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Autore Discussione: DANIELE MARINI I partiti servono ancora?  (Letto 2323 volte)
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« inserito:: Giugno 25, 2017, 04:45:35 pm »

I partiti servono ancora?

C’è disorientamento ma per due elettori su tre la risposta è “sì”: sono essenziali per la democrazia Il trenta per cento vota in base ai programmi e non per appartenenza

Pubblicato il 19/06/2017  -  Ultima modifica il 19/06/2017 alle ore 01:31

DANIELE MARINI

Il terreno della politica è magmatico. E non si tratta qui di formazioni politiche che si scompongono e ricompongono di continuo, di alleanze variabili o delle intenzioni di voto, ma della percezione della popolazione verso le culture politiche e i partiti. Gli orientamenti degli italiani su tali argomenti sono attraversati da un insieme di tensioni, talora anche contrastanti fra loro. Potrebbe essere altrimenti? Stiamo ancora vivendo un processo di assestamento del sistema politico nazionale che ha preso avvio con la caduta della Prima Repubblica, ma che a distanza di circa un quarto di secolo (sic!) non ha ancora trovato un consolidamento. I cambiamenti di rotta poi sono così repentini - si veda quanto sta accadendo in queste settimane sulla riforma elettorale - da lasciare disorientati anche gli analisti politici più esperti. Nel frattempo, in questi 25 anni, il contesto mondiale è radicalmente cambiato, le condizioni e i fattori della competizione sono mutati, abbiamo attraversato (e non è ancora terminata) una delle crisi economiche più profonde, il terrorismo internazionale è arrivato in Europa. A fronte di tutto ciò, gli attori politici sono avviluppati in logiche tutte interne, incapaci di esprimere visioni coerenti del futuro, progettualità di respiro. È inevitabile, quindi, che l’elettorato appaia disorientato, talvolta disilluso e distaccato. Però non è immobile e qualcosa pare stia mutando negli orientamenti come dimostrano anche le votazioni al primo turno delle elezioni amministrative recenti e l’ultima ricerca sulle opinioni della popolazione (Community Media Research in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per La Stampa). 

Partiti fondamentali 
Proviamo a raccogliere i segnali che emergono negli orientamenti verso la politica. Il primo è che, nonostante tutto, per una larga maggioranza della popolazione i partiti sono ritenuti un elemento essenziale per l’esercizio della democrazia: il 66,8% ritiene che senza di essi la democrazia non possa funzionare. Ciò non significa vi sia fiducia verso i partiti, perché com’è noto quella attribuita alle istituzioni politiche (con l’eccezione del Presidente della Repubblica) è assai bassa. I partiti oggi presenti sul mercato politico non soddisfano le aspettative: poco più della metà è interessato alla politica, ma non gli piacciono i partiti per come sono oggi (54,1%). Nonostante la novità della partecipazione via web, l’uno-vale-uno, i partiti leggeri e di plastica, prevale l’idea che un’organizzazione strutturata del consenso e presente sul territorio sia ancora lo strumento più adeguato a far funzionare una democrazia. È interessante osservare come sostengano con maggiore forza questa tesi soprattutto le giovani generazioni (72,7%) e quanti si collochino nell’area politica del centrosinistra (78,6%), mentre all’opposto chi non si posiziona lungo il tradizionale asse destra-sinistra ritenga che le forme partito non siano poi così necessarie (53,1%). Forse un bisogno di rinnovati punti di riferimento anche in politica, forse culture più attente ai meccanismi di funzionamento della democrazia: in ogni caso, c’è bisogno di ripensare alla forma partito. 
 
Il disorientamento 
Questo punto, si lega strettamente al secondo segnale: le tradizionali categorie politiche. Ora, in questi decenni abbiamo conosciuto il progressivo mutare di sigle e di formazioni politiche, fra scissioni, ricomposizioni, emersione di nuovi soggetti. Il tutto, però, è avvenuto senza vi fosse una riflessione radicale sugli orizzonti di valore, sulle visioni di fondo e gli indirizzi d’azione. Cosa significhi oggi, in un contesto sociale ed economico profondamente mutato, «destra» o «sinistra» è una domanda cui si fatica a rispondere. Ma l’assenza di un ragionamento preliminare, spinge alla costruzione di movimenti e partiti o fusioni e alleanze fragili, di durata incerta. Così, per una parte cospicua degli italiani (59%) le tradizionali categorie destra/centro/sinistra oggi hanno perso significato, non sono più in grado di aiutare l’interpretazione dei fenomeni, e si ritrovano orfani di orizzonti culturali (e politici) di riferimento. Dunque, alla forma partito, va anteposta una riflessione sulle culture politiche, sui valori di riferimento e sulle loro declinazioni: servono narrazioni nuove e coerenti. 
 
Rapporti di convenienza 
Il terzo segnale rimanda alla relazione fra gli elettori e i partiti. Il confronto con un’analoga rilevazione avvenuta nel 2015 mette in luce come sia complessivamente aumentato l’interesse verso la politica. Quanti dichiarano d’identificarsi con un partito cresce leggermente (25,3%, era il 17,7% nel 2015) e così pure gli interessati (chi si sente semplicemente vicino a un partito: 27,1%, era il 18,0%). Soprattutto aumentano quanti hanno un rapporto negoziale (31,4%, era l’11,6%): valutano di volta in volta sulla base dei programmi e delle persone a chi dare il proprio voto. Ma, in particolare, diminuiscono fortemente i disillusi (16,2%, era il 52,7%), quanti non trovano partiti vicini alle proprie idee o ritengano non servano. Insomma, i distanti dalla politica. Dunque, l’affievolirsi della disillusione verso i partiti, più che favorire i processi di identificazione, alimenta un rapporto negoziale che va al di là degli schieramenti tradizionali e configura un elettore mobile e selettivo. Che utilizza il voto (e anche il non voto) in modo strumentale, meno di appartenenza. 
 
La preparazione 
In questo senso, viene il quarto segnale: l’assunzione crescente di responsabilità. Aumenta la consapevolezza che per fare bene politica serve una preparazione specifica (79,6%, era il 71,6% nel 2015). Ma pure l’autocritica, tant’è che l’88,8% ritiene che se la politica è scadente, la responsabilità sia anche dei cittadini (era il 69,9%).
 
Veniamo da anni in cui scandali e privilegi della casta politica sono giustamente denunciati quasi quotidianamente dai mezzi di comunicazione e irrisi dalla satira. Una lunga operazione destruens è stata realizzata minando fortemente, però, la reputazione di politici e partiti. A dispetto di un immaginario diffuso, gli italiani sono attenti alla politica più di quanto non si ritenga. Disillusi sì, ma negoziali e selettivi nelle scelte. Oggi alla ricerca di partiti construens: capaci di progettualità e di narrazioni coerenti sul futuro.

Nota metodologica 
Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dal 6 al 12 aprile 2017 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.655 (su 14.103 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,4%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/06/19/italia/politica/i-partiti-servono-ancora-lZmUNNwNVCPE9mq3FVTNzJ/pagina.html
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