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Autore Discussione: Valori, storia della Sinistra e il Partito Democratico. Per una associazione  (Letto 4566 volte)
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« inserito:: Settembre 24, 2007, 11:02:54 pm »

Buone notizie

Michele Ciliberto


Il nostro, come tutti sanno, è un Paese assai singolare: siamo sempre pronti a criticare e a vedere il lato negativo delle cose, mentre siamo restii a guardare con generosità ed apertura il nuovo che appare all’orizzonte. Si tratta di un dato tipico del nostro carattere nazionale: non la «beviamo», siamo troppo astuti per lasciarci ingannare. Giuseppe Prezzolini, che se ne intendeva, una volta parlò di una «società degli apoti», intendendo riferirsi a coloro che non si lasciano «fregare», che si mettono al di sopra delle cose, senza lasciarsi fuorviare,chiusi nella torre della loro «intelligenza». È il nostro costitutivo, originario «guicciardinismo».

È un atteggiamento che è manifestato anche nei giudizi dati nei confronti del Partito Democratico, al quale molti in questi mesi hanno guardato con fastidio e supponenza, favoriti - bisogna dirlo - anche dalle diatribe fra i sostenitori del nuovo Partito. Eppure, se ci togliamo le bende dagli occhi, è facile vedere che è in corso, nel nostro Paese, una grande iniziativa democratica, in controtendenza rispetto a quelli che sono stati i processi politici degli ultimi decenni: una grande esperienza di partecipazione di migliaia e migliaia di persone alla formazione delle liste elettorali che non ha precedenti, credo, non solo nella storia del nostro Paese.

Non ho alcuna intenzione di suonare il piffero delle primarie. Lo so bene: all’inizio le cose si sono presentate in modo del tutto diverso, come un gioco tutto interno alle dinamiche dei gruppi dirigenti dei Partiti, con il rischio di perdere un’occasione straordinaria. Ma le cronache di questi giorni dimostrano che le cose stanno andando, alla fine, in modo diverso, e di questo occorre saper prendere atto. Si sono costituite liste nelle quali è significativa la presenza dei giovani, delle donne, di quella che con un termine generico viene chiamata «società civile»; c’è stato - e questo è il dato più importante - il coinvolgimento di persone, di ceti, di gente che si era situata da tempo in un atteggiamento di distacco - se non di critica aspra - dai circuiti tradizionali della vita politica e dei partiti. C’è stato un movimento, insomma, che sarebbe sciocco sottovalutare.

Intendiamoci: siamo, come si dice, in corsa d’opera; né è facile prevedere quale sarà l’approdo di questo processo: se le acque del Sinai si richiuderanno nuovamente, o se si riuscirà ad aprire un varco nella testuggine della politica professionalmente intesa. Ma in queste settimane è stato fatto un passo importante in avanti nel quale hanno giocato un ruolo importante molti motivi fra i quali è giusto menzionare un atteggiamento per una volta aperto - per certi versi lungimirante - dei gruppi dirigenti delle forze politiche che stanno dando il contributo più forte alla nascita del nuovo Partito (a cominciare, lo voglio dire, da Piero Fassino). Non era un approdo scontato, anzi; è stato il frutto di una lotta politica. Qualunque sia la ragione che li ha guidati - sia pure il puro e semplice istinto di sopravvivenza - quei gruppi dirigenti hanno, in ogni caso, dato il massimo che potevano dare, facendo in molti casi un passo indietro e lasciando la strada a forze nuove - il massimo, tenendo naturalmente conto della loro formazione e della loro storia -. E lo hanno fatto - e anche questo è assai positivo - dando vita a un positivo confronto democratico, reso possibile dalla presentazione di una molteplicità di candidature nelle quali si è potuta esprimere la varietà e la ricchezza delle energie che stanno confluendo nel nuovo Partito. Certo, se si pensa ai timori, alle perplessità e alle diffidenze che suscitò, a suo tempo, la presentazione delle candidature di Rosy Bindi e di Enrico Letta, si capisce come sia ancora difficile, per tutti noi, abituarsi allo stile di una normale vita democratica, di un ordinario conflitto tra forze e posizioni differenti; e quanto sia lunga la strada che il nuovo Partito è chiamato a compiere.

