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Autore Discussione: Michele Carugi. - La tragedia ellenica è anche un problema di visione del mondo.  (Letto 2698 volte)
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« inserito:: Luglio 09, 2015, 06:58:14 pm »

Economia & Lobby
Crisi Grecia: la tragedia ellenica è anche un problema di visione del mondo

Di Michele Carugi | 7 luglio 2015

La vicenda greca che sta volgendo al termine ha scatenato nelle opinioni pubbliche mondiali un dibattito che è andato ben oltre l’analisi tecnica della situazione, dividendo tra rigoristi completamente intransigenti e solidaristi a oltranza a prescindere e questa differenza si sta radicalizzando dopo il referendum.

Al netto delle estremizzazioni prevalentemente ideologiche, ciò si riporta nella sostanza al dibattito eterno tra i fautori della redistribuzione del reddito e i “meritocratici” che vedono la via d’uscita dalla povertà nell’impegno e i diritti come tali solo se guadagnati.

Questa diversa visione di società possibile si è estrinsecata storicamente anche nella marcata differenza tra cattolici e protestanti, con i primi tendenti a mettere al primo posto tra le priorità sociali la solidarietà e i secondi che la subordinano da sempre non al solo stato di necessità, ma anche al fatto che esso non derivi da mancanza di impegno e di rigore prima di tutto verso sé stessi.

E non è casuale che le campane della solidarietà a prescindere verso la Grecia e più in generale verso le frange meno abbienti nelle varie nazioni vengano suonate a distesa soprattutto dalla Chiesa cattolica (gli interventi dell’attuale Papa lo testimoniano giornalmente) e da organizzazioni politiche che si rifanno ideologicamente (anche se in maniera progressivamente meno marcata) al pensiero comunista.

In principio, l’affermazione che tutti gli uomini sono uguali, che devono avere pari opportunità e accesso alla ricchezza non fa una piega e su questa tutti concordano; chi si sognerebbe di promuovere un’idea di società basata sulla diseguaglianza, sull’opportunità basata sulla nascita e sull’impermeabilità della ricchezza tra le varie classi sociali? Il feudalesimo è morto da duecentocinquanta anni e non se ne sente la mancanza, come certamente farebbe piacere che tutte le nazioni (non solo quelle europee) potessero godere di una buona condizione di vita.

Tuttavia il diavolo sta nei dettagli; per esempio nella definizione di pari opportunità e di come le si generino o nella definizione di equità. I devoti al solidarismo danno l’impressione di guardare meramente a pari opportunità di spesa e di tenore di vita attraverso la distribuzione equa (secondo loro) della ricchezza indipendentemente dal perché alcuni Stati o individui l’abbiano accumulata e altri no. E sempre i solidaristi paiono intendere equità come sinonimo di eguale disponibilità di mezzi.

Per i rigoristi, viceversa, le pari opportunità consistono, nell’ambito delle singole nazioni nel dare a tutti analoghe possibilità di successo indipendentemente dal censo di nascita e ciò dovrebbe concretizzarsi per esempio nel supporto allo studio (non necessariamente e anzi forse meglio se non, attraverso la scuola pubblica) e nell’accesso a finanziamenti per chi voglia fare impresa e non abbia una ricchezza familiare che lo consente.

Garantite (in modo rigoroso) le pari opportunità di partenza, tuttavia, il rigorista non prescinde da ciò che ciascuno vuole o riesce a farne e qui, fatalmente, nascono differenze anche enormi, perché il rigorista interpreta l’equità come “eguale compenso per eguali impegno e capacità”.

Su questi dettagli lo scontro diventa nello specifico fatalmente violento perché per i solidaristi al popolo greco dovrebbe essere condonato il debito perché possa godere dei necessari mezzi mentre per i rigoristi l’idea è che se hai vissuto (a debito) per anni sopra le tue possibilità fatalmente dovrai vivere per anni al di sotto delle tue possibilità (cioè in ristrettezze) per ripagarlo.

Per i solidaristi lo Stato deve rastrellare più risorse possibili (quando riesce a trovarle al netto dell’evasione fiscale anche incoraggiata dall’eccessiva tassazione) e ridistribuirle in forme varie, sotto forma di posti di lavoro artificiali, sussidi senza troppa analisi sull’effettiva indigenza, fiscalizzazione delle tariffe dei servizi commisurandole al reddito (ahimè, accertato); diversamente, i rigoristi ritengono che la tassazione non debba essere esasperatamente progressiva, che i patrimoni quando onestamente accumulati siano da rispettare, che una volta assolti i propri compiti fiscali i servizi debbano essere pagati in funzione della loro fruizione e che il tenore di vita possa essere molto diverso a fronte di diverse storie di impegno, lavoro, capacità, talvolta anche fortuna.

