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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 22, 2007, 06:28:56 pm » |
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Polonia, batosta per i Kaczynski trionfa Tusk
Gabriel Bertinetto
Un incredibile prolungamento delle operazioni di voto ha impedito sino a tardissima ora la diffusione dei primi dati sulle elezioni parlamentari svoltesi ieri in Polonia. Stando a indiscrezioni trapelate all’ora in cui avrebbero dovuto chiudere i seggi, le 20, il Pis (Diritto e giustizia) dei gemelli Kaczynski sarebbe stato nettamente sconfitto dalla Piattaforma civica (Po) di Donald Tusk. Il Po sopravanzerebbe il Pis di circa dieci punti percentuali, ma sono notizie ufficiose e prive di conferma. Sempre stando alle stesse fonti, supererebbero la soglia del 5% necessaria ad essere ammessi alla Sejm, la Camera bassa da cui dipende la fiducia al governo, altri due partiti d’opposizione: la Lid (che raggruppa i democratici di Bronislaw Geremek e la sinistra post-comunista di Aleksandr Kwasniewski), e il partito contadino Psl. Resterebbero fuori dal Parlamento invece due ex-alleati del Pis, di orientamento ultranazionalista e cattolico-fondamentalista: la Lega delle famiglie polacche e Samoobrona (Autodifesa).
La Commissione elettorale ha giustificato il ritardo con l’affluenza molto superiore al previsto, con il 55% (la più alta dal 1989) che ha provocato l’esaurimento delle schede in alcuni seggi di Varsavia e Danzica. Il tempo perso per procurare il materiale mancante è stato recuperato allungando l’orario delle votazioni. È stato deciso di consentire la pubblicazione degli exit-poll e dei conteggi parziali che nel frattempo erano iniziati nella maggior parte delle sedi elettorali, solo quando avesse chiuso anche l’ultimo seggio.
Se le notizie ufficiose sull’esito del voto corrispondono al vero, è chiaro che la svolta negli orientamenti dell’opinione pubblica ha coinciso con il confronto televisivo tra i leader dei due maggiori partiti, dieci giorni prima del voto. Quella sera Donald Tusk ha sorprendentemente strapazzato Jaroslaw Kaczynski, sfoggiando un’aggressività polemica prima ignota al pubblico, e smascherando spietatamente l’ignoranza del suo interlocutore sui prezzi dei prodotti di largo consumo e altri aspetti della vita quotidiana di quei polacchi semplici e poveri, lungamente corteggiati dalla propaganda populista del premier uscente e del suo partito. Sino ad allora i sondaggi predicevano equilibrio, se non una prevalenza di Diritto e giustizia. Da quel momento hanno imboccato senza incertezze una direzione favorevole alla Piattaforma civica.
Gran parte degli ambienti imprenditoriali speravano nella vittoria dei liberali, che hanno promesso misure loro gradite, come l’abolizione della tassazione progressiva sui redditi e l’introduzione di un’aliquota unica. Più in generale Tusk ha conquistato il sostegno di una parte dei ceti medi prospettando la scelta di una «via irlandese» allo sviluppo, con sgravi fiscali, incentivi agli investimenti, e un mercato del lavoro molto flessibile. Altro punto chiave del programma economico dell’opposizione al Pis era l’ingresso il più presto possibile in Eurolandia, un obiettivo verso cui i Kaczynski, notoriamente a dir poco euroscettici, si sono sempre dimostrati piuttosto tiepidi.
L’europeismo sarebbe certamente un potente collante della coalizione di governo fra Po, Lid e Psl, che può scaturire dall’esito elettorale. Più complesso sarà trovare un punto di incontro sulla politica economica. I contadini e la componente socialista della Lid cercheranno certamente di arginare il liberismo senza freni cui pare ispirarsi Tusk. Europa a parte, è più in generale la politica estera ad offrire un buon terreno d’intesa alle tre forze del potenziale centrosinistra alla polacca. Tusk ha esplicitamente promesso il ritiro dei 900 soldati del contingente polacco dall’Iraq, pur tranquillizzando Washington sull’intenzione di effettuarlo in maniera graduale. Una presa di posizione che è sembrata andare incontro agli orientamenti di un’opinione pubblica sempre meno convinta dell’opportunità di partecipare all’avventura mesopotamica di George Bush.
Non è bastato a Diritto e giustizia dunque insistere sui soliti cavalli di battaglia, che gli garantirono la vittoria nel 2005 e la conservazione di un forte sostegno popolare sino ad epoca recente. Nell’ultimo appello televisivo Jaroslaw Kaczynski aveva in particolare chiesto un nuovo mandato per combattere la piaga della corruzione e per continuare la de-comunistizzazione della società polacca, che per lui ed il gemello deve essere ancora compiuta. Come se non ci fosse mai stato un 1989 nella storia del Paese.
Non è bastata nemmeno, e magari è stata addirittura controproducente, la minaccia di sabotare l’azione di governo qualora la vittoria fosse andata agli avversari. Forse l’elettorato non ha gradito il tono intimidatorio con cui quattro giorni prima del voto, il capo di Stato, Lech, gemello del premier, ha preannunciato che in caso di sconfitta avrebbe fatto ricorso alle proprie «prerogative costituzionali», cioè la facoltà di porre il veto sulle leggi del Parlamento.
Il rischio che il pesante monito sia seguito dai fatti esiste, e per questo sarà importantissimo vedere la definitiva distribuzione dei seggi alla Sejm, la Camera bassa, quella da cui dipende la fiducia al governo. Se i deputati di Po, Lid e Psl globalmente fossero almeno i tre quinti del totale, potrebbero a norma di legge rovesciare i veti presidenziali.
Evidentemente, sempre se le indiscrezioni sui risultati elettorali saranno confermate, non è stato sufficiente ai Kaczynski nemmeno l’apporto della martellante propaganda pro-Pis di Radio Maryia. L’emittente diretta da padre Tadeus Rydzyk in passato aveva suddiviso le proprie simpatie fra il Pis ed un altro gruppo ultraconservatore, la Lega delle famiglie polacche. In questa campagna ha concentrato il proprio sostegno sulla formazione dei Kaczynski, dopo avere constatato il fallimento della coabitazione con la Lega nell’esecutivo scaturito dalle elezioni del 2005. Se si è arrivati allo scioglimento anticipato delle Camere infatti è stato proprio per la crisi che in agosto è sfociata nell’uscita dal governo dei ministri della Lega e di un altro piccolo partito reazionario, Samoobrona, che contendeva agli alleati la palma dell’integralismo religioso, della xenofobia e dell’antisemitismo.
La scelta di campo di Radio Maryia non è stata efficacemente contrastata dalla gerarchia cattolica, benché alcuni vescovi abbiano manifestato disapprovazione. Ma è stato significativo a due giorni dal voto il gesto di Stanislaw Dziwisz, cardinale di Cracovia, ed ex-segretario di Giovanni Paolo secondo. Quasi a correggere l’immagine diffusa di un episcopato sostanzialmente allineato con il Pis, Dziwisz ha ricevuto Tusk.
Pubblicato il: 22.10.07 Modificato il: 22.10.07 alle ore 17.21 © l'Unità.
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