutte le sue risorse.

Nel salutare il Corpo Diplomatico accreditato presso la Repubblica, esprimo un auspicio di intensa collaborazione anche in questa direzione. La lotta al terrorismo va condotta con fermezza, intelligenza, capacità di discernimento.

Una lotta impegnativa che non può prescindere dalla sicurezza: lo Stato deve assicurare il diritto dei cittadini a una vita serena e libera dalla paura. Il sentimento della speranza ha caratterizzato l’Europa nel dopoguerra e alla caduta del muro di Berlino. Speranza di libertà e di ripresa dopo la guerra, speranza di affermazione di valori di democrazia dopo il 1989.

Nella nuova Europa l’Italia ha trovato l’affermazione della sua sovranità; un approdo sicuro ma soprattutto un luogo da cui ripartire per vincere le sfide globali. L’Unione Europea rappresenta oggi, ancora una volta, una frontiera di speranza e la prospettiva di una vera Unione politica va rilanciata, senza indugio. L’affermazione dei diritti di cittadinanza rappresenta il consolidamento del grande spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia. Le guerre, gli attentati, le persecuzioni politiche, etniche e religiose, la miseria e le carestie generano ingenti masse di profughi. Milioni di individui e famiglie in fuga dalle proprie case che cercano salvezza e futuro proprio nell’Europa del diritto e della democrazia.

E’ questa un’emergenza umanitaria, grave e dolorosa, che deve vedere l’Unione Europea più attenta, impegnata e solidale. L’Italia ha fatto e sta facendo bene la sua parte e siamo grati a tutti i nostri operatori, ai vari livelli, per l’impegno generoso con cui fronteggiano questo drammatico esodo. A livello internazionale la meritoria e indispensabile azione di mantenimento della pace, che vede impegnati i nostri militari in tante missioni, ¬ deve essere consolidata con un’azione di ricostruzione politica, economica, sociale e culturale, senza la quale ogni sforzo è destinato a vanificarsi.

Alle Forze Armate, sempre più strumento di pace ed elemento essenziale della nostra politica estera e di sicurezza, rivolgo un sincero ringraziamento, ricordando quanti hanno perduto la loro vita nell’assolvimento del proprio dovere.

Occorre continuare a dispiegare il massimo impegno affinché la delicata vicenda dei due nostri fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trovi al più presto una conclusione positiva, con il loro definitivo ritorno in Patria.

Desidero rivolgere un pensiero ai civili impegnati, in zone spesso rischiose, nella preziosa opera di cooperazione e di aiuto allo sviluppo. Di tre italiani, padre Paolo Dall’Oglio, Giovanni Lo Porto e Ignazio Scaravilli non si hanno notizie in terre difficili e martoriate. A loro e ai loro familiari va la solidarietà e la vicinanza di tutto il popolo italiano, insieme all’augurio di fare presto ritorno nelle loro case.

Onorevoli Parlamentari, Signori Delegati, Per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo.

Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani: il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi. i volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti.

Il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto. Il volto di chi ha dovuto chiudere l’impresa a causa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi.

Il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri. Il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto. Storie di donne e di uomini, di piccoli e di anziani, con differenti convinzioni politiche, culturali e religiose.

Questi volti e queste storie raccontano di un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale. Un popolo che si senta davvero comunità e che cammini con una nuova speranza verso un futuro di serenità e di pace. Viva la Repubblica, viva l’Italia!

3 febbraio 2015 | 11:15
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2015/elezioni-presidente-repubblica/notizie/mattarella-discorso-integrale-insediamento-presidente-65db81a6-ab8c-11e4-864d-5557babae2e2.shtml
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #4 inserito:: Aprile 16, 2015, 04:16:05 pm »

25 aprile, Mattarella: “No a pericolose equiparazioni tra due parti in conflitto”
Il presidente della Repubblica: "La Resistenza fu soprattutto rivolta morale. Un sentimento che costituisce un patrimonio che deve permanere nella memoria collettiva del Paese"
Di F. Q. | 16 aprile 2015

Non solo la promozione dei valori della Resistenza. Non solo la celebrazione della Costituzione come frutto di quel riscatto di una parte degli italiani contro fascismo e nazismo. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sembra voler mettere fine a anni di ambiguità all’insegna del “rispetto per tutti i morti”. Così in un messaggio al mensile MicroMega, in occasione dell’uscita del numero speciale sulla Resistenza, sottolinea che la ricerca storica su quel periodo “deve continuamente svilupparsi” ma “senza pericolose equiparazioni” fra i due campi in conflitto. Il capo dello Stato ricorda infatti che “la Resistenza, prima che fatto politico, fu soprattutto rivolta morale. Questo sentimento, tramandato da padre in figlio, costituisce un patrimonio che deve permanere nella memoria collettiva del Paese”.

Il messaggio del capo dello Stato, nel sottolineare che “la Liberazione dal nazifascismo costituisce l’evento centrale della nostra storia recente” ricorda che “ai Padri costituenti non sfuggiva il forte e profondo legame tra la riconquista della libertà, realizzata con il sacrificio di tanto sangue italiano dopo un ventennio di dittatura e di conformismo, e la nuova democrazia”. Dittatura ma anche conformismo, questi i due mali che hanno caratterizzato il Ventennio, per cui “la Costituzione, nata dalla Resistenza, ha rappresentato il capovolgimento della concezione autoritaria, illiberale, esaltatrice della guerra, imperialista e razzista che il fascismo aveva affermato in Italia, trovando, inizialmente, l’opposizione – spesso repressa nel sangue – di non molti spiriti liberi”.

Dopo aver citato una riflessione dell’allora partigiano cattolico liberale Sergio Cotta, Mattarella ha voluto sottolineare la partecipazione di popolo, vieppiù crescente, ad una rivolta che era stata inizialmente di minoranze di spiriti liberi: “La sofferenza, il terrore, il senso d’ingiustizia, lo sdegno istintivo contro la barbarie di chi trucidava civili e razziava concittadini ebrei sono stati i tratti che hanno accomunato il popolo italiano in quel terribile periodo. Un popolo – composto di uomini, donne e persino ragazzi, di civili e militari, di intellettuali e operai – ha reagito anche con le armi in pugno, con la resistenza passiva nei lager in Germania, con l’aiuto ai perseguitati, con l’assistenza ai partigiani e agli alleati, con il rifiuto, spesso pagato a caro prezzo, di sottomettersi alla mistica del terrore e della morte”.

Il tema “dell’equiparazione” ricorre da anni e la discussione è stata accesa soprattutto negli anni dei governi di centrodestra, proposta in particolare dagli esponenti ex missini. Si ricorda per esempio un botta e risposta tra il ministro della Difesa Ignazio La Russa e il presidente Giorgio Napolitano. Era l’8 settembre 2008 e i due si trovarono alla commemorazione dell’anniversario della Difesa di Roma. “Farei un torto alla mia coscienza – disse La Russa – se non ricordassi che altri militari in divisa, come quelli della Nembo dell’esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d’Italia”. Il capo dello Stato replicò alcuni secondi dopo parlando di “un duplice segno della Resistenza: quello della ribellione, della volontà di riscatto, della speranza di libertà e di giustizia che condussero tanti giovani a combattere nelle formazioni partigiane e quello del senso del dovere, della fedeltà e della dignità che animarono la partecipazione dei militari, compresa quella dei seicentomila deportati nei campi tedeschi, rifiutando l’adesione alla Repubblica di Salò“.

L’anno successivo, proprio a ridosso il 25 aprile, la polemica coinvolse Silvio Berlusconi e Dario Franceschini, allora segretario del Pd. Ad una domanda su cosa pensasse della legge in Parlamento che vuole equiparare i repubblichini di Salò ai partigiani, l’allora presidente del Consiglio rispose: “È un tema su cui non ho ancora messo la testa. Ci sono state differenze – sosteneva il premier – anche se la pietà deve andare anche a coloro che credendosi nel giusto hanno combattuto per una causa che era una causa persa. Su questo tema rifletteremo”. Franceschini rispose chiedendo al Pdl di ritirare il progetto di legge per equiparare i repubblichini ai partigiani. “Un conto – disse Franceschini – è il rispetto umano ma non si può equiparare chi combatté dalla parte giusta e chi invece lottò per una causa tragicamente sbagliata”. Nel 2011 il Pdl ci riprovò con una proposta di legge che intendeva dare alle associazioni degli ex combattenti della Repubblica sociale lo stesso riconoscimento dell’Anpi e delle altre associazioni ex combattentistiche, ricevendo anche contributi statali. Tutto finito nel nulla.