Guardando puramente allo stato delle economie delle varie nazioni sembra non esserci partita; i paesi dell’Europa del Nord che hanno radici solide nell’etica protestante o quelli anglosassoni che pongono l’iniziativa e la libertà dell’individuo al primo posto (anche negli assetti costituzionali) se la passano assai meglio di quelli dell’Europa del Sud.

E’ assai difficile che le nazioni che hanno raggiunto un benessere più diffuso grazie anche alla loro organizzazione sociale siano disposte a sacrifici e benevolenza per e verso chi sembra dimostrare di non essere troppo disposto ad adeguare taluni sistemi (per esempio quello pensionistico) a quello che gli altri Paesi hanno già fatto, ma soprattutto che siano disposte a lasciar credere che essere politicamente e socialmente rigorosi oppure no possa alla resa dei conti essere un particolare marginale, con il rischio che anche le proprie opinioni pubbliche comincino a crederci e a desiderare soluzioni apparentemente facili ma fatalmente perdenti.

Pertanto, assunto che la tragedia greca resterà in ogni caso una tragedia, l’unica via possibile sembra che la Ue, sotto l’influenza determinante di Europa centrale e del Nord tenga duro, riportando la Grecia di fronte alla sua democratica e autonoma decisione se fallire o riformarsi e poi fornisca alla Grecia aiuti umanitari, cosa che è già stata ventilata.

Perché il problema principale non è se aiutare la Grecia, ma il non volerlo fare alle condizioni di chi a dispetto della storia pensa che la redistribuzione esasperata del reddito sia la via. E perché i paesi del Nord e gli anglosassoni hanno ben assimilato la famosa frase della Thatcher che “il problema del socialismo è che, prima o poi, i soldi degli altri finiscono”.

Di Michele Carugi | 7 luglio 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/07/crisi-grecia-la-tragedia-ellenica-e-anche-un-problema-di-visione-del-mondo/1848759/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-07-08
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 12, 2015, 11:25:40 am »

La mossa di Draghi: le mani della Bce sui depositi greci
Ha stretto le condizioni alle quali le banche elleniche possono attingere la liquidità d'emergenza. E' vicino il limite oltre il quale servirebbe il coinvolgimento dei depositi per reperire nuovo contante. Il segnale politico del governatore è chiaro: fate presto

Di RAFFAELE RICCIARDI
07 luglio 2015

MILANO - Mario Draghi ha confermato la liquidità d'emergenza alle banche greche, con il tetto congelato a 89 miliardi, ma un secondo aspetto delle decisioni del Consiglio della Banca centrale europea è riunito nella serata di lunedì attira l'attenzione degli osservatori finanziari. La Bce ha chiesto infatti più garanzie alle banche greche, destinatarie dei fondi Ela (Emergency liquidity assistance). Si tratta di una mossa che ha un significato politico, ma anche riflessi sulle prospettive concrete che si aprono per le banche elleniche, poichè avvicina la possibilità di un coinvolgimento dei depositi nel salvataggio delle banche. Un precedente già sperimentato dalla crisi di Cipro, che pure ebbe una genesi differente (lì le banche andarono gambe all'aria per l'eccessiva esposizione ai debiti sovrani greci e perché il sistema finanziario era sproporzionato alla struttura economica dell'isola). Alla fine, a Nicosia si decise di mettere le mani in tasca a obbligazionisti e depositanti (sopra 100mila euro) per reperire fondi necessari a sbloccare il pacchetto d'aiuti internazionale.

La liquidità dei fondi Ela. La Bce fornisce liquidità d'emergenza per mezzo della Banca centrale nazionale, alla quale si rivolgono gli istituti che hanno bisogno di un supporto per superare choc temporanei (mancanza di contante). Le condizioni per avere i fondi sono che le banche siano solvibili e che gli istituti presentino del collaterale (titoli di Stato, Abs, altre forme di prestiti) a garanzia della liquidità ricevuta. Una partita di giro che serve a evitare che l'erogazione di liquidità da parte dell'Eurosistema assuma le vesti di un finanziamento diretto. Questo collaterale è accettato dalla Bce, non sempre al valore nominale, ma secondo una valutazione specifica che avviene con l'applicazione di un 'haircut', uno sconto al valore del collaterale stesso in base alla sua qualità.