Il processo che si sta svolgendo in questi giorni sarebbe però del tutto inconcepibile se non si tenesse conto di un fatto decisivo che, come un fiume carsico, ha segnato la vita italiana degli ultimi anni: in altre parole, di quella voglia di partecipazione che si è manifestata in eventi che sono nella mente di ciascuno, a cominciare dalle primarie per la designazione sia di Prodi che dei vari amministratori del centrosinistra. Una voglia, un desiderio di partecipazione che non si è perduta nonostante le ripetute delusioni subite, e che è ritornata in questi giorni alla luce, nella formazione delle liste per l’elezione degli organi del Partito Democratico: il quale sarà perciò tanto più forte quanto più sarà in grado di intercettare questo bisogno di partecipazione che connota, nonostante tutto, il nostro «vivere civile», e di dare ad esso coerenti risposte sul piano di nuove forme di rappresentanza sociale e politica.

È un bisogno che si esprime in vari modi nel nostro Paese, anche contraddittori: a che cosa allude il successo di Grillo - del quale si sproloquia tanto in questi giorni - se non a questo profondo bisogno di partecipazione? E che senso ha assumere un atteggiamento pregiudizialmente negativo - evocando addirittura il fascismo - nei confronti del movimento che Grillo è riuscito ad innescare con grande sapienza organizzativa ed usando in modo intelligente le nuove risorse offerte dalla rete? Analisi come queste non ci portano da nessuna parte; così come non serve evocare atmosfere e situazioni del ’68 o parlare del qualunquismo e di Guglielmo Giannini. Come diceva un grande filosofo: niente ritorna nella «ruota del tempo». Il successo di Grillo e del suo movimento è qualcosa di nuovo e di attuale: parla di un deficit della politica organizzata quale essa è oggi, di riti che la gente non ha più voglia di sopportare, delle inutili sopraffazioni che le sono quotidianamente imposte.

Bisognerebbe ricordarselo sempre: è dalla politica che nasce l’antipolitica, sono due facce dello stesso processo: ed è su entrambi i piani che bisogna intervenire, se si vuole dare un esito alla crisi di sovranità che travaglia il nostro Paese. In questo senso, la vicenda di Grillo parla anche del Partito Democratico, dei problemi che esso ha di fronte, delle nuove esigenze di partecipazione che attraversano il Paese, alle quali occorre dare un esito positivo, sia sul piano ideale che su quello programmatico. Sono, anche in questo caso, lati di processi che vanno considerati e giudicati in modo organico, omogeneo, senza isolare gli uni dagli altri.

L’ho già detto: non ho alcuna intenzione - o vocazione - a suonare il piffero delle primarie del Partito Democratico, e vedo bene tutti i problemi che esso ha davanti. Ma resto persuaso che di fronte a noi c’è una grande occasione, che riusciremo a sfruttare se metteremo, finalmente, all’ordine del giorno una moderna riforma della politica. Se ne parla da decenni, e si capisce: è questo il vero nodo della democrazia italiana. Ed è proprio su questo terreno che dall’esperienza di questi giorni viene un barlume di speranza: forse è possibile aprire un nuovo spazio nel quale possono incontrarsi in modi nuovi politica e partecipazione, ponendo su nuove basi i problemi della rappresentanza e della sovranità all’ordine del giorno.

Questa, se non sbaglio, è la lezione che le primarie di ieri e di oggi ci stanno impartendo. Bisogna impararla, perché solo se riuscirà a risolvere questo problema pregiudiziale il Partito Democratico potrà pensare di affrontare con successo quello che è (o dovrebbe essere) il suo compito: individuare, nelle nostre società, nuovi nessi tra libertà ed eguaglianza, tra giustizia e libertà.

Pubblicato il: 24.09.07
Modificato il: 24.09.07 alle ore 9.05   
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 01, 2007, 04:17:06 pm »

I valori, la storia della Sinistra e il Partito Democratico

I valori, la storia della Sinistra e il Partito Democratico. Per una associazione.