Mattarella ha partecipato a Montecitorio alla celebrazione della Liberazione insieme ai presidenti delle Camere Laura Boldrini e Piero Grasso. “E’ la prima volta – ha detto la Boldrini – che in un’Aula parlamentare la liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo viene ricordata con la partecipazione diretta sui banchi di coloro che vissero sulla loro pelle quella esperienza mettendo in gioco la loro vita, affetti e speranze della gioventù”. Per Grasso “l’orgoglio di scegliere la libertà e di battersi per la libertà è uno dei valori fondamentali del patriottismo costituzionale repubblicano. Un orgoglio che occorre tener vivo e trasmettere alle giovani generazioni perché ci insegna anche che la lotta contro le sopraffazioni in senso lato che affannano il nostro quotidiano, penso alla criminalità organizzata, all’illegalità diffusa, possono essere combattute solo con un movimento di popolo che nasca dalle coscienze e dalle scelte di ognuno di noi”. Al termine della cerimonia, i deputati e anche molti studenti presenti per l’occasione, hanno intonato Bella ciao. L’inno della Resistenza, scandito dai battimani dell’emiciclo, è andato avanti mentre Mattarella, Boldrini e Grasso si intrattenevano al centro dell’Aula per salutare le delegazioni di partigiani. E anche la presidente della Camera si è aggiunta al coro degli ex combattenti per la libertà.

di F. Q. | 16 aprile 2015

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/16/25-aprile-mattarella-pericolose-equiparazioni-parti-in-conflitto/1596088/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-04-16

Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #5 inserito:: Aprile 25, 2015, 05:08:55 pm »

Mattarella: "Il mio 25 aprile. Non abbassiamo la guardia, così si riafferma la democrazia"
Il capo dello Stato: "La nostra Costituzione è il frutto della lotta antifascista contro la dittatura e la guerra.
La qualifica di resistenti va estesa non solo ai partigiani ma ai militari che rifiutarono di arruolarsi nelle brigate nere"

Di EZIO MAURO
24 aprile 2015
   
Signor Presidente, lei ha attraversato la vita politica e istituzionale di questo Paese, ha vissuto la sfida delle Brigate Rosse alla democrazia, ha fronteggiato anche l'emergenza criminale più acuta. Che cosa legge nella data del 25 aprile, settant'anni dopo la Liberazione?
"Il Paese è fortemente cambiato, come il contesto internazionale. Non c'è più, fortunatamente, la necessità di riconquistare i valori di libertà, di democrazia, di giustizia sociale, di pace che animarono, nel suo complesso, la Resistenza. Oggi c'è la necessità di difendere quei valori, come è stato fatto contro l'assalto del terrorismo, come vien fatto e va fatto sempre di più contro quello della mafia. La democrazia va sempre, giorno dopo giorno, affermata e realizzata nella vita quotidiana. Il 25 aprile fu lo sbocco di un vero e proprio moto di popolo: la qualifica di "resistenti" va estesa non solo ai partigiani, ma ai militari che rifiutarono di arruolarsi nelle brigate nere e a tutte le donne e gli uomini che, per le ragioni più diverse, rischiarono la vita per nascondere un ebreo, per aiutare un militare alleato o sostenere chi combatteva in montagna o nelle città".

Io penso che questo moto di rifiuto e di ribellione organizzata al fascismo e al nazismo, con la lotta armata, rappresenti un elemento fondamentale nella storia morale dell'Italia. Quell'esperienza parziale ma decisiva di ribellione nazionale, italiana, alla dittatura fascista è infatti il nucleo autonomo e sufficiente per rendere la nostra democrazia e la nostra libertà non interamente "octroyé" dagli Alleati che hanno liberato gran parte del Paese, ma riconquistate. Non crede che proprio qui nasca il fondamento morale della democrazia repubblicana?
"Ricordo che Aldo Moro definiva il suo partito, oltre che popolare e democratico, come "antifascista": per lui si trattava di un elemento caratterizzante, appunto identitario, della politica italiana. Naturalmente nella nostra democrazia confluiscono anche altri elementi storici nazionali, ma quello dell'antifascismo ne costituisce elemento fondante.

La Resistenza italiana mostrò al mondo la volontà di riscatto degli italiani, dopo anni di dittatura e di guerra di conquista. Non si può dimenticare il contributo che molte operazioni dei partigiani diedero all'accelerazione dell'avanzata alleata. Basti citare l'esempio di Genova, dove il comando tedesco trattò la resa direttamente con i partigiani. Il presidente Ciampi ha il merito di aver riportato all'attenzione dell'opinione pubblica il ruolo fondamentale che le forze armate italiane ebbero nella Liberazione. Cosa sarebbe successo se questi militari italiani avessero deciso in massa di arruolarsi nell'esercito della Repubblica Sociale? Quanto sarebbe stata più faticosa per gli Alleati l'avanzata sul territorio italiano e con quante perdite? La Resistenza, la cobelligeranza, pesarono sul tavolo delle trattative di pace".

Lei aveva quattro anni nel 1945. Ha dei ricordi familiari nei racconti di quei giorni?
"Mio padre era antifascista. Diciannovenne, nell'anno del delitto Matteotti, aveva fondato nel suo comune la sezione del Partito popolare di Sturzo; e aveva subito percosse e olio di ricino. Il giornale che dirigeva come presidente dell'Azione Cattolica di Palermo prese una posizione molto dura contro le leggi razziali e fu sequestrato più volte. Lanciò, via radio, dalla Sicilia già libera, un appello agli italiani delle regioni ancora sotto l'occupazione nazista e di Salò: partecipava, così, idealmente alla lotta della Resistenza e faceva parte dei primi governi del Cln mentre il Nord Italia veniva via via liberato dagli alleati e dai partigiani. Sono cresciuto nel culto delle figure di don Minzoni, Giacomo Matteotti, don Morosini, Teresio Olivelli".

È per queste ragioni che subito dopo la sua elezione al Quirinale ha voluto rendere omaggio alle Fosse Ardeatine?
"Mi è parso naturale, e doveroso, ricordare sia a me stesso, nel momento in cui venivo eletto presidente della Repubblica, sia ai nostri concittadini quanto dolore, quanto impegno difficile e sofferto hanno permesso di ritrovare libertà e democrazia. L'abitudine a queste, talvolta, rischia di inaridire il modo di guardare alle istituzioni democratiche, pur con tutti i difetti che se ne possono evidenziare, rifiutando di impegnarvisi o anche soltanto di seguirne seriamente la vita.

Questo mi fa ricordare la lettera di un giovanissimo condannato a morte della Resistenza che, la sera prima di essere ucciso, scriveva ai genitori che il dramma di quei giorni avveniva perché la loro generazione non aveva più voluto saperne della politica. Inoltre, oggi, assistiamo al riemergere dell'odio razziale e del fanatismo religioso: i morti delle Ardeatine è come se ci ammonissero continuamente, ricordandoci che mai si può abbassare la guardia sulla difesa strenua dei diritti dell'uomo, del sistema democratico".

Lei è stato anche giudice della Corte costituzionale: dove sente la nostra Carta fondamentale più fedele ai valori della Resistenza? Condivide il giudizio di Norberto Bobbio secondo il quale il grande risultato della Resistenza è stata la Costituzione, perché portò la democrazia italiana "molto più avanti di quella che era stata prima del fascismo"?
"Della Costituzione vanno sempre richiamati, anzitutto, l'affermazione dei diritti delle persone, che preesistono allo Stato, e il dovere della Repubblica di realizzare condizioni effettive di uguaglianza fra i cittadini. Si tratta di punti centrali con cui i Costituenti hanno caratterizzato la nostra convivenza e che hanno dato risposta al desiderio di libertà e di giustizia di chi si batteva per liberare l'Italia. Bobbio diceva bene: non vi è dubbio che la Costituzione, dopo la dittatura, la ribellione e la resistenza non poteva che essere molto diversa da quella prefascista, disegnando una democrazia molto più avanzata, una Repubblica con finalità più ambiziose e doveri più grandi verso la società, del resto in linea con gli apporti culturali della gran parte della forze politiche dell'Assemblea Costituente".

