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« inserito:: Gennaio 24, 2017, 05:55:48 pm »

Esportazioni, Pil ed equilibri militari: l’effetto domino che Trump rischia di innescare in Asia
In gioco c’è la stabilità (non solo economica) di tutto il continente
Oggi Donald Trump si insedia come 45° presidente degli Stati Uniti d’America

Pubblicato il 20/01/2017 - Ultima modifica il 20/01/2017 alle ore 12:11
Cecilia Attanasio Ghezzi
Pechino

Cosa significa l’avvento di Donald Trump per l’Asia? Un guazzabuglio pericoloso. Soprattutto se, una volta insediatosi alla guida della prima economia mondiale, manterrà le promesse fatte in campagna elettorale. Le esportazioni cinesi negli Usa potrebbero collassare, così come viceversa le esportazioni statunitensi in Cina. Si tratta di un giro di affari che nel 2015 valeva rispettivamente 483 e 116 miliardi di dollari e che, secondo i dati della Camera di commercio Usa, è garanzia di almeno 40 milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti. Ma sul tavolo non ci sono solo le perdite commerciali delle due più importanti economie del mondo. Negli ultimi 15 anni, la Cina ha rappresentato un terzo della crescita economica mondiale e anche oggi, quando siamo di fronte a una crescita innegabilmente rallentata, importa il 9 per cento delle esportazioni mondiali e rappresenta il primo partner commerciale di diversi paesi, soprattutto in Asia.

Secondo quanto stimato dal Wall Street Journal se quel 45 per cento di tasse sui beni di importazione cinese minacciato da Donald Trump in campagna elettorale si trasformerà in realtà, significherà tagliare la crescita cinese da 1 a 3 punti percentuali e di conseguenza quella di molti altri paesi asiatici. Secondo un rapporto del Fondo monetario internazionale per ogni punto percentuale che perde il pil della Repubblica popolare: Hong Kong perde lo 0,8; la Corea del Sud, la Tailandia e la Malesia lo 0,5; le Filippine lo 0,3 e l’Indonesia e il Giappone lo 0,25. Più o meno quanto decresce in media l’economia mondiale: lo 0,23. Ecco perché Xi Jinping può permettersi di affermare di fronte alla platea di Davos che «da una guerra commerciale non emergerà nessun vincitore». Colpire la Repubblica popolare significa mettere in discussione il mondo così come lo conosciamo. 

Ovviamente le economie che verrebbero colpite di più sono quelle che non solo esportano in Cina, ma fanno anche parte di quelle catene di supplier industriali per grandi marchi che assemblano in Cina. Giappone, Corea del Sud e Taiwan sarebbero senza dubbio i paesi più colpiti. Non solo. Una decisione netta a favore di un nuovo protezionismo negli States, significherebbe meno acquisizioni cinesi per paura di un conseguente trasferimento di know how e posti di lavoro. Per non parlare di quelle importanti aziende statunitensi che ormai vedono una grossa fetta di profitti provenire dal mercato cinese. Il 20 per cento delle vendite Apple avviene in Cina, come il 13 per cento di Boeing, tanto per fare gli esempi più noti. Inoltre se per Usa e Repubblica popolare l’economia non sarà più il terreno su cui incontrarsi, cosa dovrebbe spingerli a evitare lo scontro?

Nell’ultimo mese e mezzo, Donald Trump ha più volte minacciato di non riconoscere il principio di «una sola Cina» e di mettere in discussione la supremazia cinese sul Mar cinese meridionale. I già delicati equilibri tra i Paesi che si affacciano su questa parte di Pacifico cominciano a traballare fortemente. Tanto più che Trump ha dichiarato che chiederà agli «alleati» di coprire finanziariamente la presenza militare americana nell’area. La Repubblica popolare piuttosto che rinunciare a Taiwan è disposta a mettere in discussione i rapporti bilaterali con gli Stati Uniti. E Taiwan piuttosto che cedere alle pretese della seconda economia potrebbe arrivare allo scontro costringendo Usa e Paesi «amici» a schierare flotte e eserciti. Rischia di esplodere anche la Corea del Nord, le cui sanzioni sono sempre state merce di scambio tra Pechino e Washington.

Dal momento stesso in cui Trump verrà ufficializzato 45° presidente degli Stati Uniti, Pechino studierà ogni sua mossa e reagirà con fermezza a ogni sua esternazione. Sul tavolo c’è la stabilità, non solo economica, dell’Asia. Forse anche per questo il dipartimento di propaganda ha rilasciato chiare istruzioni ai media cinesi. Ogni notizia sul rapporto Cina-Usa dovrà «conformarsi a quanto scrive l’agenzia di stampa Xinhua», le notizie sul nuovo presidente andranno «gestite cautamente» e «critiche non autorizzate ai gesti e alle parole di Trump non saranno permesse».

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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/20/esteri/esportazioni-pil-ed-equilibri-militari-leffetto-domino-che-trump-rischia-di-innescare-in-asia-KL8eQEI5ZEWP3lyo4zNLbK/pagina.html
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