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« inserito:: Settembre 29, 2007, 10:28:16 pm » |
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I savonarola e gli smemorati
Massimo Villone
Dopo il V-Day di Grillo, le polemiche. C’è persino chi addebita tutto alla sinistra, per non avere messo al muro a tempo debito i moralisti accattoni dei primi anni ‘90, rimanendo inquinata dal loro radicalismo. Secondo altri, il Paese è ormai una grande portineria. Personaggi discutibili si scoprono discendenti diretti di Savonarola, o magari di Robespierre. Tra salotti televisivi e chiacchiere da bar, il totoproposte impazza. Mettiamo ordine.
Se fosse un corso universitario, un primo ciclo di lezioni sulle cose più visibili: i troppi parlamentari, le retribuzioni, i rimborsi spese, i vitalizi, i privilegi veri o presunti. E poi, il numero dei ministri e dei sottosegretari, i voli di Stato, le macchine blu. E magari gli altri organi costituzionali, di solito più defilati. Infine, il finanziamento pubblico ai partiti.
Il secondo ciclo sulle autonomie. Aumento dei consiglieri regionali, con retribuzioni e privilegi spesso superiori nei fatti a quelli dei parlamentari; poltrone e prebende; l'armata di consiglieri provinciali, comunali, circoscrizionali; le comunità montane dalle vette al mare; lo sterminato campo dei consorzi e delle associazioni tra gli enti locali. Con allegati: ambasciate all’estero e uffici di rappresentanza, macchine blu, turismo istituzionale, e così via.
Il terzo ciclo su politica e amministrazione. Spoils system; dirigenti amici del potere; consulenze a go go, esperti - veri o presunti - vicini al principe; la miriade di enti e società, pubbliche o a partecipazione pubblico-privata. Senza dimenticare i maxiemolumenti di un management pubblico che nel privato magari non andrebbe oltre il ruolo e la retribuzione di un modesto ragioniere.
Il quarto ciclo sui controlli e le responsabilità: civili, penali, amministrative, contabili. L’evoluzione normativa; come si è giunti ad una discrezionalità politico-amministrativa sostanzialmente priva di “checks and balances”. Con la conseguenza che oggi chi rompe non paga, e i cocci sono degli altri.
Questo per l’esame. Per la tesi, bisognerebbe approfondire. Il cosiddetto federalismo; i sistemi elettorali; i consigli regionali e comunali in buona parte ridotti ad assemblee di notabili; la destrutturazione dei partiti; la dissoluzione del controllo sociale e della responsabilità politica. Per finire con quel che si richiede per riportare la nave a galla.
Il governo di centrosinistra dove arriva? Diciamo alle lezioni introduttive. Bisogna invece giungere alla laurea se vogliamo un paese che sia moderno e competitivo, mantenendo consenso e coesione sociale. Anche vincendo reazioni allergiche, e pruriti insostenibili.
L’antefatto. Nel novembre 2005 Cesare Salvi e io pubblichiamo «Il costo della democrazia». È il manuale del corso, dalla prima lezione alla tesi di laurea. Racconta, espone cifre e tabelle, spiega, propone rimedi. Riceve un prestigioso riconoscimento letterario - il premio Capalbio. Ma non è “politically correct”. Suscita nel mondo politico e nel popolo degli amministratori reazioni di verginità offesa e lesa maestà, accuse di tradimento.
Ebbene, siamo colpevoli. È davvero un tradimento. Perché col libro abbiamo esposto fatti, ed abbiamo - ancor peggio - indicato dove cercare per scoprirne altri. Abbiamo aperto una finestra sugli arcana imperii del potere, personalistico e di clan, autoreferenziale e fondato su reti di consenso clientelare. Poi è venuto un torrente di inchieste giornalistiche e televisive. Ne siamo orgogliosi. E non molliamo.
Nell’autunno 2006, il governo è in caduta libera nel consenso popolare. Portiamo nel dibattito sulla finanziaria il tema degli sprechi e dei costi impropri della politica. Nel momento in cui si chiedono sacrifici pesanti non si può dimenticare una politica malata di elefantiasi, e non solo. Ed è l’occasione giusta per un messaggio forte e positivo al Paese.
Per il Dpef presentiamo una mozione. Il governo la respinge. Avanziamo proposte in due disegni di legge (AS 1052 e 1053). Infine, introduciamo emendamenti alla finanziaria. Ma governo e maggioranza non sono univocamente volti al bene. Avanziamo proposte di - modesta - “decongestione istituzionale”, come la limitazione delle circoscrizioni ai comuni maggiori, e l'abolizione delle comunità montane. La maggioranza non le prende nemmeno in considerazione. Proponiamo rigorosi limiti alla istituzione di società miste, strumento principe di moderne clientele. Vengono ridotti sostanzialmente a una banca dati. Chiediamo la fine della partecipazione statale a Sviluppo Italia, oggetto di polemiche, inchieste giornalistiche, interrogazioni. Il governo limita tutto a una riorganizzazione come agenzia. Proponiamo di sopprimere strutture, autorità, enti inutili. Il governo nega il proprio assenso su tutta la linea. Per la formazione della dirigenza e del personale pubblico proponiamo di accorpare in una agenzia scuole e scuolette di singoli ministeri. Ma ogni ministro difende la sua scuoletta, accogliendo le pressioni delle burocrazie. E dell’agenzia rimane ben poco.
Passano poche cose. Ad esempio, la maggioranza in Senato conviene su un tetto generale agli emolumenti pubblici, riferito alla retribuzione del primo presidente della corte di cassazione e quantificabile in oltre 250.000 euro all’anno. Ma a Palazzo Chigi e col maxiemendamento finisce male. Il tetto perde il suo carattere di generalità, e viene limitato a una piccola minoranza di dirigenti pubblici (quelli a contratto esterno). Mentre per altri si prevede un tetto addirittura doppio (500.000 euro), aumentabile e in parte coperto da una rivalutazione annuale Istat. Non pare sia un caso. La questione arriva anche su queste pagine.
Dopo la finanziaria, insistiamo ancora. Ma sulle nostre interrogazioni il governo tace. Al contrario, la presidenza del consiglio adotta una direttiva che svuota la norma, con una interpretazione almeno discutibile. Dirigenti, presidenti, consiglieri, consulenti, autorità di ogni taglia e misura tirano un respiro di sollievo: le tasche sono salve. E pensare che si rischia lo sciopero generale del pubblico impiego, su un aumento di pochi euro mensili. Né il governo si ravvede. Difende in Senato un manager che percepisce, secondo gli interroganti, un milione e ottocentomila euro in un solo anno. Mentre la modesta proposta governativa su sprechi e costi impropri della politica fatica persino a vedere la luce.
Il governo non ha mai davvero capito che di un tema popolarissimo era utile e necessario fare una priorità e una bandiera. Per saperlo, non c’era bisogno di Stella e Rizzo, o Grillo. E dunque veniamo da un anno di inconsapevolezze ed errori. Hanno recato al centrosinistra un danno grave. Salvi ed io li raccontiamo nella nuova edizione del nostro libro in un capitolo aggiunto, intitolato - non a caso - «Un anno vissuto pericolosamente». Ora, vogliamo che il governo del centrosinistra arrivi alla laurea. Dopo tutto, dicono che in questo Paese una laurea non si nega a nessuno.
Pubblicato il: 29.09.07 Modificato il: 29.09.07 alle ore 8.56 © l'Unità.
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