Cosa pensa della polemica dei decenni passati sulla "Resistenza tradita", che ancora riemerge?
"Le risponderò con una citazione del presidente Napolitano. Parlando a Genova il 25 aprile del 2008, disse con estrema chiarezza: "Vorrei dire che in realtà c'è stato solo un mito privo di fondamento storico reale e usato in modo fuorviante e nefasto: quello della cosiddetta "Resistenza tradita", che è servito ad avvalorare posizioni ideologiche e strategie pseudo-rivoluzionarie di rifiuto e rottura dell'ordine democratico-costituzionale scaturito proprio dai valori e dall'impulso della Resistenza". Condivido dalla prima all'ultima parola".

C'era in quella formula un sentimento che potremmo definire di "delusione rivoluzionaria", da parte di chi nel mondo comunista vedeva nella guerra di Liberazione una rivoluzione sociale: ma in realtà non crede che il vero tradimento della Costituzione sia avvenuto negli anni delle stragi di Stato, dei depistaggi, delle verità negate, delle infiltrazioni piduiste nei vertici degli apparati di Stato?
"Ogni movimento di liberazione porta con sé l'orizzonte e la ricerca di un ordine pienamente giusto e risolutivo dei temi della convivenza. Ma io credo che nessuno, oggi, guardando indietro possa ignorare che in Italia si è sviluppata una profonda e pacifica rivoluzione sociale: territori e fasce sociali, un tempo povere e del tutto escluse, hanno visto una radicale crescita. Il rammarico è che questo non sia avvenuto in maniera ben distribuita e ovunque e che il divario con il Mezzogiorno abbia ripreso ad aumentare. Ma chi ricorda le condizioni economiche e sociali dell'Italia negli anni Quaranta e Cinquanta può valutarne le trasformazioni intervenute nei decenni successivi.

Va anche sottolineato che quel processo di crescita, difettoso per diversi profili, si è realizzato salvaguardando la democrazia, malgrado quel che è stato tentato per travolgerla, con insidie, come la loggia P2, aggressioni violente e stragi. Quelle trame a cui lei fa riferimento avevano un disegno e un obbiettivo comune. Quello di abbattere lo Stato democratico, di cancellare la Costituzione del 1948, di aprire la strada a un regime tendenzialmente autoritario. In questo senso, i terrorismi di qualsiasi colore -  fatte salve tutte le diversità ideologiche, politiche e culturali -  avevano un nemico in comune. Vi sono stati tradimenti della Costituzione ma va anche detto che le istituzioni e le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, hanno resistito. Il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro ne costituiscono prova evidente".

Il terrorismo rosso che ha insanguinato l'Italia si è richiamato alla guerra partigiana: la sinistra operaia ha respinto quel progetto, e lo Stato democratico lo ha sconfitto. È stata questa la minaccia più forte per la democrazia repubblicana nata dalla Liberazione? Lei ha vissuto quegli anni, la tragedia Moro in particolare. Sente oggi come altrettanto grave la sfida del terrorismo jihadista? Non crede che oggi come allora, con tutte le differenze necessarie, lo Stato abbia il diritto di difendersi e di difendere i suoi cittadini che gli hanno concesso il monopolio della forza, ma insieme abbia anche il dovere di farlo rimanendo fedele alle regole democratiche e di legalità che la democrazia impone a se stessa?
"La lotta al terrorismo fu condotta dallo Stato senza sospendere le libertà civili e democratiche. Fondamentale, per battere il terrorismo, è stata l'unità di popolo. I brigatisti rossi capirono ben presto che la loro sconfitta era avvenuta prima sul piano politico -  nel rifiuto, cioè, delle masse operaie, di seguirli nella lotta armata -  che sul piano militare o di polizia. Basti pensare al sacrificio di Guido Rossa. Nel caso del terrorismo degli anni Settanta e Ottanta la minaccia proveniva dall'interno.

Oggi abbiamo una o più entità esterne, presenti in Paesi diversi, che incitano su Internet alla guerra santa contro l'Occidente e che confidano in una rivolta spontanea dei musulmani presenti all'interno di quei Paesi che si vorrebbero sottomettere al Califfato. Non c'è dubbio che si tratti di una minaccia nuova e insidiosa. La risposta alla globalizzazione del terrore non può essere cercata che nella solidarietà internazionale (la stessa per cui molti cooperanti mettono a rischio la vita, come è successo a Giovanni Lo Porto) e nella collaborazione sempre più stretta tra i Paesi che condividono gli stessi ideali di democrazia, di convivenza e di tolleranza. La sfida è, oggi come ieri, molto impegnativa. Non c'è dubbio che la società aperta e accogliente abbia dei rischi in più in termini di sicurezza rispetto a uno Stato di polizia. Ma possiamo chiedere ai cittadini europei di sobbarcarsi qualche fastidio o controllo in più, non certo di vedersi limitare diritti e prerogative che ormai sono patrimonio comune e irrinunciabile. Tradiremmo la nostra storia e i nostri valori".

Ma la Resistenza negli ultimi vent'anni è stata anche oggetto di una lettura revisionista che ha criticato la "mitologia" resistenziale e il suo uso politico da parte comunista, che pure c'è stato, attaccando il legame tra la ribellione partigiana al fascismo e la nascita delle istituzioni democratiche e repubblicane. Qual è il suo giudizio? Perché non c'è una memoria condivisa su una vicenda che dovrebbe rappresentare il valore fondante dell'Italia repubblicana?
"Stiamo parlando di una guerra che ha avuto anche aspetti fratricidi. Credo che sia molto difficile, quando si hanno avuto familiari caduti, come si dice adesso, "dalla parte sbagliata" o si è stati vittime di soprusi o di vendette da parte dei nuovi vincitori, costruire su questi fatti una memoria condivisa. Pietro Scoppola, nell'infuriare della polemica storico-politica sul revisionismo, invitava a fare un passo avanti e a considerare la Costituzione italiana, nata dalla Resistenza, come il momento fondante di una storia e di una memoria condivisa. Una Costituzione, vale la pena rimarcarlo, che ha consentito libertà di parola, di voto e addirittura di veder presenti in Parlamento esponenti che contestavano quella stessa Costituzione nei suoi fondamenti. Tranne poche frange estremiste e nostalgiche, non credo che ci siano italiani che oggi si sentano di rinunciare alle conquiste di democrazia, di libertà, di giustizia sociale che hanno trovato nella Costituzione il punto di inizio, consentendo al nostro Paese un periodo di pace, di sviluppo e di benessere senza precedenti. Proprio per questo va affermato che il 25 aprile è patrimonio di tutta l'Italia, la ricorrenza in cui si celebrano valori condivisi dall'intero Paese".

Cosa pensa delle violenze e delle vendette che insanguinarono il "triangolo rosso" e le Foibe in quegli anni? Non c'è stato troppo silenzio e per troppo tempo, in un Paese che non ha avuto un processo di Norimberga ma che oggi, settant'anni dopo, non dovrebbe avere paura della verità? E come rivive le immagini di Mussolini e Claretta Petacci esposti cadaveri a Piazzale Loreto?
"È stato merito di esponenti provenienti dalla sinistra, penso a Luciano Violante e allo stesso presidente Napolitano, contribuire alla riappropriazione, nella storia e nella memoria, di episodi drammatici ingiustamente rimossi, come quelli legati alle Foibe e all'esodo degli Italiani dall'Istria e dalla Dalmazia. Sono stati molti i libri e le inchieste che si sono dedicati a riportare alla luce le vendette, gli eccidi, le sopraffazioni che si compirono, anche abusando del nome della Resistenza, dopo la fine della guerra. Si tratta di casi gravi, inaccettabili e che non vanno nascosti. L'esposizione del corpo di Mussolini, di Claretta Petacci e degli altri gerarchi fucilati, per quanto legata al martirio che numerosi partigiani subirono per mano dei tedeschi nello stesso Piazzale Loreto pochi giorni prima, la considero un episodio barbaro e disumano. Va comunque svolta una considerazione di fondo: gli atti di violenza ingiustificata, di vendetta, gli eccidi compiuti da parte di uomini legati alla Resistenza rappresentano, nella maggior parte dei casi, una deviazione grave e inaccettabile dagli ideali originari della Resistenza stessa. Nel caso del nazifascismo, invece, i campi di sterminio, la caccia agli ebrei, le stragi di civili, le torture sono lo sbocco naturale di un'ideologia totalitaria e razzista".

