Cercas dalla cattedra di Umberto Eco ci spiega la teoria del punto cieco
Pubblicato: 11/03/2016 18:33 CET Aggiornato: 2 ore fa
JAVIER CERCAS
La teoria del punto cieco è un'espressione che rimanda all'anatomia dell'occhio. I nostri occhi hanno "un luogo sfuggente, laterale e non facilmente localizzabile", come ipotizzò il fisico Edme Mariotte nel Seicento, un punto situato nella retina attraverso il quale non si vede nulla, perché privo di recettori per la luce. Non siamo in grado di notare l'esistenza di questo piccolo deficit visivo semplicemente perché vediamo con due occhi (i loro punti ciechi non coincidono) e poi perché il sistema visivo riempie il vuoto del punto cieco con l'informazione disponibile, dal momento che il cervello supplisce a ciò che l'occhio non vede. Al centro dei romanzi di Javier Cercas (autore di Sodati di Salamina, Il movente, Anatomia di un istante, Il nuovo inquilino, L'impostore e molti altri) e di quelli che ammira, "c'è sempre un punto cieco attraverso il quale, in teoria, non si vede nulla" ed è proprio attraverso di esso che quei romanzi vedono e si illuminano, "diventano eloquenti".
Il grande scrittore spagnolo ce lo spiega ne Il punto cieco (El punto ciego), il suo nuovo libro che, come gli altri, è pubblicato da Guanda nella traduzione di Bruno Arpaia. Un libro "nato per caso" - come si legge nella prefazione - e che è il risultato di una serie di conferenze da lui tenute a Oxford, nella cattedra di Weidnfeld Visiting Professor in Comparative Literature, la stessa già occupata in passato da Umberto Eco, Roberto Calasso, Amos Oz, Vargas Llosa e George Steiner. Cinque conferenze in lingua inglese, qui riportate in altrettanti capitoli, che partono tutte dalla sua esperienza come scrittore e con cui ha ragionato su questioni disparate.
All'inizio dei romanzi "ciechi", precisa, c'è sempre una domanda e tutto il romanzo consiste nella ricerca di una risposta a quella domanda centrale; al termine della ricerca, però, "la risposta è che non c'è risposta". La risposta, aggiunge, è la ricerca stessa di una risposta, la domanda stessa, il libro stesso. Ed è per questo che sostiene che il punto cieco dell'occhio e quello di quei romanzi non funzionano poi in maniera tanto diversa: "così come il cervello riempie il punto cieco dell'occhio, permettendogli di vedere dove di fatto non vede, il lettore riempie il punto cieco del romanzo, permettendogli di conoscere ciò che di fatto non conosce, di giungere là dove, da solo, non giungerebbe mai".
Nel libro - che spazia da Borges a Kafka, da Melville a Tomasi di Lampedusa, da Vargas Llosa a Cervantes fino a Sartre ("il più grane intellettuale francese del XX secolo e senza dubbio la perfetta incarnazione dello scrittore impegnato") - Cercas dice la sua anche su la letteratura e gli intellettuali.
"La letteratura - dice - rappresenta un messa a nudo della realtà, ma anche una sua confutazione, e la scrittura è per la società una coscienza inquieta, come diceva Sartre, è un fastidio, un ribelle, un impertinente, un impugnatore dei valori comunemente accettati, e le sue opere sono lo strumento di questa impugnazione. Dà ragione a Vargas Llosa - "il primo a sostenere che la letteratura continua a essere fuoco e lo scrittore un guastafeste" - e si definisce un grande ammiratore di David Foster Wallace quando affermava che la nostra cultura "ha acquisito uno scetticismo congenito", che i nostri scrittori "diffidano totalmente delle credenze salde e delle convinzioni aperte" e che "la passione ideologica li disgusta profondamente". Per non parlare, poi, della sua idea del postmodernismo, secondo cui sono rimasti solo il sarcasmo, il cinismo, l'ennui permanente e la diffidenza nei confronti di qualunque autorità.
La letteratura, e in particolare il romanzo, non deve proporre nulla, non deve trasmettere certezze né fornire risposte né prescrivere soluzioni, ma ciò che deve fare è formulare domande, trasmettere dubbi e presentare problemi. "L'autentica letteratura non tranquillizza, inquieta, non semplifica la realtà, ma la complica e le sue verità sono ambigue, contraddittorie, ironiche e l'ironia non è il contrario di serietà, ma la sua massima espressione e senza di essa non c'è narrativa degna di tale nome, è uno strumento indispensabile alla conoscenza".
In tutto questo, qual è il ruolo dell'intellettuale? Secondo Cercas, oggi come oggi sono troppi: "dovrebbe essere riformulato il suo compito", scrive. Chi interviene nella vita pubblica deve avere il tono e l'atteggiamento del semplice cittadino, non con quelli dell'intellettuale "con le sue pose pompose e oracolari, con quella superiorità morale e le confortevoli sicurezze dei dogmi e delle adesioni ai partiti". Non deve più credersi in possesso della verità: "la critica inizia con l'autocritica e l'ironia con l'ironia e l'onesta è fondamentale".
Parole, le sue, da tenere bene a mente, ma, soprattutto, da mettere in pratica.
Da -
http://www.huffingtonpost.it/giuseppe-fantasia/cercas-dalla-cattedra-di-umberto-eco-ci-spiega-la-teoria-del-punto-cieco_b_9439106.html