Cos’è e come funziona il Mattarellum
Matteo Renzi l’ha proposto all’assemblea del Pd. Nel 2013 lo volevano Giachetti, Sel e il Movimento 5 Stelle. Tre mesi fa la minoranza bersaniana.
Ma di che si tratta?
Pubblicato il 18/12/2016 Ultima modifica il 18/12/2016 alle ore 13:16
Francesco Zaffarano
Il Mattarellum è tornato di moda. Quando a proporre di ripristinarlo era stato Roberto Giachetti, che per portare avanti alla sua battaglia si era sottoposto a un estenuante sciopero della fame di pannelliana memoria, il Partito Democratico aveva nicchiato votando contro alla Camera. Unici sostenitori della proposta erano stati i deputati di Sel e del Movimento 5 Stelle. Oggi, invece, è Matteo Renzi a proporre il ritorno al sistema elettorale del 1993. È una scelta che raccoglie un’eredità importante, con cui Renzi ricolloca il suo progetto di Pd nel solco dell’Ulivo. A proporre negli ultimi giorni il ritorno al Mattarellum, infatti, era stata Sandra Zampa (deputata e vicepresidente del Pd), storica portavoce di Romano Prodi. E proprio Prodi è stato il primo beneficiario del Mattarellum, con cui è riuscito a battere Berlusconi nel 1996 e portare la sinistra unita al governo per la prima volta. Bisognerà vedere, adesso, se Movimento 5 Stelle e Sel continueranno a essere favorevoli al ritorno al Mattarellum (o, al posto loro, le diverse formazioni di centrodestra in Parlamento). Ma intanto, come funziona?
Il Mattarellum, in vigore tra il 1994 e il 2005, è un sistema misto, che alla Camera prevede l’elezione del 75% dei deputati con collegi uninominali (in ogni collegio ogni lista presenta un solo candidato per collegio e vince chi prende più voti) e il 25% con un sistema proporzionale. La soglia di sbarramento, per la parte proporzionale, è fissata al 4%. Il voto per la Camera viene espresso attraverso due schede, una per il voto nel collegio uninominale e una per il scegliere tra le liste bloccate che concorrono per il 25% di seggi assegnati su base proporzionale. A questi due meccanismi si aggiunge poi il cosiddetto scorporo dei voti, cioè un sistema per riequilibrare la distribuzione dei seggi che, per la parte uninominale, tende a svantaggiare i partiti più piccoli. Lo scorporo consiste nel sottrarre a una lista (nella parte proporzionale) i voti ottenuti dai candidati collegati alla stessa lista e già eletti nella parte uninominale. In questo modo, almeno nella parte proporzionale del Mattarellum, si dà più ossigeno ai partiti più piccoli, riducendo l’impatto di quelli più grossi già avvantaggiati con il sistema uninominale.
Per quanto riguarda il Senato, anche qui il Mattarellum si divide in un 75% maggioritario e un 25% proporzionale, con una sostanziale differenza per quest’ultimo. L’assegnazione dei seggi del Senato, a differenza della Camera, avviene su base regionale e con un sistema di ripescaggio dei migliori candidati bocciati alla prova dell’uninominale (anche qui premiando, quindi, i candidati minoritari).
Il Mattarellum 2.0
Va notato che, oltre alla proposta Giachetti (bocciata in Aula nel 2013, ai tempi c’era il governo Letta) e a quella pressoché identica della Zampa, nei mesi scorsi era stata la minoranza del Pd a parlare di un Mattarellum 2.0 come alternativa all’Italicum. Si sarebbe trattato di riprendere la vecchia legge elettorale arricchendola di un premio di maggioranza di massimo 90 seggi. L’idea dei bersaniani era di scongiurare con questo premio di maggioranza lo stallo registrato nel 1994, quando Berlusconi non aveva abbastanza voti al Senato e aveva messo in piedi un governo con l’aiuto dei senatori a vita e l’uscita dall’Aula si un gruppo di senatori eletti con la Lista Segni.
Problemi di ieri e di oggi
Il fatto curioso è che nel 1994 il Mattarellum non funzionò come si sperava perché l’Italia del dopo Mani Pulite si trovava a confrontarsi con uno scenario politico inedito: il bipolarismo aveva ceduto il passo a un accenno di tripolarismo, diviso tra il centrodestra di Berlusconi, la sinistra di Occhetto e il centro di Segni. Oggi il tripolarismo, come noto, si è addirittura accentuato e, per quanto a destra la situazione sia fluida (per non dire confusa), la sfida non può esaurirsi a uno scontro diretto tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle (con l’Italicum, per dire, ci si sarebbe arrivati solo con il ballottaggio). Da questo punto di vista la proposta dei bersaniani avrebbe senso per permettere all’Italia di avere un Parlamento in grado di produrre una maggioranza il giorno dopo le elezioni. Del resto, come aveva rilevato alcuni mesi fa il professor Roberto D’Alimonte in una simulazione basata sui voti delle elezioni politiche del 2013 (quando il centrosinistra era al 29,5, il centrodestra al 29,1 e M5s al 25,5) e sui sondaggi degli ultimi mesi, il Mattarellum preso e applicato oggi rischierebbe di riportarci alla casella da cui siamo partiti tre anni fa: un Parlamento spaccato, M5S che non fa alleanze e una grossa coalizione Pd-Forza Italia per avere un governo.
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