Il tema della riconciliazione, a mio parere, va affrontato tenendo conto che la pietà per i morti dell'una e dell'altra parte non significa che le ragioni per cui sono morti siano equivalenti. "Tutti uguali davanti alla morte -  scrive Calvino -  non davanti alla storia". Qual è la sua opinione?
"Calvino mi sembra abbia centrato il tema. Non c'è dubbio che la pietà e il rispetto siano sentimenti condivisibili di fronte a giovani caduti nelle file di Salò che combattevano in buona fede. Questo non ci consente, però, di equiparare i due campi: da una parte si combatteva per la libertà, dall'altra per la sopraffazione. La domanda di Bobbio ai revisionisti è rimasta senza risposta: che cosa sarebbe successo se, invece degli alleati, avessero vinto i nazisti?".

Vorrei chiudere con Bobbio. "Il rifiuto dell'antifascismo in nome dell’anticomunismo -  ha scritto -  ha finito spesso per condurre ad un'altra forma di equidistanza abominevole, quella tra fascismo e antifascismo". E infatti da parte della destra è emerso pochi anni fa il tentativo di superare il 25 aprile, sostituendolo con un giorno di festa civile nel rifiuto di tutte le dittature. Come se non ci fossero altri 365 giorni sul calendario per scegliere una celebrazione contro ogni regime dittatoriale. A patto però di ricordare il 25 aprile, tutti, come il giorno in cui è finita la dittatura del fascismo, nato proprio in Italia. Cosa ne pensa? Il 25 aprile, ha detto Bobbio, ha determinato un nuovo corso nella nostra storia. Perché, semplicemente, "se la Resistenza non fosse avvenuta, la storia d'Italia sarebbe stata diversa, non sarebbe la storia di un popolo libero".
"Credo che quella dell'abolizione della festa della Liberazione sia una polemica ormai datata e senza senso. Sarebbe come dire: invece di celebrare il nostro Risorgimento, festeggiamo la Rivoluzione americana e francese... È vero che nel mondo ci sono stati diversi regimi totalitari e sanguinari, frutto di ideologie disumanizzanti. Ma la storia italiana è passata attraverso la dittatura fascista, la guerra, la lotta di Liberazione. E un popolo vive e si nutre della sua storia e dei suoi ricordi ".

© Riproduzione riservata
24 aprile 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/04/24/news/mattarella_vi_racconto_il_mio_venticinque_aprile_non_abbassiamo_la_guardia_cosi_si_riafferma_la_democrazia_-112698753/?ref=HRER3-1
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #6 inserito:: Maggio 10, 2015, 04:18:44 pm »

Mattarella chiede la svolta alla Ue: "Cambiare rotta, meno austerità"
Il Capo dello Stato nel giorno della Festa dell'Europa: "Ci vuole meno egoismo per dare ai nostri giovani europei una prospettiva di lavoro e affrontare il dramma delle migrazioni".
Mogherini: "Vergogna ci si svegli solo davanti a morte. Ma finalmente arriva risposta comune".
Schulz: "Serve sistema più equo"

09 maggio 2015
   
MILANO - Cambiare passo sui temi caldi dell'agenda europea: la crisi economica e il suo superamento e l'emergenza dei migranti che, partendo dalle coste africane, cercano di lasciarsi alle spalle povertà e sofferenza per raggiungere in massa il Vecchio continente. "Noi che siamo europeisti, non ci stanchiamo di sostenere una maggiore integrazione politica dell'Europa. Serve a questo scopo un cambiamento di rotta per ridurre gli squilibri interni e rivitalizzare le energie penalizzate da eccessi di austerità". E' questo il messaggio che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha lanciato verso Bruxelles in occasione della Festa dell'Europa nel 65esimo della dichiarazione Schuman, che nel 1950 poneva le basi per la Comunità europea del carbone e dell'acciaio e per la pacificazione del continente devastato dalla Seconda guerra mondiale.

L'appello di Mattarella è anche a uno sforzo culturale, a limitare l'egoismo in Europa. "L'egoismo è al di fuori dai valori dell'Unione", sostiene il Capo dello Stato. "Ci vuole meno egoismo per dare ai nostri giovani europei una prospettiva di lavoro, di vita, di relazioni sempre più intense. Meno egoismo per affrontare in modo positivo il dramma delle migrazioni. Meno egoismo per svolgere un ruolo efficace di pace in Africa e nel Medio Oriente". Di nuovo sui temi economici: "La caduta degli investimenti nel nostro continente è stata pesante negli ultimi anni: occorre utilizzare tutte le risorse disponibili - a partire dall'attuazione e dal rafforzamento del piano Juncker - affinché l'Europa torni a essere vettore di sviluppo: uno sviluppo nuovo e sostenibile", l'invito ai governanti dell'Unione che negli ultimi tempi hanno pensato più che altro a stringere la cinghia fiscale, con evidenti ricadute su crescita e benessere.

Un invito al quale risponde indirettamente Federica Mogherini, alto rappresentante per gli Affari esteri dell'Unione europea, che apre a Expo 2015 l'European National day che si celebra oggi, 9 maggio, in occasione della tradizionale Festa dell'Europa: "In Europa nell'ultimo periodo abbiamo cambiato verso, per esempio la parola flessibilità non è più un tabù e l'austerità non è più un mantra", dice Mogherini. "L'Europa è nata questo stesso giorno di tanti anni fa per mettere un progetto in comune e lasciarsi alle spalle le macerie della Seconda guerra mondiale", ricorda ancora l'alto rappresentante. "Oggi - dice - vi sono sfide che non sono meno drammatiche, non si chiamano più guerra in Europa, ma fame, disperazione e conflitti intorno a noi".

Secondo Mogherini la scelta di creare un'unione di paesi europei fatta negli anni Cinquanta è "una responsabilità che i nostri padri e i nostri nonni hanno preso e che noi dobbiamo riassumere alle nuove generazioni". Quanto al tema caldo dell'immigrazione ("una vergogna che l'Europa si svegli solo di fronte alla morte"), l'Alto rappresentante saluta con l'imminente agenda europea per l'immigrazione "finalmente una risposta europea" sul tema. Per Mogherini è "onesto dire che non cambierà la situazione in una settimana. Quello che stiamo facendo tocca diversi fronti e per la prima volta lo stiamo facendo da europei". Un riferimento al progetto che prevede, tra l'altro, un'equa distribuzione dei profughi all'interno dei ventotto paesi dell'Unione. Mogherini parla anche dell'Expo come una "grandissima opportunità" anche per l'Unione europea per affrontare il problema dell'accesso al cibo e confrontarsi con le proprie politiche economiche.

Ancora da Expo e ancora sul tema del lavoro si concentra il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, durante il 'dialogo con i cittadini' organizzato nell'ambito della Giornata europea all'Esposizione universale: "La lotta alla disoccupazione giovanile è la priorità delle priorità". Schulz risponde a una domanda di uno dei mille studenti presenti in sala che chiedeva cosa può fare l'Europa contro la disoccupazione giovanile. "Dobbiamo avere un sistema tributario più equo perchè non è possibile che ci sia Google e Amazon che non pagano neanche un centesimo di tasse e un piccolo commerciante milanese venga strozzato".

© Riproduzione riservata
09 maggio 2015

Da - http://www.repubblica.it/economia/2015/05/09/news/mattarella_chiede_la_svolta_alla_ue_cambiare_rotta_meno_austerita_-113940077/?ref=HRER1-1
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #7 inserito:: Maggio 10, 2015, 04:23:03 pm »

Giorno della memoria vittime terrorismo, Mattarella: “Ricordare è non rassegnarsi nella ricerca della verità”
Il Capo dello Stato, dopo aver deposto una corona di fiori sulla lapide di Aldo Moro in via Caetani, ha parlato in Senato: "La distanza temporale non deve attenuare ricordo e gratitudine per chi ha perso la vita". Sì alla proposta di un memoriale

Di F. Q. | 9 maggio 2015

“Ricordare significa anche non rassegnarsi mai nella ricerca della verità”. Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha parlato in Senato in occasione del Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo, dopo aver reso omaggio ad Aldo Moro in via Caetani, nel luogo in cui venne ritrovato il cadavere, con la deposizione di una corona di fiori sotto la lapide dello statista nel 37esimo anniversario della sua uccisione. “La distanza temporale con quei tragici avvenimenti – ha proseguito il capo dello Stato – non deve attenuare il ricordo e la gratitudine per chi, servitore dello Stato o semplice cittadino, ha perso la vita a causa di disegni perversi e folli, pervasi di odio e di sopraffazione”. Mattarella ha anche detto di accogliere con favore la proposta di un memoriale di tutte le vittime del terrorismo in Italia.