«E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Art. 3 della Costituzione

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Facciamo LA COSA GIUSTA, e NECESSARIA, e POSSIBILE.
Vogliamo fare sorgere una "Associazione nazionale della Sinistra per il Partito Democratico".
Non sarà una aggregazione INTERNA ai DS o alla Margherita o ad altre forze politiche.
Al contrario: l'obiettivo è quello di una Rete di iniziativa, composta da iscritti e non iscritti ai partiti, ed a tutti i partiti, dell'Ulivo.
Una associazione nazionale per l'Unità dell'Ulivo, per il Partito Democratico, che trova la sua specificità nella riaffermazione, attualizzati, dei valori dei momenti più alti della Sinistra: pace, ambiente e salvaguardia del pianeta; solidarietà, cambiamento sociale e sviluppo sostenibile; eguaglianza delle persone, nella cittadinanza e nelle condizioni e scelte di vita, nei diritti e nei doveri.
Valori e storia che hanno inciso profondamente nella democrazia italiana, come l’articolo 3 della Costituzione della Repubblica, quello dei compiti della Repubblica per garantire sostanza concreta ai diritti di libertà a cui vogliamo riferirci anche nel nostro nome, così bene indica.
La responsabilità pubblica resta il riferimento, ancora più forte, nell’epoca nostra di grandi prove, per la pace, l’ambiente, la salvaguardia del pianeta.
Guardare alto ha condotto, sempre, la Sinistra a guardare alla qualità concreta della propria proposta, alla via del governo e non della passiva accettazione della marginalità.
L’Italia ha vinto, alle ultime elezioni politiche, una “battaglia per la vita”. Abbiamo vinto. Dobbiamo governare.
Abbiamo vinto per poco. Serve una forte capacità di coinvolgere ed allargare il consenso.
Serve una iniziativa nella società.
Bisogna chiarire sempre per chi si governa, far parlare i bisogni, portarli ad avere voce.
E’ necessario agire nella società civile per campagne che pongano le questioni di riforma e sorreggano poi l’azione del Governo.
E’ un’occasione che è imperativo cogliere, nell’oggi, ma è anche una prova per avviare una riforma della politica, lo strumento per assicurare democrazia e futuro.

C’è un punto di contatto fra il dovere di tenere unità e forte la maggioranza di governo e la prospettiva di riformare partecipazione e politica.
E’ nel punto centrale, in questo quadro politico, della ricomposizione dell'Ulivo in un unico soggetto politico.
Non condividiamo proposte che richiedono o la negazione di questo obiettivo o il suo approdo unicamente federativo, già sperimentato negativamente, o il suo rallentamento.
Il nocciolo del problema è “FARE LA COSA GIUSTA”, scegliere e battersi per il sostegno al Governo ed all'Unione, la sua qualificazione riformatrice, l'urgenza di compiere la scelta unitaria,

Questa scelta è un segno di RESPONSABILITA', non conduce ad arrendevolezza ma al contrario a dare un contributo ad una azione di rinnovamento.
Non saranno le posizioni burocratiche ad assicurare che si giunga al Partito Democratico. Servono nuovi impegni ed adesioni.
Non sarà una scelta facile o "comoda". Già i congressi di DS e Margherita si annunciano difficili come tutta la fase politica.

Siamo convinti che fare congressi tutti interni è già "perdere" i congressi.

Nel rispetto di chi mostra un dissenso di fondo bisogna impegnarsi per fare "congressi aperti” insieme con tutti i cittadini dell'Ulivo, per far esprimere forze e persone nuove.

E’ GIUSTO E RESPONSABILE scegliere l’unità, ma è anche POSSIBILE.

Ci sono le forze, i soggetti, le volontà necessarie per andare avanti.

Non è vero che bisogna sempre e solo scegliere fra omologazione e minoritarismo.
La cultura della democrazia, il mondo del lavoro, il protagonismo delle donne , la necessità di futuro dei giovani richiede e può realizzare qualcosa di più.

Non è una scelta facile per noi che veniamo da percorsi ed opinioni diversi. E non vogliamo rinunciare alle nostre diverse convinzioni.
Per noi l’Ulivo non è un apriori, un pensiero unico, Ma, per noi tutti il progetto di un “partito dell’Ulivo” è un terreno di confronto decisivo, al quale non vogliamo sfuggire.
Chi ritiene di riferirsi ad idealità più forti, ad un impegno politico e civile maggiormente attento alla giustizia, alla pace, alla democrazia ha la possibilità e il dovere di portare un contributo a questo confronto, anzi di richiederlo, di esigerlo.

Proprio la nostra “differenza” può farci dare un contributo per parlare al paese.

La cultura critica, se si libera dal bozzolo delle ideologie, può contribuire ad incontrare la difficoltà della salvaguardia del pianeta, della pace, della sicurezza del lavoro e della vita quotidiana, della condizione umana.

