Il voto negli usa
Dalla Florida le ragioni della vittoria
Tre fattori hanno contribuito alle pesante sconfitta dei democratici: la politica in mano ai miliardari, la mancanza di autopromozione, la gestione del voto
Di Maria Laura Rodotà
Lo tsunami repubblicano, commentavano stanotte perplessi alcuni abitanti liberal della Florida del sud, ha sdoganato svariate catastrofi naturali che lo stato patisce o rischia; delle Rick Scott, il governatore rieletto non ammette l’esistenza. Anzitutto, il riscaldamento globale, l’aumento del livello del mare e l’erosione delle migliaia di chilometri di sue coste. Scott ci crede, ovvero non crede, davvero; il multimilionario abita a Naples, cittadina costruita per i ricchi nel sud-ovest, in un villone sulla spiaggia a un metro sul livello del mare. Potrebbe avere problemi, ma non ci pensa e non ci crede. Questo atteggiamento positivo lo ha portato a iniziare una campagna elettorale come “il governatore meno popolare d’America” e a finirla da vincitore, sia pure con l’1 per cento in più.
Lo ha aiutato la ripresa economica, non hanno fatto male i 100 milioni di finanziamenti elettorali dei suoi grandi sponsor, da costruttori che stanno finendo di cementificare la Florida alle compagnie farmaceutiche ed assicurative che curano gli anziani trasferitisi qui (le compagnie farmaceutiche hanno anche combattuto con successo il referendum sulla medical marijuana, sarebbe stata una forma di concorrenza). Non ha guastato che il suo oppositore fosse Charlie Crist, un ex governatore ben noto e pure apprezzato, ma giudicato un voltagabbana, o almeno un repubblicano troppo moderato per i repubblicani e troppo inaffidabile per i democratici. Sono andati a votarlo in pochi a Miami e nella democratica o quasi South Florida. Ovunque tranne nella Broward County, Fort Lauderdale e dintorni. Per questo Crist ha chiesto ai giudici di prolungare lì le ore di voto. Per questo, dopo aver preso atto delle solite irregolarità nelle procedure di voto, ha inizialmente rifiutato di fare il discorso della sconfitta, poi ha chiesto la riconta dei voti (genere Florida di Bush-Gore del 2000), poi ha gridato ai brogli.
D’altra parte, in questo, la Florida è una certezza. Data una qualunque elezione, succederà qualcosa di strano. A Fort Lauderdale, alla Broward’s Croissant Park Elementary school è saltata la luce e hanno votato al telefono. Fuori Miami, alla Southwest Regional Library di Pembroke Pines gli elettori non hanno trovato il seggio e nessuno li aveva avvertiti di essere stati spostati altrove. A West Kendall, la maggioranza non era stata informata che questa volta sarebbe dovuta andare a votare altrove. A Tampa, seconda area metropolitana dello stato, in coda c’era molta gente disinteressata ai due governatori, venuta per votare sì alla legalizzazione della marijuana medica (che non è passata, serviva un 60 per cento di sì, si è arrivati al 57, i molti anziani antidroga a ogni costo hanno avuto la meglio). E insomma, la Florida resta lo stato più elettoralmente pittoresco dell’Unione (lo sa bene Al Gore, che perse la presidenza nel 2000 per poche centinaia di voti poco chiari). Lo ricorda chi seguì le ultime presidenziali, nel 2012, quando il risultato finale fu proclamato dopo molti giorni e successe di tutto. Però stavolta l’anomalia floridiana pare meno picaresca e più sintomatica delle disfunzionalità forse senza ritorno della politica americana.
Primo, la politica ufficialmente in mano ai miliardari e alle grandi corporations (sancita dalla sentenza del 2010 della Corte Suprema sul caso Citizen United, quella secondo la quale “le corporations sono persone”). L’abbronzato-argentato Christ, governatore piacione e popolare nonostante il cambio di partito, quest’estate era in testa ai sondaggi. E’ stato superato da Rick Scott, faccia e cranio da cattivo di film d’azione, azione politica da cattivo dei Simpson, dai tagli a sanità e scuola (poi mitigati, nonostante i sostenitori del Tea Party ci siano rimasti male, quando causa impopolarità rischiava di non essere rieletto) alle minacce di smantellare le ciclabili (idem: la Florida è piatta e i poveri che lavorano in alberghi e strutture turisti vanno al lavoro pedalando, bus ce n’è pochi). Scott ha avuto più del doppio dei finanziamenti elettorali di Crist (che ha proposto iniziative più che innovative, come riprendere i rapporti con Cuba e cavalcare gli investimenti turistici nell’isola), e si vede. Le stazioni tv della Florida sono state bombardate di annunci del governatore repubblicano.
Secondo. Nessuno spot rivendicava i suoi successi. Tutti hanno attaccato Crist. La politica americana non è battaglia delle idee ma neanche più duello di punti di vista, slogan, o se non altro “sound bites” televisivi, frasi brevi e d’effetto. E’ un scambio di attacchi negativi. Si tenta di distruggere l’avversario, non per convincere gli incerti (che in uno scenario politico polarizzato sono sempre meno); per persuadere i suoi potenziali elettori a rimanere a casa. In elezioni in cui conta la percentuale di già convertiti che si presenta ai seggi, il gioco è questo, e si gioca in modo brutale (oddio: stavolta pochi democratici si sono presentati, molti indipendenti anche, altri indipendenti hanno sfiduciato i democratici e Obama).
Terzo. La gestione del voto, dal ridisegno dei collegi elettorali alla legislazione approvata dagli stati su voto anticipato, necessità di preiscrizione in tempi contingentati e di documenti da esisbire. Gli stati governati da repubblicani hanno lavorato molto per rendere il voto più difficile alle minoranze (sempre più numerose, in molti casi, come gli ispanici in Florida e Texas) tendenti a votare democratico. In Florida le nuove leggi sono complesse, la gestione dei seggi è diciamo creativa. E la vittoria del governatore repubblicano potrebbe renderla ancora più creativa nel 2016, quando la Florida, stato in bilico per definizione, potrebbe ancora essere decisiva nell’elezione del presidente. Meglio: nel manovrare norme e seggi e spogli elettorali. “Con una simile valanga repubblicana, Hillary avrà problemi alla Camera anche se vince nel 2016”, commentava stanotte Chuck Todd della Nbc. Avrà problemi anche nella sempre incerta Florida, forse, adesso (o forse cavalcherà la sconfitta facendo la salvatrice del partito, ma vista stanotte non sembra impresa facile).
5 novembre 2014 | 06:19
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