“Desidero rivolgere un pensiero particolare alla memoria di quei tanti giovani, di qualunque orientamento, che hanno avuto la vita spezzata dalla violenza politica, che è sempre esecrabile”, ha ricordato durante la cerimonia il Capo dello Stato, il cui fratello Piersanti venne ucciso dalla mafia e gli morì fra le braccia. “Il terrorismo – ha concluso Mattarella – ha lasciato nei familiari delle vittime ferite profonde. Vorrei dire a tutti coloro che hanno perso un genitore, un compagno, un figlio, un fratello o un amico che sono loro vicino, con comprensione e solidarietà”.

Di F. Q. | 9 maggio 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/09/giorno-della-memoria-vittime-terrorismo-mattarella-ricordare-e-non-rassegnarsi-nella-ricerca-della-verita/1666276/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #8 inserito:: Maggio 16, 2015, 04:19:23 pm »

Mattarella: "In Italia troppo pessimismo, guardiamo al futuro per una ripartenza"
Il capo dello Stato a Torino, nella sua prima visita ufficiale da presidente, inaugura il Salone del Libro.
"Avvertiamo il rischio di un individualismo che disgrega le reti di comunità, di una rottura del patto generazionale, di una contrazione dei corpi intermedi.
A questi pericoli di solitudine dobbiamo reagire"


14 maggio 2015
   
"Il futuro è nelle nostre mani: il mio augurio al Salone del libro è l'augurio all'Italia che vuole dire la sua, che vuole promuovere il bene comune, che non si rassegna alle difficoltà ma ha in animo di superarle". Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha chiuso la cerimonia di inaugurazione della ventottesima edizione del Salone del Libro di Torino: è la sua prima visita da capo dello Stato nella città della Mole. Una giornata molto intensa che lo porterà a fare tappa, oltre che al Salone del Lingotto, al nuovo grattacielo di Intesa Sanpaolo, al Museo Egizio, alla Sindone e alla tomba di San Giovanni Bosco, senza rinunciare a un pranzo nel celebre ristorante del Cambio. Mattarella, inoltre, incontrerà in Prefettura i famigliari delle vittime della Thyssen e dell'attentato al museo del Bardo a Tunisi.

Mattarella ha dapprima parlato del Paese, dell' "individualismo" e del "pessimismo" che rischiano di frenarlo: "Avvertiamo il rischio di un individualismo che disgrega le reti di comunità, di una rottura del patto generazionale, di una contrazione dei corpi intermedi così che il cittadino, o l'utente, o il consumatore, si ritrovino soli davanti alle istituzioni, al mercato, alle reti di comunicazione. A questi pericoli di solitudine dobbiamo reagire. Talvolta in Italia c'è un eccesso di pessimismo ma bisogna volgere il nostro sguardo al futuro per dare una ripartenza all'Italia. Anche l'Expo è una grande occasione per il Paese".

"Dobbiamo impedire che si rompano le maglie della comunità - ha aggiunto il presidente - quei fili, cioè, che consentono agli individui di essere integralmente persone. In quest'impresa così importante per la qualità delle nostre vite, la cultura è decisiva, ed è sollecitata nella sua creatività. Non dobbiamo cedere a visioni minimaliste o economiciste. Saremo più forti anche nel chiedere i cambiamenti necessari affinché l'Unione Europea sia all'altezza dei suoi compiti storici. Il mondo ha bisogno di più Europa, a partire dai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Anche per questo una manifestazione come il Salone del Libro ha un grande valore. Il nostro è un Paese meraviglioso: dobbiamo esserne consapevoli. La storia ci ha consegnato uno straordinario patrimonio di civiltà, di arte, di bellezza, di creatività, di esperienze, di conoscenze diffuse. Un dono tanto grande ci impone però altrettanta responsabilità. E altrettanto coraggio. Le 'Meraviglie d'Italia' - ha aggiunto Mattarella - sono il tema conduttore del Salone di quest'anno: condivido il proposito di non indulgere a nostalgie o autocelebrazioni. Un po' di autostima fa bene, sia chiaro: soffriamo talvolta di eccessi di pessimismo".

Poi il capo dello Stato è passato a parlare dei tempi specifici della kermesse libraria torinese e della crisi dell'editoria: " "La crisi -ha detto - non ha risparmiato libri e carta stampata. Ci sono tanti segni meno e tanti posti persi" ma nel contempo crescono "nuove professionalità e nuovi spazi si aprono". La cultura è decisiva, ha sottolineato Mattarella, e "il Salone del Libro riveste un grande valore, perchè pensa alla cultura in campo aperto, nel rispetto delle opinioni. Punta sull'innovazione senza dimenticare i valori, le radici, la storia. Manifestazioni sul libro, sulla cultura, sulla lettura, si stanno diffondendo in tutto il Paese: trovo sempre più giusto associare i libri alla libertà. Più libri, più liberi". Ma attenzione, ammonisce il capo dello Stato: bisogna vedere "come allargare gli spazi di libertà" perché "se all'idea di libertà i diritti non sono legati ai doveri, le opportunità alla responsabilità, non avremo più giustizia".

© Riproduzione riservata
14 maggio 2015

Da - http://torino.repubblica.it/cronaca/2015/05/14/news/mattarella_in_italia_troppo_pessimismo_bisogna_guardare_al_futuro_per_una_ripartenza_-114330796/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_14-05-2015
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #9 inserito:: Maggio 19, 2015, 09:54:33 am »

Quirinale, Sergio Mattarella rinuncia al vitalizio da professore.
Lettera del portavoce al Giornale, no a cumulo stipendio-pensione

Redazione, L'Huffington Post
Pubblicato: 17/05/2015 10:15 CEST Aggiornato: 8 minuti fa

Sergio Mattarella ha chiesto di togliere dal suo stipendio l'equivalente del vitalizio da professore. Un gesto simbolico, ma soprattutto un messaggio politico, in un contesto di vibranti polemiche legate ai vitalizi nella politica. Giovanni Grasso, consigliere per la stampa del presidente della Repubblica, scrive una lettera al Giornale, che sta conducendo una battaglia contro i privilegi dei politici. Una replica al direttore Alessandro Sallusti che aveva scritto che Sergio Mattarella potrebbe cumulare quattro pensioni, "da professore, da deputato di lungo corso, da giudice della Consulta e, un domani, da senatore a vita".

Grasso chiarisce che "la qualità di senatore a vita, proprio per questa condizione, non può produrre alcuna pensione. Inoltre, in quanto parlamentare a vita, non potrà percepire neppure pensione o vitalizio quale ex deputato". Inoltre "la condizione di ex giudice della Corte Costituzionale non comporta pensione". Ne deriva che "l'unica pensione di cui, oggi e in futuro, potrà usufruire il presidente Mattarella è quella di professore universitario". Dal Quirinale arriva la precisazione che Sergio Mattarella "ha deciso, nei primi giorni del suo mandato, il recepimento, per la presidenza della Repubblica, del divieto di cumulo tra stipendio e pensioni erogate da pubbliche amministrazioni. Naturalmente questo divieto è stato applicato anzitutto al presidente, che ha conseguentemente disposto la riduzione della sua retribuzione in misura corrispondente all'intero ammontare della pensione". In altre parole, l'ammontare della pensione da prof "viene integralmente detratto dalla retribuzione del presidente della Repubblica".

Alessandro Sallusti dà atto al presidente della Repubblica di "aver dato prova, con le sue rinunce volontarie, di buon senso" ed auspica che "serva da esempio per tutti".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/05/17/mattarella-rinuncia-a-vitalizio-da-prof_n_7299732.html?1431850583&utm_hp_ref=italy
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #10 inserito:: Gennaio 02, 2017, 06:47:10 pm »


Un Mattarella più politico: inizia una nuova stagione per il Quirinale

    –di Lina Palmerini 01 gennaio 2017

Al di là del messaggio più scontato, quello sul senso di comunità del Paese, sul rispetto dei doveri, sul ricordo degli italiani morti lo scorso anno per terrorismo o sciagure, ci sono state – per la prima volta – considerazioni più strettamente politiche nelle parole pronunciate da Sergio Mattarella nel consueto discorso di fine anno. Intanto, in controluce, si può leggere un bilancio del Governo Renzi che non è tutto in positivo.