Nei movimenti della Società civile e del mondo del lavoro c’è più voglia di presenza, di tornare ad una politica più forte e c’è la consapevolezza che l’unità è un bene prezioso, la cui perdita sarebbe irrimediabile.

E’ qui il punto più rilevante.
Mai dire: “i movimenti passano, i partiti restano”.
Bisogna essere in sintonia con quella giusta opinione presente nei movimenti che chiede, insieme, di stare nel processo unitario e di portarvi contenuti più forti e caratterizzati.

Il nuovo partito unitario non deve nascere “contro” la storia dei grandi movimenti riformatori e certamente non contro la Sinistra italiana.
Bisogna portare le grandi esperienze della Sinistra italiana di oggi in questo nuovo campo, che sarà comunque quello più vasto nel centrosinistra.

Solo così l’Ulivo potrà essere una storia lunga e feconda di futuro e, nell’oggi, essere la forza trainante e che riesce a tenere unita la coalizione e a reggere la prova del governo.

Cercheremo di essere lievito e reagente perché le grandi culture della democrazia siano interpellate a riproporsi, a riformularsi, nella nuova forza.

I “nostri compiti” sono duplici:
- da un lato contribuire a un arricchimento sui punti di fondazione etici e sociali del nuovo partito dell’“Ulivo” e
- dall’altro lato impegnarsi perché si promuova un ampio e vero processo costituente dell’Ulivo, con modalità di partecipazione vaste e antitetiche all’appello ai gia’ convinti.

E’ qui il modo migliore di opporsi al rischio di veder nascere una forza moderata e fatta solo di ceto politico.

Non ci sono risposte precostituite su come organizzare una buona politica, sono invece ben noti i guasti della cattiva politica.

Serve più politica, non meno, per porvi rimedio, la passione dei grandi temi, delle grandi motivazioni, (il Globale) e lo studio, la discussione comune, l’azione sulla realtà nella quale si vive, e sul come ci si vive (il Locale).

“Globale/Locale” per noi significa anche “Generale/personale”.
Oggi, nuovamente, si allargano gli interessi della politica ai temi del corpo, delle identità, delle relazioni e del quotidiano, dove il limite deve essere quello del rispetto e della laicità non la mancanza di interesse per le dimensioni profonde della persona.
Per queste convinzioni ci siamo impegnati per i diritti umani e una politica di pace, per una nuova politica economica di equità, per la laicità, nel dialogo, e intendiamo proseguire.

Per queste convinzioni vogliamo dare vita a una diffusa iniziativa su tre grandi temi di esemplare priorità:

- la messa al bando della pena di morte e per una giustizia internazionale,

- una nuova dignità e sicurezza del lavoro, nell’epoca del cambiamento e dell’incertezza,

- l’integrazione di liberi individui, di differenti culture, in una scuola pubblica riformata.

Ci misureremo, senza velleitarismi, ma con una volontà chiara, “dare una mano” non solo a discutere sul “come” deve essere l’Ulivo, ma anche sul perché, “per che cosa” lo vogliamo unito.

In sintesi, tutto ci porta a dire: No a “farsi da parte”, no a delegare.

Serve “un impegno nuovo”.

L’Ulivo ha bisogno di coscienze vigili, di vedere le sue energie morali ed intellettuali, che si ritengono e forse sono, più combattive non per forza ghettizzate o minoritarie.
Bisogna esserci e aprire il confronto, coinvolgere chi ha idealità e posizioni simili che chiama, magari, per storia e cultura , con nomi differenti.
Soprattutto bisogna raccogliere la partecipazione di chi è fuori dai partiti esistenti ma vuole fare politica, seguendo idealità, valori, voglia di giustizia, e vuole farlo in un contesto vitale, “democratico” appunto.

La nostra associazione darà il suo contributo.

“Associazione della Sinistra per il Partito Democratico, Articolo 3”

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« Risposta #2 inserito:: Giugno 28, 2017, 12:03:24 pm »

Una sinistra sorda mediti sugli errori
A oltre sei mesi dal referendum perso il 4 dicembre, la sconfitta in queste comunali è grave proprio perché capillare.
Difficile pensare di cavarsela affermando che si tratta di “fatti locali”

di STEFANO FOLLI
26 giugno 2017

IN FONDO alle urne di un secondo turno desertificato dall’astensionismo, c’è la vittoria del centrodestra. Vittoria netta e indiscutibile, a cominciare da Genova, città simbolo di queste elezioni comunali. Era una storica roccaforte della sinistra, da oggi avrà un’amministrazione di destra, sull’asse Forza Italia-Lega- Fratelli d’Italia che già governa la regione con Toti.

