Berlusconi e la doppia anomalia
In questa Italia, che scivola ormai verso il "teatro dell'assurdo", almeno chi opera nelle istituzioni ha il dovere di non recitare troppe parti in commedia
Di MASSIMO GIANNINI
10 giugno 2017
LA "CONFIDENZA" del boss di Cosa Nostra Giuseppe Graviano, che in carcere rivela a un camorrista "Berlusca mi chiese questa cortesia...", non è solo una voce lontana che sale dall'Oltretomba della Repubblica per farci risprofondare nell'eterno mistero delle stragi mafiose. E non è neanche la "prova giudiziaria" definitiva che inchioda il Cavaliere alle sue responsabilità penali.
NON basta una chiacchiera, intercettata durante l'ora d'aria, per stabilire una volta per tutte che lui è davvero il mandante occulto della tragica mattanza che insanguinò l'Italia tra il 1992 e il 1993. Ma è senz'altro la "prova politica" di quanto sarebbe stata e sarebbe tuttora innaturale, dissennata e suicida la prospettiva di un "governissimo" tra Renzi e Berlusconi.
Un irriducibile manipolo di franchi traditori, insieme a un inaffidabile esercito di malpancisti grillini, si è preso la briga di assassinare in Parlamento l'accordo neo-proporzionale "alla tedesca". È stata una farsa. Ma è stata anche una fortuna. Proviamo a immaginare cosa sarebbe accaduto, se fosse andato in porto lo scellerato "patto extra-costituzionale" nato solo sulla base delle "convenienze" dei leader (secondo la definizione impeccabile di Giorgio Napolitano). Proviamo a immaginare cosa sarebbe accaduto, se il caso Graviano fosse esploso dopo le elezioni anticipate del 24 settembre e dopo l'auspicata nascita della Grosse Koalition de' noantri tra Pd e Forza Italia. Ci ritroveremmo a fare la manovra economica d'autunno e la riforma del fisco, le misure straordinarie sulla sicurezza e sull'immigrazione, la nuova legge sulla giustizia penale e sul codice antimafia, con un alleato nuovamente sospettato di aver trattato con le cosche quell'attacco al cuore dello Stato che 25 anni fa preparò il terreno alla sua "discesa in campo". E considerato "un traditore" da un capobastone (in prigione dal '94 per aver organizzato materialmente gli attentati di Milano Roma e Firenze) perché nonostante i "favori " ricevuti (cioè le bombe), "lui mi sta facendo morire in galera...".
Le parole di Graviano andranno attentamente vagliate dai magistrati, e sono state fermamente smentite dagli avvocati. Ma confermano la persistenza di una "anomalia berlusconiana", che in tutti questi anni nessuna Procura della Repubblica e nessun tribunale della Storia sono mai riusciti a dissolvere. E non sono solo i "soliti sospetti" di collusione con Cosa Nostra, a pesare in questo giudizio. Sono tutti i capitoli che compongono l'infinito e spesso dimenticato "Romanzo del Cavaliere Mascariato". È la condanna definitiva per frode fiscale su Mediaset, scontata tra i vecchietti di Cesano Boscone. È l'innumerevole filiazione dei processi Ruby, arrivati a quota "quater", dai quali emerge ogni volta un quadro di misfatti e di ricatti ormai quasi più penoso che criminoso. È quel grumo gigantesco di interessi, privati e pubblici, passati e futuri, che ieri lo ha spinto da premier " in chief" a varare con impudenza 38 leggi ad personam, e che oggi lo induce da leader "in attesa" a guardare con impazienza alle scelte sulla governance della Rai o sulle norme anti-scalata che dovrebbero difendere il suo impero tv dalle mire di Vivendi. È quella certa idea dello Stato come " res propria", più che " res publica". Delle istituzioni come strutture serventi, più che "organi di garanzia". Del principio di legalità come vincolo burocratico, più che valore democratico. Insomma, tutto ciò che abbiamo imparato a conoscere in un Ventennio, che ha costellato la sua avventura politica e che continuerebbe ad accompagnarlo sempre, in qualunque nuova maggioranza bipartisan lo si volesse ingaggiare.
Per tutti questi motivi è sorprendente che Renzi abbia pensato non solo di scrivere la nuova legge elettorale, ma anche poi di governare insieme al Cavaliere, schierandolo dalla parte sbagliata nel derby "responsabili contro populisti". È preoccupante che un segretario, privo di questo "mandato straordinario", si sia illuso di poter traghettare il Pd (giustamente depurato di ogni ideologia, ma colpevolmente svuotato di ogni identità) verso uno sbocco che ne stravolge la natura e il destino. È inquietante che la "talpa cieca" del Nazareno (come l'ha definita Ezio Mauro) abbia pensato non di scavare il suo tunnel a sinistra, ma di scavarsi la fossa con la destra.
Ma in questa vicenda oscura resta da segnalare anche un'altra anomalia. Il problema non è che le scottanti rivelazioni di un "mammasantissima" escano proprio adesso, nei giorni in cui il Palazzo si scontra sul sistema elettorale e si incontra sulle Larghe Intese: il sacro anatema dell'Unto del Signore, "giustizia a orologeria!", lascia il tempo che trova in un Paese in cui quell'orologio, che incrocia inchieste giudiziarie a raffica e scadenze elettorali a ripetizione, non smette mai di ticchettare. La coincidenza spiacevole è un'altra, e cioè che tra i quattro pm di Palermo che proprio ieri mattina hanno depositato la solita Treccani da 5000 pagine di intercettazioni ci sia anche Nino Di Matteo, toga anti-mafia di primissima linea, che giusto dieci giorni fa al seminario sulla giustizia organizzato dai Cinque Stelle a Montecitorio, rispondendo a chi gli chiedeva se si sentisse pronto a fare il ministro tecnico di un governo pentastellato, aveva risposto testualmente: "L'esperienza di un magistrato può essere utile alla politica".
La sala grillina lo ha acclamato con una standing ovation. Luigi Di Maio lo ha accolto con un "siamo contenti della sua disponibilità ". Non ci sogneremmo mai di pensare che ci sia un nesso tra questo endorsement e il caso Graviano. Primo, perché Di Matteo è magistrato integerrimo. Secondo, perché la procura palermitana è organo collegiale. Ma in questa Italia, che scivola ormai verso il "teatro dell'assurdo", almeno chi opera nelle istituzioni ha il dovere di non recitare troppe parti in commedia.
© Riproduzione riservata 10 giugno 2017
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