Mattarella: lavoro problema numero uno. Voto strada maestra ma con regole chiare
Sul lavoro, per esempio, il capo dello Stato riconosce un aumento dell'occupazione ma dice che non basta, che sono ancora troppe le persone in cerca di un posto. E la crescita, altra priorità dell'ex Governo Renzi, ammette che è in ripresa ma che è troppo debole per essere percepita. E insiste sul disagio sociale, sulle fratture tra Nord e Sud, centri e periferie, tante lacerazioni che sono diventate la sostanza del “No” a Renzi nel referendum costituzionale. È evidente che le sue parole non potevano essere così consequenziali ma il suo soffermarsi sui problemi ancora vivi dell'Italia non aveva il senso di un elenco asettico quanto quello - più politico - di un'agenda su cui impegnarsi.

È, insomma, come se mettesse sotto gli occhi dei partiti e dei leader una piattaforma politica lasciata in sospeso, un punto di ripartenza per l'Esecutivo Gentiloni e per il Pd che è la forza di maggioranza a sostenerlo in Parlamento. Un giudizio di luci e ombre per il Governo Renzi che, tuttavia, dopo la sua caduta non poteva automaticamente portare alle urne. Lo dice agli italiani, ma spiegando le ragioni della sua scelta è come se diventasse anche lui un “asse portante” dell'Esecutivo Gentiloni.

Con franchezza ammette di aver ricevuto consensi ma anche molte critiche per la sua scelta di fermare i motori dello scioglimento anticipato e formare un nuovo Governo ma che senza leggi elettorali omogenee si rischia l'ingovernabilità. Ieri, dunque, si è presentato agli italiani con un profilo più politico nonostante avesse iniziato il settennato riservando per sé un ruolo più “civico” e “sociale”. E invece – le attuali circostanze – lo stanno trasformando in azionista di riferimento del Governo Gentiloni, sia nel programma che nella durata. E si consente anche due repliche, senza toni polemici: contro il ministro Poletti quando dice che tutti i giovani che lavorano all'estero meritano rispetto. E contro Grillo quando parla di derive di odio sul web. Comincia una nuova stagione per il Quirinale. Quanto sarà lunga dipenderà dalla nuova legge elettorale.

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-01-01/un-mattarella-piu-politico-inizia-nuova-stagione-il-quirinale-113220.shtml?uuid=ADhzt9NC
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #11 inserito:: Gennaio 02, 2017, 06:52:26 pm »


l'Unità TV > Focus
Rudy Francesco Calvo    - @rudyfc
· 31 dicembre 2016

Mattarella: “Non ci devono essere cittadini di serie B”

La solidarietà e la coesione sono al centro del messaggio del Capo dello Stato. Attenzione alla mancanza di lavoro, soprattutto per i giovani, e all’odio “come strumento di lotta politica”

“La solidarietà diventa realtà quando si uniscono le forze per la realizzazione di un sogno comune”. Sergio Mattarella affida a un disegno ricevuto dai bambini della scuola d’infanzia di Acquasanta Terme, uno dei comuni colpiti dal terremoto, il messaggio portante del proprio messaggio di fine anno. Quelli della solidarietà, del senso di comunità che “costituisce la forza principale dell’Italia”, della coesione sono i valori che il Capo dello Stato sottolinea con più forza nel ricordare i momenti più difficili vissuti dal Paese in questo 2016 e nel guardare all’anno nuovo.

Al contrario sono la mancanza di lavoro, l’odio come strumento di lotta politica (con particolare attenzione a quello diffuso sul web), le “diverse forme di illegalità” con in testa l’evasione e la corruzione, l’emigrazione dei più giovani per necessità e non per scelta, i fenomeni da combattere con più decisione. “Le difficoltà, le sofferenze di tante persone vanno ascoltate e condivise”, perché “non possono esserci cittadini di serie B”.

L’ambiente semplice che lo circonda, il tono sempre pacato, le parole rivolte quasi interamente alla condizione del Paese piuttosto che alle vicende della politica: Mattarella conferma così le anticipazioni della vigilia e più che raffigurare agli italiani l’immagine delle istituzioni, seppure in una fase particolarissima dopo il referendum del 4 dicembre e l’avvicendamento a palazzo Chigi tra Renzi e Gentiloni, preferisce rivolgersi a chi occupa posizioni di potere per mostrare forze e debolezze di un Paese non ancora uscito del tutto dalla crisi, ma caratterizzato da “fratture” persistenti.

Solo nel finale concede due passaggi più strettamente ‘politici’ (anche se politicissimo, in senso ampio, è tutto il suo intervento). Il primo rivolto all’Europa, alla quale chiede “gesti di concreta solidarietà sul problema della ripartizione dei profughi e della gestione, dignitosa, dei rimpatri”. Il secondo quando ribadisce che portare il Paese al voto dopo le dimissioni del governo Renzi sarebbe stato “poco rispettoso nei loro (degli elettori, ndr) confronti e contrario all’interesse del Paese”. La nascita di un nuovo esecutivo, invece, si è resa necessaria “sia per consentire al Parlamento di approvare nuove regole elettorali sia per governare problemi di grande importanza che l’Italia ha davanti a sé in queste settimane e in questi mesi”.
Il testo completo del messaggio di Mattarella:

Buonasera

Nell’attesa del nuovo anno desidero rivolgere gli auguri migliori a tutte le italiane e a tutti gli italiani.

A quelli che risiedono nel nostro Paese e a quelli che ne sono lontani, per studio o per lavoro, e sentono intensamente il vincolo di appartenenza alla Patria.

Ho visitato, anche quest’anno, numerosi territori, ho incontrato tante donne e tanti uomini. Ho conosciuto le loro esperienze, ho ascoltato le loro speranze, le loro esigenze. Ho potuto toccare con mano che il tessuto sociale del nostro Paese è pieno di energie positive. Tante persone – ragazzi, giovani, adulti, anziani – svolgono, con impegno, il proprio dovere. Molti vanno anche oltre, pronti a spendersi per gli altri e per la collettività, a soccorrere chi si trova in pericolo o in difficoltà. Senza inseguire riconoscimenti o cercare la luce dei riflettori.

Con tutti ho condiviso sofferenze e momenti di gioia.

Il nostro Paese è una comunità di vita, ed è necessario che lo divenga sempre di più.

Ci siamo ritrovati uniti in occasione di alcuni eventi che hanno suscitato l’emozione e la partecipazione di tutti noi.

Abbiamo vissuto insieme momenti dolorosi. Dall’assassinio di Giulio Regeni, mentre svolgeva, al Cairo, la sua attività di ricercatore, alla morte, in Spagna, delle nostre ragazze che studiavano nel programma Erasmus. Dalla strage di Dacca a quella di Nizza, con nostri connazionali tra le vittime. Dal disastro ferroviario in Puglia al terremoto che ha sconvolto le Regioni centrali, provocando tanti morti.

Negli ultimi giorni, abbiamo pianto Fabrizia Di Lorenzo, uccisa nell’attentato di Berlino. Così come era avvenuto, sul finire dell’anno scorso a Parigi, per Valeria Solesin.

Ai loro familiari desidero rivolgere, a nome di tutti, un pensiero di grande solidarietà che non si attenua con il passare del tempo.

Lo stesso sentimento di vicinanza esprimo ai familiari di quanti hanno perso la vita per eventi traumatici; tra questi le tante, troppe, vittime di infortuni sul lavoro.

Un pensiero di sostegno va rivolto ai nostri concittadini colpiti dal terremoto, che hanno perduto familiari, case, ricordi cui erano legati. Non devono perdere la speranza.

L’augurio più autentico è assicurare che la vita delle loro collettività continui o riprenda sollecitamente. Ovunque, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nel ritrovarsi insieme. Ricostruiremo quei paesi così belli e carichi di storia.

Ci siamo ritrovati tutti nel sostegno alle popolazioni colpite e nell’apprezzamento per la prontezza e l’efficacia dei soccorsi. Alla Protezione Civile, ai Vigili del Fuoco, alle Forze di Polizia, ai nostri militari, ai tanti volontari esprimo la riconoscenza del Paese. Il loro operato è oggetto dell’ammirazione internazionale.

Lo stesso consenso avvertiamo per l’impegno dalle nostre Forze Armate nelle missioni di pace in Europa, in Asia, in Africa, in Medio Oriente.

Ci siamo tutti rallegrati perché i due fucilieri di Marina, Latorre e Girone, sono finalmente in Italia con i loro cari.

Abbiamo condiviso, con affetto e soddisfazione, il grande impegno e i successi dei nostri atleti alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi. Come non ricordare l’entusiasmo travolgente di Bebe Vio?

Abbiamo, in tante città, rievocato i settanta anni della Repubblica e del voto alle donne.

Questo senso diffuso di comunità costituisce la forza principale dell’Italia, anche rispetto alle tante difficoltà che abbiamo di fronte.

