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Autore Discussione: Michele Azzu. AD di Enel, discorso choc: “Bisogna ispirare paura nei dipendenti"  (Letto 2248 volte)
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« inserito:: Maggio 21, 2016, 04:40:51 pm »

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Amministratore Delegato di Enel, discorso choc: “Bisogna ispirare paura nei dipendenti”
Una lezione alla Luiss nel corso della quale l'ad di Enel Francesco Starace ha illustrato come si guida un'azienda

18 maggio 2016 10:21
Di Michele Azzu

“Bisogna distruggere fisicamente i centri di potere che si vuole cambiare”. “Creare malessere all’interno di questi”, e poi “Colpire le persone opposte al cambiamento, nella maniera più plateale possibile, sicché da ispirare paura”. Sono solo alcuni segmenti tratti dalle affermazioni fatte da Francesco Starace, amministratore delegato di Enel, a un evento per gli studenti dell’Università LUISS di Roma lo scorso aprile.

Il manager favorevole alle energie rinnovabili, che poche settimane fa mostrava a Matteo Renzi i nuovi impianti Enel costruiti in Nevada (lo stato americano della celebre Las Vegas), ha illustrato la sua ricetta per garantire il cambiamento all’interno di un’azienda. Alla domanda di uno studente che chiedeva: “Qual è la ricetta di successo del cambiamento in un’organizzazione come Enel?”, Starace ha risposto così.

Ispirando paura. Inducendo il malessere, dando potere a un manipolo di persone fedeli alla visione del capo e poi punendo in maniera esemplare chi si oppone. È una visione che, probabilmente, rimanda ad alcuni testi di strategia militare molto usati dai manager, come “L’arte della guerra” di Sun Tzu. Insomma, niente di nuovo sotto il sole: quelle di Starace sono idee abbastanza diffuse fra i manager.

E tuttavia, questo non le rende meno discutibili. Perché fanno proprie una visione violenta dei rapporti di lavoro. È una descrizione che fa paura anche per il contesto in cui è stata fatta. All’Università LUISS, e cioè una di quella scuole che formano la nostra classe dirigente, i giovani che andranno a formare la Confindustria e i consigli d’amministrazione di domani. Ecco l’intervento in questione nella sua interezza:

“Per cambiare un’organizzazione ci vuole un gruppo sufficiente di persone convinte di questo cambiamento, non è necessario sia la maggioranza, basta un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare e bisogna distruggere fisicamente questi centri di potere. Per farlo, ci vogliono i cambiatori che vanno infilati lì dentro, dando ad essi una visibilità sproporzionata rispetto al loro status aziendale, creando quindi malessere all’interno dell’organizzazione dei gangli che si vuole distruggere. Appena questo malessere diventa sufficientemente manifesto, si colpiscono le persone opposte al cambiamento, e la cosa va fatta nella maniera più plateale e manifesta possibile, sicché da ispirare paura o esempi positivi nel resto dell’organizzazione. Questa cosa va fatta in fretta, con decisione e senza nessuna requie, e dopo pochi mesi l’organizzazione capisce perchè alla gente non piace soffrire. Quando capiscono che la strada è un’altra, tutto sommato si convincono miracolosamente e vanno tutti lì. È facile”.

Ora, io sono certo che in questa descrizione fatta dall’a.d. dell’Enel non vuole esserci in alcun modo nessun riferimento a violenze di natura fisica. Allo stesso modo, sono certo che un disegno di questo tipo può essere portato avanti senza infrangere formalmente alcuna legge, codice etico, o diritto del lavoratore – sia esso un dirigente, un quadro o un impiegato. Eppure è difficile leggere questo testo e non vedere in questa logica una cultura d’azienda fondamentalmente di guerra.

In che maniera dovremmo interpretare quel: “Colpire le persone in maniera plateale”, o il fatto che: “Alla gente non piace soffrire”? Si tratta forse di metafore? Personalmente, questa cultura manageriale mi spaventa. Per la sua logica fredda. Per la maniera in cui valuta le persone come cose. Probabilmente qualche studente avrà avuto piacere a pensarsi un domani in quel ruolo. Ma si tratta, appunto, di ragazzi senza alcuna esperienza della vita.

Perché questa bella favoletta, come avverrebbe nella realtà? Se volessimo applicare queste idee nel mondo reale sarebbe difficile pensare di farlo senza finire per incorrere in un (almeno velato) mobbing sul posto di lavoro, alle pressioni psicologiche. E quindi a persone che, come spesso succede in quei casi lascerebbero il posto di lavoro, alla disoccupazione, all’umiliazione, al non potersi più permettere di mandare i figli in vacanza, alla depressione, allo stress, alla malattia. E i sindacati che ruolo avrebbero in questa storia?

Ma le persone non sono giocattoli, se usate con forza finiscono per rompersi. Mi chiedo, è questa l’azienda in cui vogliamo vivere, lavorare, e dare un futuro ai nostri figli? Che fine ha fatto la visione degli anni '60 di Adriano Olivetti, che riteneva un valore dare ai dipendenti luogi di svago, di sport, asili nido e campi estivi per i figli? Quell’esempio indimenticabile, anche se di Olivetti oggi rimane poca cosa, è stato utilizzato dalle più importanti aziende americane del tech odierne, da Facebook a Google.

Da noi, invece, siamo tornati al bastone e la carota. Del resto questa è la cultura più volte celebrata da Matteo Renzi che lo ha ripetuto anche di recente: “Ha fatto più Marchionne di tanti sindacalisti”. Tuttavia, mi sfugge la quantità di nuovi assunti in Fiat. Mentre in Enel si sta procedendo a 6.000 prepensionamenti che permetteranno all’azienda di procedere a 3.000 assunzioni annunciate. Insomma, non si tratta solo di una lezioncina a dei ragazzi o di una chiacchierata fra manager di successo.

Qui c’è di mezzo la cultura in cui stiamo vivendo oggi – di azienda e di governo – della nostra classe dirigente attuale e futura, dei bambini che cresceranno in questo humus e dei giovani che oggi sono felici di essere assunti con contratto a tutele crescenti e che dovranno confrontarsi per i prossimi 20 anni con questa visione del posto di lavoro, mentre provano a costruirsi una vita. Stando attenti a “non soffrire” e a non “venire colpiti”, nel corso dei cambiamenti aziendali.

Ma è davvero questo il paese in cui vogliamo vivere e lavorare?

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