Ma le liste berlusconiane e leghiste si affermano un po’ ovunque, da Nord a Sud. Berlusconi dimostra di essere politicamente immortale: un moderno “Rieccolo” come ha detto qualcuno ricordando la definizione che Montanelli aveva coniato per Amintore Fanfani. Ma è un Berlusconi che nel settentrione deve molto alla Lega e anche all’afflusso degli elettori Cinque Stelle (quelli che si sono scomodati per andare a votare, s’intende). L’esclusione del partito di Grillo da quasi tutti i ballottaggi — tranne Asti e Carrara — ha avuto l’effetto di rinforzare i candidati del centrodestra a scapito degli avversari strategici del M5S, vale a dire le liste del Pd. Certo, è una magra consolazione per il movimento anti-sistema, le cui ambizioni erano più alte e che si è ritrovato di fatto a spalleggiare uno dei protagonisti del sistema contro l’altro. Annoverando per se stesso solo la vittoria a Carrara.

Per il centrosinistra invece è una sconfitta cocente e molto dolorosa. A parte Genova, anche altrove i dati sono sconfortanti. Si è molto detto circa la pretesa di Renzi di essere autosufficiente, cioè non condizionato dai gruppi alla sua sinistra. Ma queste amministrative dimostrano che anche laddove il Pd si presenta come centrosinistra allargato, comprendendo quindi la sinistra radicale, il risultato è ugualmente negativo. Si veda il capoluogo ligure, appunto, ma non solo. La sconfitta — con l’eccezione di Padova — riguarda un ventaglio di centri troppo ampio per non suggerire urgenti riflessioni al vertice del partito renziano. Ci sono tutte le città che contano. C’è persino L’Aquila, che alla vigilia veniva data per acquisita alla sinistra come emblema di un ritrovato rapporto con l’opinione pubblica dopo gli anni travagliati del dopo-terremoto.

A questo punto il Pd deve considerare i suoi errori. A livello locale ma soprattutto nazionale. Sarebbe miope individuare qualche capro espiatorio o peggio denunciare inesistenti complotti. È evidente che il partito ha perso credibilità e non riesce più ad afferrare il bandolo della matassa. A oltre sei mesi dal referendum perso il 4 dicembre, la sconfitta in queste comunali è grave proprio perché capillare. Difficile pensare di cavarsela affermando che si tratta di “fatti locali”. Quando gli aspetti, diciamo così, locali esprimono lo sfilacciarsi di un tessuto politico e sociale tale da abbracciare una porzione così significativa del territorio, significa che la rotta è sbagliata. E non si tratta solo di alchimie, di alleanze da cercare a tavolino o di un ceto politico da riconnettere. A questo punto c’è una relazione con il proprio elettorato che va ripensata prima che sia troppo tardi.

Ammesso che già non sia tardi. In verità il segnale del 4 dicembre è stato ignorato e oggi il partito di Renzi paga le conseguenze di questa sordità. Senza peraltro che altri abbiano in tasca la soluzione della crisi.
Quanto al centrodestra vincitore, il limite è che si tratta di elezioni locali. Nel senso che Berlusconi e forse anche Salvini sono i primi a sapere che l’alleanza vincente a livello locale non può essere riproposta tale quale a livello nazionale. Soprattutto se il sistema elettorale sarà proporzionale, con ciò incentivando la presentazione di liste separate. E non è solo questo. La linea di Salvini verso l’Europa non è conciliabile con quella dell’ultimo Berlusconi, di nuovo vicino al Partito Popolare e ad Angela Merkel. Prima di immaginare una lista unica del centrodestra alle politiche, qualcuno dovrà cambiare idee e posizioni in modo netto. Forse è più facile prevedere che ognuno vada per conto suo a raccogliere voti per poi discutere nel nuovo Parlamento.

Un Parlamento che a questo punto potrebbe anche avere una maggioranza di centrodestra. Chissà se è lo scenario preferito da Berlusconi. Forse no: l’idea di governare insieme a un Salvini trionfante non è proprio in cima ai desideri del “Rieccolo” di Arcore.


© Riproduzione riservata 26 giugno 2017

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