La comunità, peraltro, va costruita, giorno per giorno, nella realtà.

Il problema numero uno del Paese resta il lavoro.

Nonostante l’aumento degli occupati, sono ancora troppe le persone a cui il lavoro manca da tempo, o non è sufficiente per assicurare una vita dignitosa. Non potremo sentirci appagati finché il lavoro, con la sua giusta retribuzione, non consentirà a tutti di sentirsi pienamente cittadini.

Combattere la disoccupazione e, con essa, la povertà di tante famiglie è un obiettivo da perseguire con decisione. Questo è il primo orizzonte del bene comune.

Abbiamo, tra di noi, fratture da prevenire o da ricomporre.

Tra il Nord del Paese e un Sud che è in affanno. Tra città e aree interne. Tra centri e periferie. Tra occupati e disoccupati. Barriere e difficoltà dividono anche il lavoro maschile da quello femminile, penalizzando, tuttora, le donne.

Far crescere la coesione del nostro Paese, vuol dire renderlo più forte. Diseguaglianze, marginalità, insicurezza di alcuni luoghi minano le stesse possibilità di sviluppo.

La crescita è in ripresa, ma è debole. Il suo impatto sulla vita di molte persone stenta a essere percepito. Va ristabilito un circuito positivo di fiducia, a partire dai risparmiatori, i cui diritti sono stati tutelati con il recente decreto-legge.

Essere comunità di vita significa condividere alcuni valori fondamentali. Questi vanno praticati e testimoniati. Anzitutto da chi ha la responsabilità di rappresentare il popolo, a ogni livello. Non vi sarà rafforzamento della nostra società senza uno sviluppo della coscienza civica e senza una rinnovata etica dei doveri.

La corruzione, l’evasione consapevole degli obblighi fiscali e contributivi, le diverse forme di illegalità vanno contrastate con fermezza.

Le difficoltà, le sofferenze di tante persone vanno ascoltate, e condivise. Vi sono domande sociali, vecchie e nuove, decisive per la vita di tante persone. Riguardano le lunghe liste di attesa e le difficoltà di curare le malattie, anche quelle rare; l’assistenza in famiglia agli anziani non autosufficienti; il sostegno ai disabili; le carenze dei servizi pubblici di trasporto.

Non ci devono essere cittadini di serie B.

Sarebbe un grave errore sottovalutare le ansie diffuse nella società.

Dopo l’esplosione del terrorismo internazionale di matrice islamista, la presenza di numerosi migranti sul nostro territorio ha accresciuto un senso di insicurezza.

E’ uno stato d’animo che non va alimentato, diffondendo allarmi ingiustificati. Ma non va neppure sottovalutato. Non rendersi conto dei disagi e dei problemi causati alla popolazione significa non fare un buon servizio alla causa dell’accoglienza.

L’equazione immigrato uguale terrorista è ingiusta e inaccettabile, ma devono essere posti in essere tutti gli sforzi e le misure di sicurezza per impedire che, nel nostro Paese, si radichino presenze minacciose o predicatori di morte.

Anche nell’anno trascorso, le nostre Forze dell’ordine e i nostri Servizi di informazione hanno operato con serietà e competenza perché, in Italia, si possa vivere in sicurezza rispetto al terrorismo, il cui pericolo esiste ma si cerca di prevenire.

A loro va espressa la nostra riconoscenza.

Vi è un altro insidioso nemico della convivenza, su cui, in tutto il mondo, ci si sta interrogando. Non è un fenomeno nuovo, ma è in preoccupante ascesa: quello dell’odio come strumento di lotta politica. L’odio e la violenza verbale, quando vi penetrano, si propagano nella società, intossicandola.

Una società divisa, rissosa e in preda al risentimento, smarrisce il senso di comune appartenenza, distrugge i legami, minaccia la sua stessa sopravvivenza.

Tutti, particolarmente chi ha più responsabilità, devono opporsi a questa deriva.

Il web, ad esempio, è uno strumento che consente di dare a tutti la possibilità di una libera espressione e di ampliare le proprie conoscenze. Internet è stata, e continua a essere, una grande rivoluzione democratica, che va preservata e difesa da chi vorrebbe trasformarla in un ring permanente, dove verità e falsificazione finiscono per confondersi.

Un’altra grave ferita inferta alla nostra convivenza è rappresentata dalle oltre 120 donne uccise, nell’anno che si chiude, dal marito o dal compagno. Vuol dire una vittima ogni tre giorni. Un fenomeno insopportabile che va combattuto e sradicato, con azioni preventive e di repressione.

Desidero, adesso, rivolgermi soprattutto ai giovani.

So bene che la vostra dignità è legata anche al lavoro. E so bene che oggi, nel nostro Paese, se per gli adulti il lavoro è insufficiente, sovente precario, talvolta sottopagato, lo è ancor più per voi.

La vostra è la generazione più istruita rispetto a quelle che vi hanno preceduto. Avete conoscenze e potenzialità molto grandi. Deve esservi assicurata la possibilità di essere protagonisti della vita sociale.

Molti di voi studiano o lavorano in altri Paesi d’Europa. Questa, spesso, è una grande opportunità. Ma deve essere una scelta libera. Se si è costretti a lasciare l’Italia per mancanza di occasioni, si è di fronte a una patologia, cui bisogna porre rimedio.

I giovani che decidono di farlo meritano, sempre, rispetto e sostegno.

E quando non si può riportare nel nostro Paese l’esperienza maturata all’estero viene impoverita l’intera società.

Nel febbraio scorso, in una Università di New York, ho incontrato studenti di ogni continente. Una ragazza ha aperto il suo intervento dicendo di sentirsi cittadina europea, oltre che italiana.

Tante esperienze di giovani che condividono, con altri giovani europei, valori, idee, cultura, rendono evidente come l’Europa non sia semplicemente il prodotto di alcuni Trattati. Un Continente che, dopo essere stato, per secoli, diviso da guerre e inimicizie, ha scelto un cammino di pace e di sviluppo comune.

Quei giovani capiscono che le scelte del nostro tempo si affrontano meglio insieme. Comprendono, ancor di più, il valore della pacifica integrazione europea di fronte alla tragedia dei bambini di Aleppo, alle migliaia di persone annegate nel Mediterraneo e alle tante guerre in atto nel mondo.

E non accettano che l’Europa, contraddicendosi, si mostri divisa e inerte, come avviene per l’immigrazione.

Dall’Unione ci attendiamo gesti di concreta solidarietà sul problema della ripartizione dei profughi e della gestione, dignitosa, dei rimpatri di coloro che non hanno diritto all’asilo.

Un cenno alla vita delle nostre istituzioni.

Queste sono state concepite come uno strumento a disposizione dei cittadini. Sono i luoghi della sovranità popolare, che vanno abitati se non vogliamo che la democrazia inaridisca.

All’inizio di questo mese si è svolto il referendum sulla riforma della seconda parte della Costituzione, con alta affluenza, segno di grande maturità democratica.

Dopo il Referendum si è formato un nuovo Governo.

Ho ricevuto nei giorni scorsi numerose lettere, alcune di consenso, altre di critica per le mie decisioni. Ho letto con attenzione queste ultime: è sempre bene ascoltare, e rispettare, le opinioni diverse. Si tratta di considerazioni di persone che avrebbero preferito nuove elezioni subito, a febbraio, per avere un nuovo Parlamento. Composto, ovviamente, dalla Camera dei deputati e dal Senato, secondo il risultato del Referendum.

Ora, non vi è dubbio che, in alcuni momenti particolari, la parola agli elettori costituisca la strada maestra. Ma chiamare gli elettori al voto anticipato è una scelta molto seria.

Occorre che vi siano regole elettorali chiare e adeguate perché gli elettori possano esprimere, con efficacia, la loro volontà e questa trovi realmente applicazione nel Parlamento che si elegge.

Queste regole, oggi, non ci sono: al momento esiste, per la Camera, una legge fortemente maggioritaria e, per il Senato, una legge del tutto proporzionale.

L’esigenza di approvare una nuova legislazione elettorale mi è stata, del resto, sottolineata, durante le consultazioni, da tutti i partiti e i movimenti presenti in Parlamento.

Con regole contrastanti tra loro chiamare subito gli elettori al voto sarebbe stato, in realtà, poco rispettoso nei loro confronti e contrario all’interesse del Paese. Con alto rischio di ingovernabilità.