Le mosse di Draghi. Prima della decisione di lunedì sera, un accurato report di Barclays stimava che il collaterale a disposizione delle banche elleniche - utile per attingere ai fondi Ela - fosse di circa 28 miliardi, includendo nel calcolo uno 'sconto' medio (stimato da Barclays) del 48% circa che la Bce applicava su quei titoli. La Bce ha quindi comunicato - lunedì sera - di aver sì confermato la liquidità a disposizione, a 89 miliardi, ma di aver aumentato lo sconto applicato al collaterale delle banche greche. Queste, per attingere ai fondi Bce, devono di fatto portare più titoli. Indiscrezioni di mercato sostengono che il taglio sia stato applicato in particolare sui titoli di Stato o comunque garantiti dal governo (sarebbe salito al 45%, da un livello però imprecisato): una decisione che riflette il peggioramento della trattativa e quindi la diminuzione del valore del debito pubblico ellenico. I titoli pubblici greci a 10 anni quotano sui mercati, attualmente, poco più di un terzo del valore facciale. La simulazione della banca britannica stabilisce che un possibile incremento dell'haircut medio al 60% avrebbe azzerato il collaterale disponibile alle banche greche per chiedere liquidità d'emergenza. Giuseppe Maraffino di Barclays, coautore di quel report, spiega oggi che "il collaterale (al netto dello sconto) ancora a disposizione delle banche elleniche si è ridotto ulteriormente rispetto alla nostra stima iniziale di 28 miliardi, dopo la mossa della Bce. Per altro, è una cifra di sistema, ma la situazione può cambiare da istituto a istituto, con alcune banche che potrebbero essere in condizioni di stress superiore ad altre".

Le mani sui conti correnti. Sul mercato altre indiscrezioni rilanciate da Reuters parlano di un incremento complessivo dell'haircut di dieci punti, con un cuscinetto ancora disponibile che si allarga e stringe a seconda delle voci tra 20 e meno di dieci miliardi. In ogni caso, questa situazione mette ulteriore pressione al livello politico, per un raggiungimento di un accordo. Alla fine della settimana, pur con i limiti ai ritiri in vigore, potrebbero esaurirsi i contanti agli sportelli ellenici. E intanto tornano a profilarsi gli scenari di coinvolgimento dei depositi di fronte a un peggioramento del quadro finanziario. Se la Bce decidesse di far salire ulteriormente l'haircut, ad esempio al 75%, le banche vedrebbero evaporare il valore dei titoli che ora portano usano collaterale. Sarebbero allora costrette ad attingere agli stessi depositi (in quel caso nella misura del 27%, dice una simulazione del blog finanziario ZeroHedge) le garanzie da presentare alla Bce, in cambio di liquidità: denaro in cambio di denaro. Si tratta, è bene ricordare, ancora di esercizi ipotetici. Già qualche giorno fa il Financial Times aveva scritto dell'ipotesi di metter mano ai depositi superiori agli 8mila euro, con un taglio del 30%, scatenando la reazione dell'Eba (l'Autorità delle banche europee), che aveva precisato di non esser a conoscenza di tali progetti. La soglia degli 8mila euro, ad esempio, porrebbe la misura fuori dalle norme europee che prevedono le garanzie sui depositi fino a 100mila euro (applicata nel caso di Cipro). Come potrebbe lo Stato ellenico tener fede a quella garanzia, nelle condizioni di cassa nelle quali si ritrova? E ancora, nel caso di Nicosia la misura si era iscritta in un piano complessivo di salvataggio, mentre ora - senza un accordo politico - in Grecia colpirebbe ancora la popolazione, con un danno notevole all'immagine del governo di Syriza.

Il piano di salvataggio. "La soluzione del 'bail-in' rimane da applicarsi quando le banche sono sull'orlo del fallimento, ma come estrema ratio e dopo aver fatto assorbire le perdite a chi detiene direttamente il capitale delle banche, azionisti e obbligazionisti", ricorda Vincenzo Longo di Ig Markets. Dall'Eurotower è quindi partito l'ennesimo avvertimento. Per affrontare il problema immediato della liquidità, di fronte a un prevedibile aumento dei ritiri qualora riaprissero gli istituti, servirebbe di contro il contemporaneo aumento del tetto dell'Ela e una riduzione dello sconto applicato sul collaterale. Condizioni che Draghi potrebbe applicare solo di fronte a una piena risoluzione politica della questione, con un accordo e un nuovo piano di supporto finanziario. "Che, vista la gravità della situazione, a questo punto difficilmente potrà prescindere da una piano di salvataggio del sistema bancario, magari di nuovo attraverso una nazionalizzazione che già viene ventilata", chiosa Longo.

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07 luglio 2015

Da - http://www.repubblica.it/economia/2015/07/07/news/la_mossa_di_draghi_e_il_passo_verso_il_bail-in_delle_banche-118541428/?ref=HREA-1
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