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Autore Discussione: Philippe DAVERIO Il credito, il fieno e le armi fu così che nacquero i baüscia  (Letto 2586 volte)
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« inserito:: Marzo 17, 2015, 12:10:14 am »

Il credito, il fieno e le armi fu così che nacquero i baüscia
A Palazzo Reale una grande mostra propone l’arte lombarda dai Visconti agli Sforza
Fu in quel periodo storico che una certa tipologia lombarda mise le sue salde radici

Di Philippe Daverio

Ci sono nella storia degli ultimi due millenni almeno quattro momenti che spiegano la genesi dell’animo dei milanesi. Si deve ai santi Ambrogio di Treviri e Agostino di Ippona la naturale inclinazione della città ad essere crocevia fra Europa e Africa, a

San Carlo Borromeo l’understatement come stile di vita, e alle passioni politiche degli eroi ottocenteschi la voglia d’essere protagonisti d’Italia e dell’impresa. Manca per definire la milanesità il concetto fondamentale del baüscia, quello che il sommo vate della poetica calcistica Gianni Brera contrapponeva negli Anni 60 al casciavit, dando al primo una accezione di classe dirigente con arie di superiorità e al secondo l’umiltà del lavoratore operoso. Brera si occupava di pallone e non di storia, il che gli evitò di dovere frugare nelle origini di queste simpatiche caratteristiche, le quali invece hanno forse la loro fonte nel momento di massimo fulgore della Lombardia, negli anni del ducato visconteo e poi sforzesco.

Se tuttora nel sistema bancario internazionale si usa il termine lombard per definire il tasso di sconto, è perché questa usanza creditizia inventata per ovviare al divieto medievale dell’usura fu l’invenzione dei banchieri milanesi che, nei due secoli prima del primato fiorentino, agivano in tutto il continente. Infatti quando Filippo IV di Francia decise di rimpinguare le sue finanze, fece la festa prima ai Templari, poi agli ebrei e in ultimo ai milanesi, che a Parigi rappresentavano allora tutti i banchieri della nostra penisola. Questa ricchezza dei lombardi era dovuta a due elementi. La formidabile rivoluzione agricola che i monasteri attorno a Chiaravalle avevano generato (inventando grazie alle marcite una raccolta di fieno già due mesi prima di quella naturale) consentiva alle cavallerie viscontee un anticipo di carburante per guerreggiare vittoriose. Poi s’era sviluppata una industria bellica fatta di armorari e spadari (le vie a loro dedicate esistono tutt’ora in città) dove fiorirono i prototipi dei casciavit.

Il tutto generava danaro e il danaro generava banche. E nella testa dei Visconti elaborò ineluttabilmente la psicologia del baüscia, la quale portò Gian Galeazzo (1351-1402) all’apice dell’avventura e dell’ambizione politica. Aveva egli iniziato bene sposando nientemeno che Isabelle de Valois, figlia del re di Francia Giovanni II, squattrinato per via della guerra dei Cent’anni allora al suo culmine e talmente felice dell’arrivo di danaro fresco da fare del suo genero il conte di Vertu, il quale sempre col danaro si fece elevare al rango di duca dall’imperatore Venceslao. Arrivò, al momento della sua infausta morte, a controllare un territorio che si estendeva da Belluno ad Asti e da Bellinzona a Pisa, Siena ed Assisi. A lui si deve l’inizio della Fabbrica del Duomo nel 1386 e la Certosa di Pavia dieci anni dopo. Solo l’oratoria potente di Coluccio Salutati lo tenne fuori da Firenze, e il cancelliere della Repubblica gli dedicò un testo storico nel 1400, il noto De tyranno, intuendo la sua volontà d’unire la penisola in un’unica monarchia. Milano fece la sua rivoluzione repubblicana a metà secolo, ma il capitano scelto per difenderla ne divenne poi il primo duca sforzesco, Francesco, genero di Gian Galeazzo.

Intanto il Duomo cresceva con manovalanze artistiche da tutto il continente e le biblioteche si arricchivano con codici altrettanto internazionali. Galeazzo Maria Sforza si sposava ad Amboise con Bona di Savoia, cresciuta presso la corte di Francia perché cognata di Luigi XI. E Bernardino Luini ritraeva la duchessa rimasta vedova e reggente dopo l’assassinio del marito, mentre Leonardo veniva a corte a Milano chiamato da Lodovico il Moro e, guardando al Bergognone che guardava i fiamminghi dopo essersi ispirato al bresciano Foppa, inventò lo stile nuovo e il cavallo del Castello, che fu distrutto quando i francesi di Luigi XII conclusero con l’innovativo tiro diritto del cannone la gloriosa stagione milanese nel 1499.

La mostra
«Arte lombarda dai Visconti agli Sforza», dal 12 marzo al 28 giugno a cura di Mauro Natale e Serena Romano, è promossa da Assessorato Cultura del Comune di Milano, coprodotta da Palazzo Reale e Skira editore, main partner Unicredit, catalogo Skira. Per tutta la durata, chi visita la mostra potrà visitare anche il Museo del Duomo a 1 euro. Infotel. 02.92800375 o sul sito web www.visconti-sforza.it
9 marzo 2015 | 11:38
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Da - http://www.corriere.it/cultura/15_marzo_09/credito-fieno-armi-fu-cosi-che-nacquero-bauscia-cefd7128-c647-11e4-80fc-ae05ebe65fb1.shtml
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