Risolvere, rapidamente, la crisi di governo era, quindi, necessario sia per consentire al Parlamento di approvare nuove regole elettorali sia per governare problemi di grande importanza che l’Italia ha davanti a sé in queste settimane e in questi mesi.

Rivolgo gli auguri più sinceri a Papa Francesco, auspicando che il messaggio del Giubileo, e i suoi accorati appelli per la pace, vengano ascoltati in un mondo lacerato da conflitti e sfidato da molte incognite.

Cari concittadini,

qualche giorno fa, nelle zone del terremoto, ho ricevuto questo disegno in dono dai bambini della scuola dell’Infanzia di Acquasanta Terme, ritrae la loro scuola.

Vi è scritto: “La solidarietà diventa realtà quando si uniscono le forze per la realizzazione di un sogno comune”.

Vorrei concludere facendo mio questo augurio, e rivolgendolo a ciascuno di voi, perché i sogni dei bambini possono costruire il futuro della nostra Italia.

Buon anno a tutti.

Da - http://www.unita.tv/focus/mattarella-discorso-fine-anno-2016/
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #12 inserito:: Febbraio 26, 2017, 12:21:38 am »


Mattarella: "No alle guerre commerciali, con unilateralismo rischio rottura globale"
Il capo dello Stato in visita in Cina rimanda, col suo pensiero, a Donald Trump e ai populismi isolazionisti, anche europei, prendendo così chiaramente le distanze dal nuovo presidente degli Stati Uniti e proprio alla vigilia del summit italiano del G7 a Taormina: "Basta azioni unilaterali disordinate e frenetiche"

Dal nostro inviato ANGELO AQUARO
24 febbraio 2017

SHANGHAI – “Non possiamo rischiare che la delicata trama delle relazioni internazionali sia scossa da ‘guerre commerciali’ innescate da pure azioni e reazioni”. Dobbiamo “governare la globalizzazione nella quale le disuguaglianze rischiano di portare l’ordine globale vicino alla rottura”. “Una preoccupazione alimentata dal progressivo affermarsi di un clima di minor collaborazione a livello internazionale”. Una volta è un caso, due sarà una coincidenza: ma è la terza volta che il capo dello Stato rimanda, col suo pensiero, a Donald Trump e ai populismi isolazionisti, anche europei, prendendo così chiaramente le distanze dal nuovo presidente degli Stati Uniti e proprio alla vigilia del summit italiano del G7 a Taormina. Tre ferme prese di posizione per chiarire quanto la visione dell’Italia diverga dunque da quella strombazzata a Washington: e quanto Roma continui, invece, ad attenersi a quel principio del “multilateralismo efficace”, che passa anche per Pechino, diametralmente opposto ai valori dell’America First, prima di tutto l’America, sbandierati dal nuovo capo del mondo libero.

I ragazzi italiani e cinesi che si ritrovano alla Fudan University per la lectio magistralis di Sergio Mattarella ascoltano e interrompono con gli applausi i passaggi più salienti. E come non potrebbero condividere le preoccupazioni del presidente? Il capo dello Stato, qui in Cina, ricorda “l’illusoria concezione di centralità del mondo” dell’Occidente, spiega che “Cina e Italia, Estremo Oriente e Unione Europea possono, insieme, scrivere una nuova pagina nella storia”. L’aria serena dell’Ovest non è più tanto serena da quando alla Casa Bianca è arrivato un signore che è tornato a contrapporre l’America al resto del pianeta. Invece, insiste Mattarella, ormai viviamo in “un mondo multipolare nel quale la capacità di costruire aggregazioni fa la differenza”. Aggregare, non contrapporre. Unire, non dividere. “Soltanto così possiamo pensare di superare le difficoltà di una contingenza economica a dir poco complessa, dalla quale sarà certamente più semplice uscire attraverso un’azione coordinata, piuttosto che a seguito di azioni unilaterali disordinate e frenetiche”. Ed è in questo senso che non si può “che plaudire all’iniziativa cinese One Belt One Road”, cioè la nuova Via della Seta e delle infrastrutture promossa dalla Cina di Xi Jinping “che costituirà un nuovo, importante asse nelle relazioni tra i nostri continenti”. Asia e Europa. E l’America?
Mattarella in Cina: incontra Xi Jinping a Pechino
Già giovedì, alla CCTV, la tv di Stato cinese, il presidente ha ricordato che “siamo ancora agli inizi di questa presidenza americana”, e però “noi speriamo fortemente che non vi siamo guerre commerciali”, come quella ventilata in campagna elettorale contro Pechino: avvertimento numero uno. Venerdì mattina, nell’incontro con il sindaco di Shanghai Ying Yong, che lo ha accolto “a nome di 24 milioni di cittadini”, cioè più di un terzo dell’intera popolazione italiana, il presidente ha spiegato di “apprezzare il contributo della Cina nel rispetto degli accordi sul clima di Parigi e di Marrakesh” e si è augurato che lo stesso tipo di impegno venga seguito in altre parti del mondo: avvertimento numero due, lo sanno tutti che The Donald quegli accordi li ha subito denunciati e nella sua amministrazione ha perfino premiato i negazionisti del surriscaldamento globale.

No che non lo cita mai direttamente il Commander in Chief americano, e ci mancherebbe. È una visita di Stato, e in Cina: non si usa entrare negli affari d’altri, e poi la vocazione atlantica dell’Italia non si discute, ma che scherziamo, non sarà certamente una presidenza su cui, appunto, non ci si può ancora pronunciare a incrinare ottant’anni di solidissime relazioni. Non è questo il punto, infatti. Le differenze sono altre. Quando adesso, in questa lectio che suona come l’avvertimento numero tre, il presidente dice che “i grandi problemi di oggi – le migrazioni, i cambiamenti climatici, una gestione efficiente dell’economia mondiale attenta alle trasformazioni sociali indotte dai cambiamenti demografici – richiedono un rinnovato impegno da parte di tutti gli attori internazionali”, sta disegnando un percorso politico che porta nella direzione opposta alla costruzione di muri, trumpiani o meno: contro ogni Brexit o exit di ogni tipo, dal populismo isolazionista di Marine Le Pen a quello di Geert Wilders. E quando denuncia il rischio di “guerre commerciali” chiarisce di sentire, “piuttosto, la necessità di procedere in direzione diametralmente opposta” di quella politica di divisione che porterebbe invece a uno “scenario” che “non vedrebbe vincitori, ma soltanto sconfitti. E i primi a patirne le conseguenze sarebbero i nostri cittadini”. Di più. “In questo senso, abbiamo registrato con vivo interesse le posizioni recentemente espresse dal Presidente Xi Jinping al Forum economico di Davos”: in quel discorso, cioè, che tutto il mondo ha accolto come l’elogio della globalizzazione negata, appunto, dal solito Trump.
Cina, Aquaro: ''Ottima intesa personale tra Mattarella e Xi Jinping''
Occhio, naturalmente, a non banalizzare: la critica indiretta a Trump non si traduce nell’abbraccio a Xi. Piuttosto è la visione solo oggi abbozzata del leader cinese che bene si inquadra in quel “multilateralismo efficace” da tempo invocato dall’Italia, che rappresenta un principio che è anche “l’impostazione che il nostro Paese sta dando alla sua presidenza del G7 e alla presenza italiana in Consiglio di sicurezza” dell’Onu. La direzione è dunque tracciata. “Dobbiamo lavorare intensamente, per individuare soluzioni che contrastino le tendenze all’involuzione, alla chiusura, all’unilateralismo”. Perché “l’obiettivo non può che essere quello di una più corretta distribuzione del reddito prodotto, di una conseguente redistribuzione delle disuguaglianze“, di uno stimolo della crescita dei paesi a più debole economia”. Tema particolarmente sentito dall’Italia, e che è stato già sollevato nel colloquio a due con Xi Jinping, perché solo così “si può riassorbire l’altrimenti crescente e inevitabile fenomeno delle migrazioni di massa”.

“Occorre dunque che le ‘Vie della Seta’ si moltiplichino” dice Mattarella “e che le strade del nostro conoscersi si approfondiscano. Occorre che la ‘Seta’ dei millenni passati possa essere declinata nei tanti beni – materiali e immateriali – che Cina, Italia e Europa possono scambiarsi”. “Le nuove vie della Seta” è appunto il titolo della lectio: da Pechino a Roma e viceversa. Altro che America First. Piuttosto: America, mi senti?

© Riproduzione riservata
24 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2017/02/24/news/mattarella_trump_muri_guerra_commerciale_stati_uniti_cina-159082231/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_24-02-2017
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!